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IL SACRAMENTO
DELLA PENITENZA
NEI MESSAGGI DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
ALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

 

Prefazione
del Card. Angelo Sodano, Segretario di Stato

 

Nessuna circostanza più di quella dell'Anno Giubilare poteva essere propizia per la pubblicazione del volume, curato dalla Penitenziaria Apostolica, che raccoglie 12 documenti sul Sacramento della Penitenza, indirizzati dal Sommo Pontefice alla medesima Penitenzieria Apostolica, ai Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe ed ai sacerdoti che anno per anno partecipano al Corso sul Foro Interno tenuto dal predetto Dicastero. Ma, come esplicitamente ogni volta il Santo Padre mette in evidenza, Egli intende che tali espressioni del Suo Magistero raggiungano tutti i sacerdoti, anzi tutti i fedeli del mondo.

Connaturale, vorrei dire, la circostanza del Giubileo a questa iniziativa della Penitenzieria, perché tra i più insigni ed auspicati benefici dell'Anno Santo, il Papa indica appunto il Sacramento della Riconciliazione: « Possa uno dei frutti del Grande Giubileo dell'Anno 2000 essere il ritorno generale dei fedeli cristiani alla pratica sacramentale della confessione » (Udienza ai Vescovi Portoghesi in visita ad Limina, 30 novembre 1999).

Ben volentieri avevo scritto la prefazione per i precedenti volumi, quello del 1992, che conteneva i primi quattro documenti e quello del 1996, che aggiungeva i successivi quattro. Corde magno et animo volenti offro la mia presentazione a questo ultimo.

Non v'è alcun dubbio sull'importanza magisteriale dei documenti, poiché essi provengono dal Sommo Pontefice. Così non vi è dubbio sulla attualità e la vitalità sacra di questi testi. Ne è indice la diffusione avuta dai precedenti due volumi, ormai esauriti, e la iniziativa di alcuni Episcopati di riprodurli nelle rispettive lingue, perché siano di guida al proprio Clero. La mia presentazione contiene, infine, un fervido auspicio: che la Parola del Pastore Universale della Chiesa sia largamente conosciuta, con piena convinzione accettata, con animo apostolico tradotta in servizio sacerdotale dai destinatari, così che tutti i fedeli ne ricevano i benefici effetti di santificazione e di pace interiore.

Città del Vaticano, 2 aprile 2000.

Angelo Card. Sodano
Segretario di Stato di Sua Santità

 

 

Introduzione della Penitenzieria Apostolica

I Messaggi di Giovanni Paolo II alla Penitenzieria Apostolica ed ai penitenzieri delle basiliche patriarcali di Roma, qui raccolti in numero di dodici, rivestono un carattere peculiare, tale che raccoglierli e pubblicarli costituisce un vero e proprio servizio, non solo per chi, avendoli già conosciuti poteva desiderare di riaverli uniti, ma in generale per il pubblico più vasto dei sacerdoti: in essi infatti si svolge una profonda meditazione sul tesoro dottrinale relativo alla Confessione e così si dà uno stimolo pastorale al ministero penitenziale, che in questi anni, come viene generalmente riconosciuto, ha subito un doloroso calo, legato anche a una perdita della sua genuina immagine.

Con questo non si vuol dire che la presente raccolta sia destinata esclusivamente ai ministri del quarto sacramento. Essa si propone con ogni ragione anche ad una più ampia cerchia di lettori, particolarmente tra quei battezzati che intendono accostarsi con maggiore consapevolezza al sacramento della Confessione per lasciarsi plasmare dalla sua inesausta ricchezza.

Questi documenti contengono indicazioni vive ed attualissime di un magistero che già ne annovera tante di decisive per la vita della Chiesa. L'esplicita dichiarazione del Santo Padre di volersi rivolgere a tutti i sacerdoti del mondo, opportunamente messa in luce dall'Eminentissimo Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, nella prefazione, garantisce che mentre essi hanno un tono particolare per gli immediati destinatari, sono però soprattutto un esercizio ordinario del magistero, il magistero di Pietro, fondamento visibile della Chiesa. Questo pastore visibile, nel suo magistero, non eclissa il « buon Pastore », perché non si aggiunge a lui, ma, per così dire, lo rende presente in modo sperimentale: Gesù in persona lo ha scelto il nome stesso di Pietro per esprimere questa identità subordinata, frutto della fede.1

In effetti non siamo davanti ad annotazioni scontate ed usuali; in queste pagine, infatti, ritroviamo sì accenti che ricorrono e si dispiegano anche in altri interventi dottrinali e pastorali, ma qui con tocco loro proprio ed essenziale.

