27a sessione del Comitato Intergovernativo della FAO sulla Sicurezza Alimentare
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  INTERVENTO DELL’OSSERVATORE PERMANENTE
DELLA SANTA SEDE PRESSO LA FAO
ALLA 27a SESSIONE DEL COMITATO
PER LA SICUREZZA ALIMENTARE MONDIALE (CFS)

28 maggio 2001

 

Signor Presidente,

Desidero anzitutto ringraziarLa per avermi concesso di parlare in questo momento e complimentarmi per la sua elezione a dirigere i lavori di questo Comitato chiamato a particolare preparazione del "World Food Summit – Five Years Later".

1. La nostra sessione del CFS ci richiama dunque, ancora una volta, l’impegno fondamentale di tutti per garantire la sicurezza alimentare di tutti, in concreto, con ricerca degli strumenti necessari per attuarla efficacemente e con coerenza.

La Santa Sede, particolarmente sensibile alla gravissima questione della fame e della malnutrizione nel mondo, qui offre, insieme alla propria disponibilità di concertazione e azione in materia, alcuni spunti di riflessione che potranno concorrere ad operare adeguate scelte politiche e concretizzare interventi all’altezza delle odierne necessità. La nostra Delegazione vuole farlo partendo proprio dall’ausilio dei dati messi a disposizione di questo Comitato, che rendono aderenti alla realtà le nostre valutazioni di ordine etico, le quali appartengono più propriamente alla natura ed alla missione della Santa Sede.

E’ un metodo, questo, che scruta la realtà per coglierne, con i positivi risvolti, le situazioni che impediscono a moltissimi la integrale crescita della persona -nel riconoscimento della sua centralità nella società-, per combatterle, anche attraverso scelte di politica internazionale nel settore dell’alimentazione e della sicurezza alimentare. Questo settore - permettetemi di sottolinearlo - ci sta particolarmente a cuore.

2. Conferisce un grande valore a questa nostra riunione - come dicevamo- il compito di predisporre gli strumenti e gli accorgimenti necessari perché sia un successo il "World Food Summit" cinque anni dopo. Sarà esso un appuntamento per richiamare ciascuno, e la Comunità internazionale tutta intera, alla propria responsabilità per far combaciare la volontà politica-umanitaria espressa nel 1996 con la realtà della sicurezza alimentare che oggi registriamo, con pena, se teniamo presenti anche le mete fissate allora.

I dati fornitici, per la loro evidenza, infatti, ci lasciano delusi profondamente. Ed è il senso comune, oltre l’"expertise", è la nostra comune umanità, a togliere molto spazio ad ogni possibile giustificazione. E’ questo mondo, il nostro, che vive - è certo, nel suo insieme- un progresso ed uno sviluppo senza precedenti nella storia, ad abbandonare di fatto quotidianamente, milioni di persone alla mancanza di debita nutrizione, minacciandone così la sopravvivenza. Vi è dunque una evidente contrapposizione tra le possibilità di intervento concreto, da un lato, e la volontà di attivare e dare operatività a questi possibili impegni, dall’altro.

3. Segni di ulteriore grave preoccupazione vengono dai tre livelli di analisi che questo Comitato ha individuato per valutare lo stato di insicurezza alimentare nel mondo. Mi riferisco ai consumi, alla salute e al livello nutrizionale, cioè alla effettiva disponibilità di alimenti nelle diverse aree, con particolare riguardo a quelle a rischio o vulnerabili.

A tali aspetti, credo, va oggi ulteriormente aggiunto il diretto riferimento alla sicurezza degli alimenti, di fronte a quelle situazioni che toccano la salute del consumatore per un’omessa sorveglianza sulla qualità degli alimenti. Orbene le carenze nutrizionali di intere comunità richiedono un adeguato livello di impegno anche in questa prospettiva, per non prevedere un’astratta disponibilità di quantitativi di derrate alimentari senza il relativo safety control, magari in ragione di situazioni d’urgenza e di deficit alimentare. Ciò deriva dal fondamentale diritto di ogni persona ad avere una nutrizione sicura e, parimenti, da quello di ogni comunità e popolo alla sicurezza alimentare.

