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71a SESSIONE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

INTERVENTO DEL SEGRETARIO DI STATO
CARDINALE PIETRO PAROLIN

New York
Giovedì, 22 settembre 2016

 

Deve cessare il frastuono delle armi

 

Signor Presidente,

Lo scorso anno, nel Suo intervento in questa stessa aula, il Santo Padre Francesco definiva l’Agenda 2030 un importante segno di speranza. Pochi giorni fa (cfr. Messaggio per la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, del 2 settembre 2016), Egli ha ripetuto il Suo apprezzamento positivo per le azioni compiute lo scorso anno dalle Nazioni Unite, incoraggiando tutti ad attuare quegli ambiziosi obiettivi: «La protezione della casa comune richiede un crescente consenso politico. In tal senso, è motivo di soddisfazione che a settembre 2015 i Paesi del mondo abbiano adottato gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e che, a dicembre 2015, abbiano approvato l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che si pone l’impegnativo ma fondamentale obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale. Ora i Governi hanno il dovere di rispettare gli impegni che si sono assunti, mentre le imprese devono fare responsabilmente la loro parte, e tocca ai cittadini esigere che questo avvenga, anzi che si miri a obiettivi sempre più ambiziosi» (Ibid, n. 4).

L’attuazione dell’Agenda 2030 comporta un’importante assunzione di responsabilità da parte dei Governi e l’impegno di tutti per il bene comune. Tale impegno implica il riconoscimento della necessità di lottare non solo per grandi obiettivi macroeconomici, ma anche per risultati specifici, duraturi ed equamente distribuiti. Tuttavia, senza una situazione finanziaria stabile, investimenti durevoli e una bilancia commerciale che favorisca la crescita interna, sarà impossibile attuare l’Agenda 2030.

Papa Francesco ha posto in evidenza che «l’economia e la politica, la società e la cultura non possono essere dominate da una mentalità del breve termine e dalla ricerca di un immediato ritorno finanziario o elettorale. Esse devono invece essere urgentemente riorientate verso il bene comune, che comprende la sostenibilità e la cura del creato. Un caso concreto è quello del “debito ecologico” tra il Nord e il Sud del mondo. La sua restituzione richiederebbe di prendersi cura dell’ambiente dei Paesi più poveri, fornendo loro risorse finanziarie e assistenza tecnica che li aiutino a gestire le conseguenze dei cambiamenti climatici e a promuovere lo sviluppo sostenibile» (Ibid, n. 3; cfr. Laudato si’, 51-52)

Occorre sempre ricordare che lo sviluppo — specialmente uno sviluppo umano integrale — non può essere imposto. Gli individui concreti, donne e uomini, devono essere i principali attori dell’Agenda 2030. L’anno scorso, in questa stessa aula, il Santo Padre affermava che: ciò «suppone ed esige il diritto all’istruzione (...) che si assicura in primo luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro figlie e dei loro figli» (Francesco, Discorso all’Assemblea Generale dell’Onu New York, 25 settembre 2015). Perciò — continuava il Santo Padre — «la misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento della nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e immediato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà di spirito ed educazione» (Ibid.)

Un tale processo di edificazione dello sviluppo umano integrale — concetto che comprende lo sviluppo economico ma non si esaurisce con esso — dovrebbe stimolare anche, mediante iniziative multilaterali, la ricerca di sistemi finanziari complementari e alternativi, capaci di assicurare risorse finanziarie accessibili e sostenibili per i più poveri.

Come Papa Francesco ha ripetuto qui lo scorso anno, «i pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita» (Ibid.), il che suppone «il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr. Laudato si’, 155) e il rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni» (Ibid.).

Lo sviluppo umano integrale, pertanto, è impossibile senza pace. Solo due giorni fa ad Assisi, Papa Francesco, insieme a molti altri leader religiosi mondiali, ha ribadito l’importanza del dialogo come via privilegiata per essere operatori di pace. I conflitti non solo rendono assolutamente impossibile il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a livello regionale ma anche distruggono le risorse umane esistenti, i mezzi di produzione e il patrimonio culturale. Oggi, come negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del secolo scorso, c’è il ricorrere della minaccia di un conflitto nucleare con le sue terribili conseguenze.

L’enorme e nefasta conseguenza delle guerre è di far sprofondare in una spirale senza uscita, di provocare l’aumento della polarizzazione politica a livello mondiale e di diminuire gli spazi entro i quali la stessa comunità internazionale può continuare a proporre soluzioni efficaci per una pace stabile e duratura.

Tra i fattori che ledono la convivenza civile all’interno delle Nazioni e minano l’intera comunità internazionale, occorre annoverare la piaga del terrorismo. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito alla metastasi del terrorismo diffusosi in molte parti del mondo. I Paesi vicini alla Siria e all’Iraq sono vieppiù divenuti vittime di atti barbarici. Al di là del Medio Oriente, atroci atti di terrorismo hanno instillato la paura nella vita quotidiana di molti in tutto il mondo.

Nel Medio Oriente, vediamo le terribili conseguenze della spirale della guerra: le molte vite distrutte; Stati caduti; tregue infrante; iniziative di pace infruttuose; tentativi falliti di risolvere alla radice le cause dei conflitti in Siria, Iraq e Libia, di trovare una soluzione alla crisi della Presidenza in Libano, e di risolvere il conflitto Israelo-Palestinese. Un fallimento continuo che ha estinto le speranze e le promesse di tutti coloro che considerano sacra e santa quella regione.