Un insegnamento pressante e vigoroso, quello del Papa, che non è costituito solo dalle parole che egli pronunzia, ma anche da una personale presenza e da una urgenza interiore, che lo sospinge, con gesto esemplarmente sacerdotale, nella basilica vaticana, il Venerdì Santo, a condividere con i confessori la « gioia e l'emozione » dell'« alto e umile e preziosissimo ministero ».2

Il Papa vuole testimoniare come al sacerdote, che prende con fede e con generosità il suo posto di ministro della Confessione, non mancano le consolazioni: la consolazione di poter incontrare direttamente i singoli fedeli, come Gesù ha accolto Zaccheo, la Samaritana, la peccatrice; la consolazione di essere ammesso oltre la soglia dei cuori, fino alle vicende più nascoste e personali; la consolazione di dire una parola giusta al momento giusto: una parola di esortazione, di pace, di misericordia, una parola che spesso ripristina nelle coscienze, con la grazia santificante, la sensibilità cristiana.

« Oggi è di moda parlare non più di sacramento della Confessione, ma di sacramento della Penitenza; questo può essere giusto in un certo senso storico superficiale, in quanto il sacramento della Confessione dei primi secoli nella coscienza ecclesiale si presentava prevalentemente sotto l'aspetto della penitenza; ma siccome tutti sanno che si trattava realmente solo di un primo germe e non di una pianta sviluppata..., non c'è nessun motivo di abbandonare la parola tradizionale ».3

Il Papa, superando il problema terminologico, espressione di una complessa teologia interpretativa, usa le parole: Confessione, ministero delle Confessioni, sacramento della Penitenza, sacramento della Riconciliazione, in un medesimo contesto nel quale è lumeggiato il molteplice contenuto e perciò il molteplice significato di un unico e medesimo sacramento.

« Qui vero ad sacramentum paenitentiae accedunt, veniam offensionis Deo illatae ab Eius misericordia obtinent et simul reconciliantur cum Ecclesia, quam peccando vulneraverunt, et quae eorum conversioni caritate, exemplo, precibus adlaborat » (LG 11).

La sera del giorno di Pasqua Gesù appare agli apostoli uniti nel Cenacolo e, nel pieno della gioia pasquale, effonde su di essi lo Spirito Santo, connettendo a questo dono la potestà e il dovere, e cioè la missione, di rimettere i peccati. Il Signore non esita a conferire ai suoi, che pur sono uomini, il potere inaudito di penetrare così profondamente nel destino dei peccatori. Egli era nato, era vissuto, era morto per i peccatori. Ma Gesù mediante quel ministero, che è stato istituito nel Cenacolo la sera di Pasqua, perdona i peccatori anche oggi con un atto dotato di efficacia attuale, che non è mera commemorazione, come taluni ritengono, della soddisfazione offerta « semel pro semper » sul Calvario: essi non si accorgono che così svuotano l'economia sacramentaria e sminuiscono la stessa infinita potenza del Sacrificio Redentore, che conferisce virtù salvifica agli atti sacramentali, così come l'infinita potenza di Dio Creatore non solo agisce direttamente, ma conferisce dignità di causa alle creature. Il sacramento della Penitenza, però, è destinato a rimettere i peccati non indiscriminatamente di tutti gli uomini, ma elettivamente di quelli che mediante il Battesimo sono entrati a fare parte, per sempre, della Chiesa e sono chiamati a viverne in pienezza il mistero; essi sono nel mondo non più da soli, ma come membra di un organismo di cui è capo il Cristo crocifisso e risorto, sorgente per i suoi di vita divina.

Da qui il filo conduttore comune che si coglie nei documenti: quello del dovere dei sacerdoti e del diritto dei battezzati, rispettivamente, di prestarsi e di accostarsi al sacramento della Penitenza, nella sua forma normale, che è quella della Confessione individuale auricolare. Il Papa, a chiare note, ribadisce il principio (contenuto nel can. 960 del C.I.C.) secondo il quale l'unico modo ordinario in cui un battezzato, consapevole di peccato grave, viene riconciliato con Dio e con la Chiesa è quello della Confessione individuale e integra, a cui segue l'assoluzione da parte del sacerdote.