4. Tra le cause della fame osserviamo che è stata proprio la FAO a "costruire" il concetto di insicurezza alimentare, facendolo gradualmente evolvere da mere considerazioni di ordine tecnico, legate cioè alla disponibilità di derrate in stoccaggio in ragione dei consumi, a situazione che nega un vero e proprio diritto fondamentale. Ed è proprio il richiamo a questa tematica dei diritti umani, - che si vorrebbe alla base degli ulteriori impegni che il "World Food Summit Five Years Later" sarà chiamato a confermare e ad assumere - a consentire alla Delegazione della Santa Sede di proporre le seguenti considerazioni.

5. Innanzitutto riteniamo che il diritto alla nutrizione si configura pienamente quale diritto economico e sociale, come ha ribadito del resto il General Comment nº 12 adottato nel 1999 dal Comitato per i diritti economici, sociali e culturali (Doc. HRI/GEN/1/Rev.4, pp. 57-65), che presiede al rispetto dell’omonimo Patto internazionale. Pertanto tale diritto non può configurarsi nella sua piena portata se lo si separa da alcuni fattori concorrenti o da altri diritti e situazioni ad essi connessi, come in effetti prevede giustamente il rispetto del principio dell’interdipendenza dei diritti umani.

Resta però da precisare il significato del diritto alla nutrizione soprattutto in ragione del ruolo che lo Stato deve svolgere per garantirne l’attuazione e quindi il godimento da parte delle persone. La questione - a nostro modo di vedere - tocca direttamente gli impegni del Vertice e quindi preme per la loro conferma, pur in un mutato quadro di riferimento. Il richiamato General Comment, comunque, stabilisce il livello di impegno degli Stati, nel dare attuazione al menzionato diritto alla nutrizione, procedendo -sembra a noi- oltre l’interpretazione tradizionale che vede i diritti economici e sociali garantiti dallo Stato in ragione delle proprie disponibilità e possibilità. Ciò significa che il diritto ad una nutrizione adeguata, non può avere tempi di attuazione legati solo a "obbligazioni di condotta" (obligation of conduct) che portano uno Stato a prevedere i necessari interventi, ma anche ad "obbligazioni di risultato" (obligation of results), essenzialmente in ragione del valore basilare del diritto alla nutrizione quale componente essenziale del diritto alla vita.

6. Qui -come si evince- la prospettiva si allarga perché si può considerare le responsabilità, al riguardo, della varie componenti della Comunità internazionale (cf. General Comment nº 12, cit., pp.64.65). Infatti a garantire il diritto alla nutrizione di persone e popoli, in assenza o con carenza della capacità del singolo Stato, - a motivo della propria condizione di sottosviluppo e povertà - sono chiamati a sopperirvi gli altri Stati - primariamente quelli che ne hanno la disponibilità - e le Istituzioni intergovernative. L’impegno assunto dal World Food Summit concretizza proprio questa prospettiva, nel concetto di sicurezza alimentare, prevedendo uno sforzo di solidarietà per garantire la nutrizione a tutti, o almeno per ridurre a metà le sofferenze del mondo malnutrito e affamato, mediante l’impegno comune di Stati e Organizzazioni.

7. Vorremmo inoltre far considerare che la mancata sicurezza alimentare si inscrive nel più ampio contesto della povertà. E’ cioè una delle cause che maggiormente limitano l’esistenza di persone e di comunità. Tale considerazione non deve però dare all’azione contro la fame e la malnutrizione una portata parziale rispetto a qualcosa d’altro e quindi ridurre gli impegni specifici del Vertice. L’obiettivo nutrizionale andrebbe invece mirato autonomamente, pur considerando l’insicurezza alimentare come uno degli effetti della povertà. Di conseguenza gli obiettivi del Vertice vanno inquadrati fra gli strumenti essenziali della lotta contro la povertà, prima ancora della sanità e della educazione, anche se tutto è da vedersi come insieme.

8. Tale visione ci dice che la sicurezza alimentare non può essere confinata alle urgenze o al soccorso nelle situazioni di assoluto degrado ormai "non-sostenibili", anche se in tali contesti essa appare immediatamente come l’unico possibile traguardo dell’attività di "cooperazione". Pensiamo in particolare al perpetuarsi di quelle situazioni di conflitto, interno e internazionale, che causano estremo disagio alle popolazioni interessate, determinando fenomeni di spostamenti forzati con abbandono di terre coltivabili e conseguente deterioramento dei livelli di sicurezza alimentare.