Possiamo costatare i medesimi fallimenti negli ormai annosi conflitti che continuano a opprimere ed eliminare numerose vite in Sud-Sudan, e ormai da due anni e mezzo nell’Ucraina orientale. Nonostante tali fallimenti siano più che evidenti e abbiano comportato immense sofferenze umane, siamo ancora molto lontani dal risolverne le cause alla radice. Sembra quasi che abbiamo accettato il conflitto, la guerra e il terrorismo, quali elementi della nostra nuova normalità.

Oltre all’urgenza di una tregua, del rispetto della dignità e dei diritti delle popolazioni colpite, e degli interventi umanitari, c’è pure la necessità di facilitare il negoziato con coloro che hanno la responsabilità diretta o indiretta di un determinato conflitto. Grata per il positivo risultato in Colombia, il vivo auspicio della Santa Sede è che, con la facilitazione della comunità internazionale, siano intrapresi vari formati di contatto e di dialogo per risolvere i conflitti in corso.

In particolare, fin dall’inizio del conflitto in Siria, la Santa Sede ha sollecitato le Parti a dialogare e la comunità internazionale a non risparmiare alcuno sforzo per trovare una soluzione politica. Tuttavia, la Siria è stata invasa da ogni sorta di gruppo armato. Il fragore delle armi deve tacere perché la pace possa avere un’opportunità e soprattutto perché sia portato l’aiuto umanitario necessario a quanti ne hanno più bisogno. La Santa Sede è convinta che ciò sia possibile se c’è una volontà politica di porre termine ai combattimenti.

Nonostante le attuali difficoltà, con riconoscenza possiamo ancora rintracciare in Libano la convinzione che il bene comune richiede la partecipazione e la collaborazione di tutte le componenti della società, sulla base dello stato di diritto e sull’idea che le istituzioni sono fondate sul rispetto per l’innata dignità di ogni essere umano. L’assetto costituzionale libanese, nel quale le diversità etniche, culturali e religiose sono un punto di forza e contribuiscono alla coesistenza pacifica, può essere il modello anche per una soluzione politica nella regione.

La Santa Sede ritiene pure che un rinnovato impegno a favore dello “stato di diritto” e della libertà religiosa e di coscienza nel Medio Oriente sia la strada più efficace per garantire e salvaguardare la dignità di tutti. In tale contesto, l’Accordo Globale che la Santa Sede ha firmato con la Palestina nel 2015 e che è stato successivamente ratificato da ambo le Parti, sancisce la difesa dei diritti umani più basilari, tra i quali la libertà di religione, il diritto a riunirsi pacificamente, come pure la libertà di professare pubblicamente il proprio credo religioso. Nella complessa realtà del Medio Oriente, e in particolare in Iraq e in Siria, la Santa Sede ritiene che l’Accordo Globale con la Palestina possa servire anche da modello per altri Paesi con analoghe strutturazioni sociali.

Nel contesto di rinnovati sforzi per rilanciare il processo di pace fra Israeliani e Palestinesi, la Santa Sede rinnova il proprio appello ad ambo le Parti ad astenersi da misure unilaterali e illegali di qualunque genere, che possano costituire un ostacolo alla ricerca della pace e al perseguimento della soluzione dei due Stati..

Se guardiamo nel complesso il fenomeno delle migrazioni forzate, ci troviamo di fronte a una popolazione di popoli in movimento più grande di quella di molti Stati qui rappresentati: sessantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case e dalle loro comunità a causa di persecuzioni, conflitti, violenze generalizzate e fame, e terre devastate. Un encomio va rivolto al Libano e alla Giordania per l’ospitalità che offrono a quanti sono scappati dalla guerra e dalla distruzione in Iraq e Siria, come pure alla Turchia, che ospita milioni di rifugiati siriani.

Al di là delle necessarie urgenti considerazioni su come risolvere le cause di questo esodo forzato, occorre rilevare che migrazioni e sviluppo costituiscono un binomio inscindibile. Le conseguenze degli spostamenti di massa di rifugiati e migranti minacciano di indebolire il nostro attaccamento ai valori della solidarietà e dell’ospitalità verso i bisognosi. Tali valori sono al centro del Giubileo Straordinario della Misericordia che Papa Francesco sta proponendo al mondo. Infatti, come ha sottolineato il Papa, la «Misericordia è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita» (Francesco, Bolla Misericordiæ vultus di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, 11 aprile 2015, n.2), specialmente coloro che sono più fragili e indifesi.

Rivolgendo una particolare attenzione verso quanti sono carcerati, il Papa ha rinnovato un pressante appello «alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte» (Francesco, Angelus, 21 febbraio 2016).

Senza un rispetto autentico ed assoluto per la vita non esiste uno sviluppo che sia veramente umano, integrale e sostenibile. Proprio al servizio di tale sviluppo il Santo Padre Francesco ha istituito un nuovo Dicastero della Santa Sede, il cui scopo è di promuovere la giustizia, la pace e la salvaguardia dell’ambiente e la cura dei più bisognosi. I poveri e i bisognosi sono il volto umano di quello sviluppo sostenibile che vogliamo avere sempre dinnanzi, per divenire attori responsabili di una società più giusta e realmente umana.

Grazie.