Sulla base di questo dovere e di questo diritto, tra di loro correlati, nasce la raccomandazione ai sacerdoti di essere generosi, pazienti, accoglienti nel donarsi al ministero penitenziale, ed emerge, altresì, la considerazione dell'eccellenza di tale ministero, che è al di sopra di ogni altro compito sacerdotale, salva la celebrazione dell'Eucaristia. A superare una certa crisi nell'uso del sacramento della Confessione concorre, con altri fattori, proprio questa disponibilità dei sacerdoti, che non si lasciano condizionare dalla pretesa dei grandi gesti e vincono lo scoraggiamento che potrebbe derivare dal fatto che gli esiti di questo prezioso ministero spesso non attirano l'applauso, perché non si manifestano in modo sensibile e clamoroso.

Vediamo ora di cogliere, attraverso una lettura « trasversale », alcuni momenti di fondo dell'itinerario dottrinale e morale percorso da questi importanti documenti, con speciale riferimento all'enciclica Dives in misericordia,4 all'esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia,5 alla lettera Apostolica Tertio millennio adveniente 6 e alla Bolla di indizione del Grande Giubileo Incarnationis Mysterium.7 Tra il primo e l'ultimo si realizza, per così dire, un arco di pensiero, che poggia soprattutto su due pilastri, che potremmo indicare con due parole-chiave: accoglienza e verità.

Ma giova mettere in evidenza che i primi sette considerano, direttamente, soprattutto il dovere, l'impegno e la carità del sacerdote, ministro del sacramento, l'ottavo considera, direttamente, soprattutto ciò che il penitente destinatario del sacramento, laico o sacerdote che sia — poiché il sacerdote, quando si confessa, è penitente anche lui —, deve a se stesso, per così dire, e deve innanzi tutto alla volontà salvifica del Divino Istitutore del sacramento, affinché questo raggiunga in lui la piena efficacia santificatrice. Nei quattro documenti dal 1997 al 2000, l'accoglienza e la verità sono in modo più diretto riferite al Signore misericordioso, che nel Sacramento accoglie Lui il peccatore e trasforma i cuori affinché vivano nella verità; e alla Chiesa che per divino mandato dispone il peccatore e per lui media la silenziosa e realissima presenza di Dio.

Col termine accoglienza, dunque, intendiamo additare un atteggiamento di grande rispetto alla persona umana: sul piano del rapporto tra Dio e il penitente, rispetto significa che nell'operazione sacramentale Dio salvaguarda lo statuto ontologico di intelligenza e libertà che Egli stesso ha stabilito per l'uomo, soggetto responsabile dei suoi atti. L'operazione divina nella Penitenza, come peraltro in tutti i Sacramenti, agisce sulla libera disposizione del soggetto, la quale, quando è positiva, salutare, è essa stessa informata dalla grazia « praeveniente et adiuvante ». Sul piano del rapporto fra la Chiesa e il penitente, questo atteggiamento è stato sempre presente nella storia, ma negli ultimi Pontificati si è esplicitato con particolare forza. Questo atteggiamento è profondamente consono alla sensibilità moderna. Esso non teme il confronto con le risultanze più aggiornate delle scienze dell'uomo, specie la psicologia e la sociologia, ma vi si apre con la sicurezza derivante dalla parola di Dio che « manet in aeternum ». Non si tratta, però, di maggiorare (o, peggio, sostituire!) la presenza e l'azione dell'uomo nei confronti di quella del Cristo: egli, infatti, il Cristo, eccita il penitente affinché, mediante il sacerdote, si lasci liberare dal peccato e si apra alla vita nuova e divina.

Sulla base di questa sensibilità debbono essere lette alcune vive raccomandazioni, contenute nell'allocuzione del 1981: riaffermata la necessità della Confessione in ordine alla lecita e fruttuosa ricezione dell'Eucaristia, centro e cuore di tutta la vita cristiana, il Santo Padre ribadisce energicamente l'« obbligo di una specifica accusa del peccato » con atto individuale, anche dopo l'assoluzione collettiva, ed il diritto del penitente ad una Confessione privata.

Ad evitare una certa disistima nei confronti della Confessione frequente e della Confessione di « devozione », il Santo Padre riafferma il pensiero della Chiesa: il sacramento della Penitenza non è solo « strumento diretto a distruggere il peccato — momento negativo — ma prezioso esercizio della virtù, espiazione esso stesso, scuola insostituibile di spiritualità, lavorio altamente positivo di rigenerazione nelle anime del vir perfectus, in mensuram aetatis plenitudinis Christi (Ef 4,13), forma altissima di direzione spirituale ».

