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DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,
L'ON. FRANCESCO COSSIGA,
A SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II*

Venerdì, 4 ottobre 1985

 

Santità,

È con animo mosso da sentimenti sinceri che desidero manifestarLe il più caldo ringraziamento per l'accoglienza che Ella ha voluto con tanta premura riservarmi in questa occasione, consapevole come sono che le Sue tanto amichevoli attenzioni sono rivolte, per mezzo e al di là della mia persona, all'intera Nazione italiana.

Proprio oggi l'Italia celebra uno dei suoi Santi Patroni, Francesco d'Assisi. Dalla millenaria e multiforme animazione con cui il messaggio evangelico ha fecondato la realtà dell'Italia, è originata una delle personalità cristianamente e umanamente più alte e più forti che la nostra storia e la stessa storia dell'uomo ricordi; una testimonianza nella quale, per l'autenticità dei valori di fratellanza, di sollecitudine verso l'uomo, di pace e di riconciliazione che essa esprime, si possono riconoscere tutti gli uomini di buona volontà qualunque sia il loro credo. È pertanto segno di felice coincidenza che questa mia visita ufficiale si svolga in un giorno così ricco di significato umano e di beneaugurante ricorrenza.

L'atto che oggi sto compiendo, e di cui valuto tutto l'onore e l'impegno, rappresenta la prima solenne missione di carattere internazionale cui adempio dopo la mia elezione all'incarico di Presidente della Repubblica. Esso costituisce non solo un gesto di omaggio e di cortesia nei confronti di Vostra Santità, ma vuole anche significare l'omaggio che l'Italia tiene a rinnovare a una sede di irraggiamento di un messaggio spirituale e morale di cui è intessuta tutta la sua storia. L'eredità di cultura e di vita che affideremo alle future generazioni porta il sigillo di un nesso inscindibile, ancorché non sempre evidente con chiarezza, tra tensione religiosa e ideale e passione civile.

Come tanti altri paesi, l'Italia è profondamente mutata nelle sue strutture. Valori, modelli di comportamento, attitudini non sono rimasti estranei all'impetuoso processo di trasformazione che ha modificato le condizioni fondamentali della vita negli anni successivi al secondo tragico conflitto mondiale. Il sentire morale e civile è per molti aspetti cambiato, almeno nelle sue forme d'espressione.

Non sta a noi, che ci troviamo nel mezzo di questo processo, esprimere giudizi definitivi sulla validità delle trasformazioni in corso, né tanto meno sul loro esito futuro, non ignorando, tra l'altro, le contraddizioni intime che sempre si appalesano nel divenire dell'umana società. Possiamo tuttavia riconoscere che in questi ultimi decenni si sono aperti per il popolo italiano nuovi spazi di libertà e nuove dimensioni di consapevolezza, che hanno ulteriormente accresciuto la responsabilità che ognuno di noi porta verso se stesso e verso la comunità in cui vive. In questo senso, credo di poter dire che l'evoluzione della società italiana si è iscritta in un disegno di difesa e di valorizzazione della dignità umana e di progresso della società nel suo complesso.

È stata quindi espressione di profonda saggezza storica e, nel contempo, di grande sollecitudine nei confronti del popolo italiano la piena e costruttiva disponibilità mostrata dalla Santa Sede nel definire con i Governi della Repubblica che si sono succeduti lungo l'arco di un decennio una revisione bilaterale del Concordato, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e le disposizioni della Costituzione della Repubblica, tale che essa potesse tener conto sia della mutata fisionomia dello Stato Italiano, sia degli stessi sviluppi intervenuti nella Chiesa Cattolica per effetto del Concilio Vaticano II, grande momento di spiritualità e di riflessione sulla storia dell'uomo.

Le recenti intese che, come è stato spesso ricordato con felice espressione, costituiscono nuovi « patti di libertà e cooperazione », realizzano, a riconoscimento di una più aggiornata e matura concezione dei rapporti fra gli Stati e la Chiesa Cattolica, quella piena libertà di religione e di coscienza, senza la quale non è dato all'uomo di poter manifestare per intero la sua dignità e la sua vocazione alla libertà e alla responsabilità.

Si può dire che quelle intese hanno sanato una frattura che lacerò la storia dell'Italia e angosciò spiriti altissimi ai quali, insieme con altri spiriti altissimi di diversa matrice ideale, è legato il nostro Risorgimento: Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti, Alessandro Manzoni, Antonio Rosmini. Di quest'ultimo è interessante citare l'intuizione profetica secondo cui i rapporti tra Chiesa e Stato sono costituiti da un « sistema di armonia nella distinzione ». Le radici del cammino compiuto sono lontane e travagliate: non è questa la sede per riesaminarle. Mi piace però ricordare che proprio Antonio Rosmini scrisse una serie di articoli riguardanti l'unità d'Italia sul giornale di Cavour, per invito personale del grande artefice liberale del Risorgimento.

