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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO
DELL'AMBASCIATORE ALEJANDRO EMILIO VALLADARES LANZA

OMELIA DI S.E. MONS. PIETRO PAROLIN,
SEGRETARIO DI STATO

Lunedì, 2 dicembre 2013

 

Ill.mi Membri del Corpo Diplomatico,
Rev.di Sacerdoti,
Cari fratelli e sorelle,

Con animo commosso offriamo questa Eucaristia in suffragio dell’Ambasciatore Alejandro Emilio Valladares Lanza, che per 22 anni ha svolto con onore e dedizione l’alto ufficio di rappresentare l’Honduras presso la Santa Sede, assumendo, a partire dal 9 marzo 2008, l’incarico di Decano del Corpo Diplomatico. Questo suo servizio iniziò il 25 marzo 1991 con la presentazione delle Lettere Credenziali al Papa Giovanni Paolo II, e si è concluso nel giugno di quest’anno, quando, al suo ritorno in Patria, gli è stata affidata dal suo Governo la direzione dell’Accademia Diplomatica del Ministero degli Affari Esteri.

L’Ambasciatore Valladares Lanza, nel mettere a disposizione le sue energie e la sua professionalità per incrementare le già salde relazioni della Santa Sede con il suo Paese, ha saputo dare anche una chiara testimonianza di fede, nutrita dalla quotidiana partecipazione all’Eucaristia, mostrando nella sua persona la verità di quanto egli stesso ebbe a ricordare al momento della presentazione delle Lettere Credenziali, quando affermò che «nella radice stessa della nostra Nazione vi sono gli insegnamenti del Vangelo e una particolare venerazione a Maria Santissima invocata come Nostra Signora di Suyapa».

A partire dai suoi studi giuridico-sociali, uniti alla sensibilità per la storia e l’arte, approfittò della sua lunga permanenza nell’Urbe diventando un buon conoscitore dei tesori artistici del Vaticano e delle vicende storiche in cui sono avvolti, ricevendo anche per questo l’apprezzamento di tutti.

Tra le molte altre onorificenze concesse all’Ambasciatore nel corso della sua missione, che ha attraversato tre pontificati, mi piace qui ricordare quella che gli riconobbe il Papa Giovanni Paolo II come speciale riconoscenza per averlo accompagnato nel viaggio a Sarajevo del 12 aprile 1997, ricco di incognite e pericoli. Alla moglie, Sig.ra Martha Alegría, e alle figlie Sofía Alejandra y María del Rocío Isabel rinnoviamo l’espressione delle nostre più sentite condoglianze.

Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato infondono in noi un vivo senso di speranza, e comunicano la gioia e lo stupore suscitato dall’incontro con qualcosa di grande che si realizza nel corso della storia, divenuta ormai storia di salvezza. Si tratta di un disegno che procede per gradi e a piccoli passi, e che trova la sua pienezza di rivelazione nella persona di Gesù Cristo.

Il profeta Isaia intravede già qualcosa di inaudito. Parla apertamente di una pace universale alla fine dei giorni, di un affluire di genti di ogni nazione verso il monte del tempio del Signore (cfr 2,1-5). Vede queste moltitudini avvicinarsi alla città di Sion, rispondendo all’appello divino che invita tutti a camminare per i suoi sentieri e a lasciarsi ammaestrare dagli insegnamenti profetici. Siamo particolarmente colpiti dalle immagini delle spade che si trasformeranno in aratri e delle lance che diverranno falci. Esse sono quanto di più contrastante si possa immaginare rispetto alle vicende del tempo in cui visse il profeta, quando la costante minaccia assira induceva ad armarsi e comunque condusse alla distruzione del regno di Israele e a gravi difficoltà per quello di Giuda. Si tratta di immagini a ben vedere sempre evocatrici di un futuro che deve ancora compiersi pienamente.

Anche la pagina del Vangelo di Matteo ci meraviglia per molti aspetti (cfr 8,5-11). Ci stupisce che un militare di un esercito occupante e non appartenente al popolo ebraico si rivolga a Gesù per chiedere con tanto rispetto la guarigione di un suo soldato. Ci meraviglia la pronta disponibilità del Signore che subito afferma: «Verrò e lo guarirò» (v. 7). Ci stupisce la profonda e semplice fede del centurione, che riconosce di essere indegno di ospitare Gesù presso di sé. Ci meraviglia che un pagano diventi esempio di fede, come evidenziato chiaramente dalle stesse parole di Gesù: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!» (v. 10) Il brano poi si chiude con le parole del Signore su un futuro certo ma in quel momento così poco umanamente credibile: «Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (v. 11).

La Scrittura ci appare dunque coerente nell’indicarci come Dio abbia stabilito un universale disegno di salvezza, che dispiega i suoi effetti nei modi e nei tempi che solo il Padre conosce compiutamente, ma che nel Figlio Gesù trovano il loro culmine. Dove sembra impossibile ogni umana soluzione, la creatività di Dio e la sua misericordia operosa donano la salvezza che supera ogni speranza.

Questa Parola di Dio viene oggi ad animare anche la nostra preghiera di suffragio, ci conferma nella fede e nella speranza e ci apre il cuore alla gioia cristiana. Dentro ciascuno di noi c’è infatti l’attesa, la speranza segreta, che anche la realtà negativa per eccellenza, quella che ci appare come una barriera insormontabile, possa essere superata e trasformata. Parlo della morte, che in Cristo Risorto viene privata del suo veleno e tramutata in passaggio alla vita eterna. Tutta la Sacra Scrittura è proiettata verso quest’ultimo rovesciamento di prospettiva. Non solo le lance diverranno vomeri, non solo le spade diverranno falci, ma anche la morte diverrà vita eterna.

Senza voler precludere a Dio l’utilizzo di mezzi che solo Lui conosce, sappiamo però che a ciascuno di noi è stata indicata una porta aperta, anzi spalancata, davanti a sé per entrare in questa vita che non finisce. Questa porta è la fede, la fede in Colui che si è abbassato per innalzarci, in colui che ha dato prova con la sua ubbidienza al Padre, con segni e miracoli, ma soprattutto con il suo esodo pasquale, di saper trasformare ogni cosa, persino un piccolo gruppo di discepoli impauriti e confusi alla periferia del mondo, in un seme di speranza più forte della roccia.

È questa medesima fede che ha professato l’Ambasciatore Alejandro Emilio Valladares Lanza, per il quale oggi siamo qui riuniti in preghiera, invocando la materna intercessione della Vergine Maria. Questa fede possa sempre ristorare il nostro cuore assetato di verità e di bene, cioè della presenza salvifica di Cristo Signore. E così sia!

 

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