In questo senso ogni profilo sanzionatorio lascia il posto, sempre che ciò sia possibile, quando cioè esista nel penitente un minimo almeno di buone disposizioni, a un orientamento propositivo, in cui il battezzato possa ritrovare ed accrescere la sua vera consistenza, l'autentica verità di sé, la sua appartenenza alla comunità dei santi.

E di quanto sia necessaria questa ricerca di identità sono riprova, in questi tempi, i dati riguardanti il numero considerevole di coloro che ricorrono alle sedute psicoanalitiche e ai colloqui psicologici, non senza motivo talvolta indicati come « il surrogato laico » della Confessione.

Accoglienza, dunque, da una parte; dall'altra rispetto della verità. È questo il secondo pilastro su cui poggia la riflessione del Santo Padre, specie nel quarto documento, che considera il Sacramento della Penitenza sotto il profilo di esercizio della missione docente della Chiesa: in esso si rende manifesto che « la decisione del sacerdote di rimettere o di ritenere » il peccato non può essere soggettiva e quindi arbitraria, giacché quella del sacerdote nel sacramento della Penitenza « è funzione strumentale al servizio del Dio della verità », e quindi « presuppone un retto giudizio », una « adesione alla verità rivelata ».

L'accoglienza della persona nel ministero del perdono non può risolversi in un atteggiamento compiacente e men che meno connivente. La spiritualità del fedele, infatti, per riprendere la sua crescita deve essere ancorata ad un approdo solido ed oggettivo: alla dottrina di Cristo e della Chiesa. Gli stessi sacerdoti confessori, se obbediscono a criteri diversi, cadono nella tentazione, anzi nella colpa, di « sostituirsi a Cristo ed alla Chiesa », favorendo un permissivismo che attenua il senso del peccato « fino quasi a negarne la realtà » ed espone « al rischio della perdizione » le anime di quanti a loro si affidano.

In una parola, il bene della persona, in tutta la sua ricchezza, è subordinato al recupero, per mezzo del sacramento della Confessione, del suo rapporto soprannaturale con Dio: rapporto che non è puramente psicologico o sentimentale, ma reale ed oggettivo, sostanziato, cioè, dalla rinnovata adesione alla verità rivelata, affidata da Cristo alla Chiesa, « universale sacramento di salvezza » (LG 48; AG 5; GS 45).

Ma tra i poli ideali della accoglienza e della verità si sviluppano anche i richiami e gli avvertimenti presenti nelle altre espressioni di questo Magistero pontificale sulla Penitenza.

In quella del 1989 è svolto in modo particolare il tema della formazione del sacerdote, ministro del sacramento della Confessione, come esige il suo agire « in persona Christi ». In tale funzione egli non è soltanto un « legato di Cristo », cioè, per così dire, un incaricato a compiere l'atto sacramentale per suo mandato: egli è ben di più, in quanto « quasi raggiunge una mistica identificazione con Cristo ».

E dal richiamo alla radicale fiducia, accordata al sacerdote confessore da Gesù, istitutore del sacramento della Penitenza, e dalla Chiesa, che prossimamente lo deputa ad amministrarlo, derivano sia la retta considerazione che egli deve avere di sé e della propria missione, sia il rispetto e la confidenza profonda da parte del fedele nei suoi confronti.

Ma in questo sublime compito il confessore non è lasciato solo; l'allocuzione illumina il concetto dell'agire « in persona Christi » con la conseguente esigenza di santità per il ministro della Confessione (salva comunque la validità del sacramento), e deriva da quella mistica identificazione il dovere per lui di partecipare alla carità del Cristo, Sacerdote Eterno: ora la carità sacerdotale è frutto dello Spirito Santo, che egli riceve in pienezza per essere non solo ontologicamente capace, ma anche spiritualmente idoneo al ministero penitenziale. Di qui consegue per esigenza connaturale che quanto attiene al ministero sacerdotale nel sacramento della Penitenza sia circondato da massimo riserbo.

Sulla stessa linea di pensiero si pone il documento del 1990, in cui la Confessione è considerata nella sua origine dalla « caritas Christi » che « urget nos »; ragion per cui il sacerdote ministro del sacramento, a imitazione del Cristo, deve vivere per gli altri, non per sé, deve all'occorrenza farsi vittima; il che significa, tra l'altro, che, a parte le disposizioni di legge della Chiesa, il sacerdote che, per risparmiarsi, sostituisce all'audizione delle Confessioni individuali un'arbitraria celebrazione del rito collettivo, defrauda i fedeli, e priva di un merito incomparabile se stesso. La Confessione, inoltre, è considerata nella sua funzione di riconciliare il fedele anche con la Chiesa, e, sotto questo profilo, come giustificazione e scopo della normativa canonica della Chiesa stessa in materia penale.