Un passo importante era stato già compiuto con il largo incontro maturato e consacrato nell'Assemblea Costituente sui temi della libertà religiosa e di coscienza, nel quadro più ampio delle libertà civili e democratiche e dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Cattolica, e lo Stato e le altre Chiese, comunità e confessioni religiose che su un piano di eguale libertà civile e giuridica vivono nella nostra comunità nazionale.

Con gli accordi di Villa Madama e le conseguenti intese, Stato italiano e Chiesa Cattolica hanno concluso un nuovo patto che è finalizzato all'ordinato svolgimento dei loro specialissimi rapporti, ma anche al servizio dell'uomo e alla promozione del bene comune della società, una « alleanza » che dimentica delle contrapposizioni del passato, si predispone, in spirito di reciproca lealtà e di reciproco rispetto, a favorire la ulteriore crescita della nostra comunità nazionale.

Un tempo motivo di dissidio e divisione, il rapporto fra i due ordini nel loro ambito indipendenti e sovrani è ora occasione di ritrovata. concordia e di pacificazione delle coscienze. Segno dei tempi e del maturare della storia, certo, ma anche frutto — se mi è consentito — della lungimirante visione del Suo pontificato e di quelli dei Suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI — di così cara memoria per il popolo italiano — non meno che del perseverante impegno del Parlamento e dei Governi della Repubblica.

La causa della pace tra i popoli si identifica sempre di più, nella realtà di oggi, con quella per la salvaguardia e per l'affermazione dei diritti umani e civili. I diseredati, gli emarginati, coloro che soffrono per la privazione delle elementari garanzie che rendono la vita degna dell'uomo guardano, da ogni parte del mondo, alla Sua Cattedra con la tenace speranza di chi sa di poter trovare ascolto e sostegno nella buona causa. Con la Sua missione pastorale anche negli angoli più remoti del globo, Ella si è fatta, Santità, messaggero di pace e assertore impavido dei principi irrinunciabili di umanità ovunque essi siano lesi e calpestati.

La Chiesa cattolica afferma così — io intendo — un suo ruolo di « coscienza critica » nella vita delle Nazioni e il popolo italiano che, sulla base della sua Costituzione, ha perseguito in questi quarant'anni di democratica convivenza gli stessi ideali di pace, di giustizia, di libertà reale e di promozione dell'integrale sviluppo umano, accompagna con viva partecipazione il Suo apostolico peregrinare.

L'Italia, consapevole che il nuovo nome della pace è lo sviluppo, ha intrapreso in questi ultimi anni una generosa e intensa azione a favore delle popolazioni delle aree emergenti, dove fame, indigenza, malattie gridano con sofferta insistenza all'aiuto dei paesi più prosperi. In questo ammirevole impegno che discende dalle precise decisioni dei Governi della Repubblica, indirizzate e confortate dal più volte rinnovato generale consenso del Parlamento, impegno che è fiancheggiato dalla dedizione di migliaia di volontari, mi è caro vedere l'ideale continuazione di uno dei tratti più singolari e più belli dell'anima italiana che aveva già trovato nella figura di Francesco d'Assisi un'eco universale: la capacità di manifestare la propria impareggiabile creatività in forme di umana spiritualità così ricche e autentiche da aprirsi in un gesto di fraterna solidarietà e di collaborazione verso tutti gli altri popoli al di là di ogni differenza di religione, razza, idioma, etnia.

Alla soglia di un nuovo millennio, inquieta a causa degli enormi problemi che la insidiano, e, a volte, a causa dello stesso progresso materiale, l'umanità si interroga sul cammino che sta percorrendo. Non conosciamo quali prove essa dovrà affrontare e quali sorti le siano riservate. Siamo tuttavia certi che l'uomo, sia esso mosso dalla serena e misteriosa confidenza in un disegno provvidenziale, o dalla volontà di ricercare in se stesso le ragioni ultime della sua esistenza, si cimenterà con vigore e ottimismo nell'impegno mai concluso verso una sempre maggiore umanizzazione della vita di ciascuno e della società intera. In questo suo impegno — ne sono sicuro — egli troverà sempre nella Sua Cattedra una parola di conforto, talvolta di ammonimento; un contributo fondamentale di dottrina e di millenaria esperienza, in modo che egli potrà sentirsi meno solo e più sicuro nei passi che sarà chiamato a compiere.

Sono certo di interpretare sentimenti unanimi esprimendoLe, Santità, l'ammirato apprezzamento e la solidarietà profonda del nostro popolo per come Ella svolge, nelle difficoltà dell'ora presente, questo Supremo magistero di sollecitudine e di richiamo nei confronti di tutte le genti, Supremo magistero per il cui successo formulo i voti bene- auguranti della Nazione italiana così come per la Sua personale prosperità.


*Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 2 pp. 849-852.

L’Attività della Santa Sede 1985 pp. 813-816.

 

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