9. Aggiungiamo che in un’efficace azione contro la povertà, la questione della sicurezza alimentare va inserita tra i più vasti obiettivi della protezione ambientale e quindi dei vari ecosistemi. Ciò significa che la garanzia di approvvigionamenti alimentari non dovrà solo dipendere dall’uso dei terreni o dalla loro disponibilità, ma anche da una politica contro il degrado ambientale e il mancato rispetto dell’ambiente.

10. Implicita alla sicurezza alimentare è l’esigenza di accesso ai mercati. Diventa allora particolarmente necessario, in questa prospettiva, che il commercio mondiale si apra a considerazioni di solidarietà. Parleremmo noi volentieri, qui, di globalizzazione della fraternità. Questo significa l’abbattimento effettivo delle barriere doganali, ma tenendo conto della posizione di evidente svantaggio in cui versano i Paesi a basso reddito e con deficit alimentare.

Signor Presidente,

11. Un accorto metodo di intervento della Comunità Internazionale nella lotta contro la fame deve porre la dovuta attenzione a tutti i fattori, potenziali o effettivi, della malnutrizione, ma stando attenti a non legare la sicurezza alimentare ad altre situazioni che, pur importanti, rischiano di non mobilizzare tutte le forze necessarie a motivo di differenti obiettivi e principi. Questo approccio dovrebbe segnare anche il riferimento a malattie e contagi che, propagandosi, mettono a grave rischio la salute umana e allo stesso tempo mostrano evidenti ripercussioni sulla sicurezza alimentare. Mi riferisco, in particolare, a quelle infezioni e patologie come ad esempio il virus HIV/AIDS, la malaria, le infezioni respiratorie, il morbillo, i parassiti intestinali che già nel 1992 venivano indicati dalla Conferenza Internazionale sulla Nutrizione come maggiori responsabili della insicurezza alimentare o di alcune delle sue componenti (cf. International Conference on Nutrition, Preventing and Managing infectious diseases, Theme paper No. 4, Doc. PrepCom/ICN/92/INF/9, para. 23-44).

Come sottolinea altresì il Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, a guidare questa azione, essenzialmente rivolta a garantire il diritto fondamentale a conseguire migliori condizioni di salute, concorre tra gli obblighi primari (core obligations) degli Stati, quello di "ensure access to the minimum essential food which is nutritionally adeguate and safe, to ensure freedom from hunger to everyone" (General Comment No.14, Doc. E/CN.4/2000/4, para.43). L’attività di prevenzione per malattie ed epidemie, come pure l’assistenza medica e farmacologica a quanti ne sono vittime, resta pertanto una questione di solidarietà che si trasforma in obbligo di giustizia quando la vita umana e la sopravvivenza di persone dipende dall’uso di terapie e farmaci indisponibili a causa di situazioni di povertà o di accentuata protezione dei diritti di proprietà intellettuale.

La Delegazione della Santa Sede ribadisce, anche in questo contesto, che vanno garantiti anzitutto i soggetti più vulnerabili, ma nel rispetto della coscienza di ognuno, delle visioni religiose e delle diverse culture. La prevenzione dunque deve essere capace di educare, anche nella sfera psicologica, affettiva e della sessualità, per evitare, tra l’altro, abitudini sbagliate, comportamenti a rischio o uso di sostanze che possono essere veicolo delle richiamate infezioni o malattie gravi (cf. FAO-Committee on Food Security, Doc. CFS: 2001/3, para. 31). Questo approccio permette un contributo al fine di raggiungere gli obiettivi preposti, anche a chi –e noi siamo tra questi- non condivide certe applicazioni di programmi preventivi per legittime ragioni etiche, e/o religiose, e/o culturali.

Signor Presidente,

Penso siamo qui tutti animati dal desiderio di evitare che il Vertice del prossimo novembre si limiti ad una carrellata, pur interessante e di alto profilo tecnico, di interventi e di tavole rotonde. Essi saranno utili solo se connessi con effettive manifestazioni di volontà politica e con linee operative e di mobilitazione di risorse umane e finanziarie che vadano a costituire altrettanti impegni concreti.

L’auspicio nostro finale e cordiale, Signor Presidente, è che aumenti il livello di coesione e solidarietà tra i Paesi che partecipano ai lavori di questo Comitato (e che prenderanno parte attiva all’incontro di alto livello di Novembre), così da favorire non solo propositi, pur ben articolati, ma – ripetiamo - concreti impegni.

E che il Vertice sia un Vertice!

Grazie.

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