La Carità di Cristo Sacerdote Eterno torna, sotto speciale profilo, nell'Allocuzione del 27 mano 1993: in essa il Sommo Pontefice esalta l'Amore di Gesù Signore per le anime come ineffabile mitezza, ricordando l'appellativo che a san Luca, l'evangelista della Misericordia, rivolge Dante Alighieri: « scriba mansuetudinis Christi ». Da questa benignissima bontà del Redentore il Papa deduce per il sacerdote confessore il criterio che « tanto maggiore sia la misericordia quanto maggiore è la miseria morale del penitente »: il Papa affida il ministero della riconciliazione al « cuore sacerdotale, che tenta, pur nella infinita distanza, di rassomigliare a Gesù mite ed umile di cuore ».

E proprio come necessaria conseguenza di quella superiore giustizia, che promana dalla Carità, nell'Allocuzione del 12 marzo 1994 il Papa riafferma la assoluta necessità del sacro silenzio, che il sacerdote confessore deve osservare sui contenuti della accusa sacramentale, « usque ad effusionem sanguinis » se è necessario. Infatti, nel suo ministero di confessore, il sacerdote agisce « in persona Christi » ed è solo a questo titolo, e solo in questo ambito, che egli può disporre della confidenza che gli fanno i penitenti accusandosi: non può assolutamente avvalersene per i suoi personali interessi o presunti superiori doveri verso la società. Analogamente il Papa ricorda la reciproca riservatezza che i fedeli debbono al confessore, non tanto per norma canonica, quanto per lealtà, per nobiltà d'animo, per la considerazione che il sacerdote, fedele all'inviolabile segreto, è privo di umana difesa.

La verità e l'accoglienza tornano nell'Allocuzione del 18 marzo 1995, quando il Santo Padre richiama ai sacerdoti confessori la saggezza nella attribuzione delle penitenze sacramentali, che debbono essere possibili secondo la maggiore o minore virtù e forza del penitente, rivolte a rimediare specificamente i mali prodotti dal peccato, atte a ricostruire una personalità cristianamente integra nel penitente, e, per quanto possibile, anche idonee a ripristinare socialmente — nella Chiesa e nel consorzio civile — l'ordine infranto, fermo restando che, nell'ambito della giustizia, la restituzione di ciò che si è indebitamente sottratto non è « penitenza » ma indipendente dovere di riparazione, cui la penitenza deve aggiungersi.

Nel Messaggio del 23 marzo 1996, nel quale l'attenzione si allarga più decisamente dal confessore al penitente, la verità e l'accoglienza informano l'insegnamento del Papa quando Egli esalta la lealtà della accusa completa, dolente e animata dal proposito dell'emenda, vissuta attuazione, dopo la caduta nel peccato, di quella « verità che rende liberi », come ha promesso Gesù nel Vangelo di san Giovanni: e quando al peccatore, trepido, anzi scoraggiato di fronte alla incombente possibilità della ricaduta, addita una vivificante speranza: la stessa dignità naturale dell'uomo, creato da Dio, e la Grazia soprannaturale, che opera sul fondamento della natura, sono indistruttibile principio della sua vera grandezza e auspicio sicuro di progrediente perfezionamento.

Nella Allocuzione del 1997, si medita sulla verità come frutto pasquale, dono cioè di Colui che è venuto al mondo « per rendere testimonianza alla Verità » e che « toglie il peccato del mondo »: la verità in Lui e per Lui è liberatrice e santificatrice; la Chiesa poi, nella certezza del suo Magistero, prepara e accompagna il momento liberatore della confessione sacramentale, per effetto del quale il peccatore — per quanto è possibile al limite creaturale — si adegua alla Verità.

Nel documento del 1998, il Santo Padre illustra il senso radicale della accoglienza offerta nel Sacramento della Riconciliazione: esso è la seconda tavola di salvezza, strumento di quella Misericordia infinita che tutti vuole accogliere, tutto e tutti indirizzando alla sua gloria, con la quale si identificano in realtà la pace e la felicità dell'uomo. Ma proprio perché si tratta della pace tra l'uomo e Dio e, cioè, della vita divina in noi, il Sacramento non è un intervento psicoterapeutico, ma una realtà soprannaturale.

Nell'insegnamento del 1999 lo sguardo si dirige sia sul sacerdote nella sua individualità, come colui che accogliendo riconcilia l'anima con Dio, sia universalmente sulla Chiesa, la quale mediante il ministero sacerdotale scrive la concreta storia della salvezza; di essa un capitolo particolarmente ricco sarà l'Anno Giubilare, nel quale l'auspicata conversione dei singoli, attuata specialmente per effetto del Sacramento della Penitenza, propizierà il consolidarsi della unità della Chiesa tutta.

L'ultimo testo, quello del 2000, è concepito in intimo nesso con la celebrazione dell'Anno Giubilare, « l'Anno del grande ritorno e del grande perdono »: ma il ritorno e il perdono si vivono soprattutto nella verità interiore dell'anima accolta dal Padre delle misericordie. Così l'ultimo documento Pontificio è anche un riepilogo degli undici che lo hanno preceduto. Esso infatti considera l'opera del sacerdote, ministro del Sacramento, come oblazione sacrificale e, quindi, pasquale; e alla medesima offerta latreutica invita il fedele che lo riceve. Nel documento si ribadisce il concetto dell'insegnamento, che il sacerdote, come ministro del Sacramento, deve impartire al penitente, comunicandogli non le sue private opinioni ma la dottrina della Chiesa. Il testo, inoltre, stimola all'apice della perfezione cristiana, esito definitivo della verità; e in questo quadro l'Indulgenza, dono caratteristico dell'Anno Giubilare, strutturalmente connesso con il Sacramento della Penitenza, riafferma l'impegno alla radicalità cristiana.

Il ministero del perdono attua l'accoglienza definitiva, quella della salvezza; per il sacerdote che ne è strumento, essa è fonte di indicibile gaudio dello spirito.

Di fronte all'autorità dottrinale ed allo spessore umano dei documenti qui presentati sarebbe forse irriguardoso trarre qualunque conclusione.

Quest'introduzione ha voluto essere, semplicemente, una pista di lettura, atta a stimolare l'attenzione e a favorire la riflessione personale.

Forse l'unico spunto che può essere richiamato al lettore è che ancora una volta la riflessione del Santo Padre — in questo caso su un tema tanto delicato come quello della Confessione — coglie l'uomo, con tutte le sue istanze, nella totalità del suo essere, nella trascendenza del suo destino, affinché egli non ceda in alcun modo alla tentazione, oggi ricorrente, di chiudersi in se stesso, ma, al contrario, si apra agli orizzonti infiniti dell'amore di Dio.

 

MESSAGGI DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
ALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

Il sacramento della Riconciliazione
e le coscienze cristiane
Penitenzieria Apostolica e penitenzieri

Sono particolarmente lieto di ricevere unitamente la Penitenzieria Apostolica e tutti i collegi dei padri penitenzieri, ordinari e straordinari, delle basiliche patriarcali dell'Urbe.

Mentre ringrazio il signor cardinale penitenziere maggiore per le cortesi espressioni con cui ha interpretato i vostri sentimenti, di gran cuore do a tutti voi il benvenuto in questa, che è la casa del padre comune, ed auspico che questo incontro di fede e di reciproca carità sia per tutti noi, che lo viviamo, una efficace ora di grazia.

È tanto maggiore la soddisfazione, che mi proviene da questa udienza, perché essa ha luogo mentre nella Chiesa si va leggendo e approfondendo l'enciclica Dives in misericordia: sotto diversi aspetti, tra loro complementari, il vostro ufficio è dedicato all'esercizio del ministero della misericordia divina; la Penitenzieria, poi, ha una parte di estrema delicatezza e di non poca importanza nell'aiutare il Papa nel suo ufficio delle chiavi e nella potestà di sciogliere e di legare. Essa abbraccia nell'ambito della sua competenza la Chiesa in tutta la sua cattolicità, senza limiti derivanti dal rito o dal territorio. I padri penitenzieri, poi, per la loro origine dai più svariati paesi del mondo, per la molteplicità delle lingue nelle quali si espri 30 gennaio 1981; cf AAS 73 (1981), pp. 201-204.

mono, e perché di fatto ad essi si rivolgono con fiducia ecclesiastici e fedeli laici di tutto il mondo, quando vengono « videre Petrum » (Gal 1,18 Vulg.), rappresentano in atto il ministero della Riconciliazione, che, per impulso dello Spirito Santo, come nella Pentecoste, si esercita sui « viri religiosi ex omni natione, quae sub caelo est » (At 2,5).

Della Penitenzieria Apostolica si vale il Papa per venire incontro ai problemi e difficoltà, che i fedeli avvertono e soffrono nell'intimo delle loro coscienze. Tale compito è caratteristico della Penitenzieria; mentre, infatti, altri dicasteri della Santa Sede agiscono in temi spirituali, sì, ma in quanto questi sono oggetto del regime esterno, essa tocca quei temi all'interno del rapporto unico, misterioso, e degno della più grande riverenza, che le singole anime hanno con Dio, loro Creatore, Signore, Redentore e Ultimo Fine. Di qui e per ciò l'altissimo e inviolato segreto concernente le pratiche del tribunale della Penitenzieria, si tratti di assoluzione da censure riservate alla Santa Sede, di scioglimento di dubbi di coscienza, spesso tormentosi, di equitative e caritatevoli composizioni di obblighi di religione o di giustizia.

E mi piace ricordare come la Penitenzieria, a parte la grazia di stato con la quale il Signore soccorre chiunque nella Chiesa svolga un compito istituzionale, goda, in questa occulta opera di risanamento e di edificazione delle coscienze, del credito di più che sei secoli di una raffinata esperienza ed altresì di apporti dottrinali, che le sono provenuti e le provengono da esperti teologi e canonisti.

Sacre indulgenze

In stretta connessione con questo ufficio, è l'altro affidato alla Penitenzieria, di « moderari », cioè la concessione e l'uso delle sacre indulgenze in tutta la Chiesa. A questo proposito voglio ricordare che l'amore, soprannaturalmente inteso, per le indulgenze, connesse come sono queste con la certezza del peccato e del sacramento della Riconciliazione, con la fede nell'al di là, specialmente nel purgatorio, con la reversibilità dei meriti del Corpo Mistico, cioè con la Comunione dei santi, è una comprensiva tessera di autentica cattolicità. Mi è caro dire al cardinale penitenziere maggiore, ai prelati e agli officiali della Penitenzieria, che ho fiducia nella loro opera e che sono ad essi grato per l'ausilio che mi prestano nel mio apostolico ministero; ed amo ripetere a loro riguardo l'incoraggiamento, che altre volte ho rivolto a tutta la curia romana: dietro e al di sopra delle carte, continuino a vedere le anime, il mistero di singole anime, per la cui salvezza il Signore vuole la mediazione di altre anime e della Chiesa tutta nella sua compagine gerarchica.

I padri penitenzieri delle basiliche patriarcali — come è noto, i francescani conventuali in San Pietro, i frati minori in San Giovanni in Laterano, i domenicani in Santa Maria Maggiore, i benedettini in San Paolo, quali penitenzieri ordinari, ed inoltre, quali penitenzieri straordinari membri di altre benemerite famiglie religiose, in San Pietro, e quelli delle rispettive famiglie degli ordinari nelle altre tre basiliche — portano il « pondus diei et aestus » (cf Mt 20,12) di ascoltare per lunghe ore, ogni giorno, e specialmente nei giorni festivi, le Confessioni sacramentali.

Confessione auricolare

La Santa Sede, con la stessa costituzione dei collegi dei penitenzieri e con le particolari norme mediante le quali, a costo di esentarli da pratiche consuetudinarie o « ex lege » delle rispettive famiglie religiose, li consacra a dedicare la totalità del loro ministero alle Confessioni, intende dimostrare nei fatti la singolarissima venerazione con la quale riguarda l'uso del sacramento della Penitenza e, in specie, la forma, che deve essere normale di esso, quella cioè della Confessione auricolare. E ricordo ancora la gioia e l'emozione che ho provate, nello scorso Venerdì Santo, nel discendere nella basilica di San Pietro per condividere con voi l'alto e umile e preziosissimo ministero che esercitate nella Chiesa.

Desidero dire ai padri penitenzieri ed altresì a tutti i sacerdoti del mondo: dedicatevi, a costo di qualsiasi sacrificio, all'amministrazione del sacramento della Riconciliazione, e abbiate la certezza che esso, più e meglio di qualsiasi accorgimento umano, di qualsiasi tecnica psicologica, di qualsiasi espediente didattico e sociologico, costruisce le coscienze cristiane; nel sacramento della Penitenza infatti è all'opera Dio « dives in misericordia » (cf Ef 2,4). E tenete presente che vige ancora, e vigerà per sempre nella Chiesa l'insegnamento del Concilio Tridentino circa la necessità della confessione integra dei peccati mortali; 8 vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma inculcata da san Paolo e dallo stesso Concilio di Trento, per cui alla degna recezione dell'Eucaristia si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale.9

Assoluzione collettiva

Nel rinnovare questo insegnamento e queste raccomandazioni, non si vuole ignorare certo che la Chiesa di recente,10 per gravi ragioni pastorali e sotto precise e indispensabili norme, per facilitare il bene supremo della grazia a tante anime, ha esteso l'uso dell'assoluzione collettiva. Ma voglio richiamare la scrupolosa osservanza delle condizioni citate, ribadire che, in caso di peccato mortale, anche dopo l'assoluzione collettiva, sussiste l'obbligo di una specifica accusa sacramentale del peccato, e confermare che, in qualsiasi caso, i fedeli hanno diritto alla propria Confessione privata.

A questo proposito desidero mettere in luce che non a torto la società moderna è gelosa dei diritti imprescrittibili della persona: come mai — allora — proprio in quella più misteriosa e sacra sfera della personalità, nella quale si vive il rapporto con Dio, si vorrebbe negare alla persona umana, alla singola persona di ogni fedele, il diritto di un colloquio personale, unico, con Dio, mediante il ministro consacrato? Perché si vorrebbe privare il singolo fedele, che vale « qua talis » di fronte a Dio, della gioia intima e personalissima di questo singolare frutto della Grazia?

Confessione, strumento di santità

Vorrei poi aggiungere che il sacramento della Penitenza, per quanto comporta di salutare esercizio dell'umiltà e della sincerità, per la fede che professa « in actu exercito » nella mediazione della Chiesa, per la speranza che include, per l'attenta analisi della coscienza che esige, è non solo strumento diretto a distruggere il peccato — momento negativo —, ma prezioso esercizio della virtù, espiazione esso stesso, scuola insostituibile di spiritualità, lavorio altamente positivo di rigenerazione nelle anime del « vir perfectus », « in mensuram aetatis plenitudinis Christi » (cf Ef 4,13). In tal senso, la Confessione bene istituita è già di per se stessa una forma altissima di direzione spirituale.

Appunto per tali ragioni l'ambito di utilizzazione del sacramento della Riconciliazione non può ridursi alla sola ipotesi del peccato grave: a parte le considerazioni di ordine dogmatico che si potrebbero fare a questo riguardo, ricordiamo che la Confessione periodicamente rinnovata, cosiddetta « di devozione », ha accompagnato sempre nella Chiesa l'ascesa alla santità.

Mi piace concludere ricordando a me stesso, a voi, padri penitenzieri, e a tutti i sacerdoti, che l'apostolato della Confessione ha già in se stesso il suo premio: la consapevolezza di aver restituito ad un'anima la grazia divina non può non riempire un sacerdote di una gioia ineffabile. E non può non animarlo alla più umile speranza che il Signore, al termine della sua giornata terrena, gli aprirà le vie della vita: « Qui ad iustitiam erudierint multos, quasi stellae in perpetuas aeternitates » (Dn 12,3).

Mentre invoco sulle vostre persone e sul vostro delicato e meritorio ministero l'abbondanza delle grazie divine, vi imparto di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica, segno della mia costante benevolenza.

Il servizio della confessione,
dovere dei sacerdoti


Servizio dei penitenzieri

Di gran cuore e con intima gioia vi accolgo in speciale udienza, carissimi prelati ed officiali della Penitenzieria Apostolica, insieme con tutti voi, padri penitenzieri delle basiliche patriarcali dell'Urbe, ordinari e straordinari.

Nel rivolgere il mio fraterno saluto a lei, signor cardinale penitenziere maggiore, e nel ringraziarla per il devoto indirizzo di omaggio, desidero esprimere subito la mia paterna riconoscenza ai frati minori conventuali, che prestano servizio nella basilica vaticana, ai frati minori, che sono penitenzieri della basilica lateranense, ai frati predicatori della basilica di Santa Maria Maggiore, ai benedettini cassinesi della basilica di San Paolo, ed inoltre a tutte le altre famiglie religiose, che mettono a disposizione loro membri come penitenzieri straordinari nella basilica vaticana, la quale, per il singolare concorso di tanti fedeli, ha maggiore necessità di confessori.

Dovere dei sacerdoti

Già nella mia allocuzione del 30 gennaio 1981 alla Penitenzieria e ai penitenzieri sottolineavo il dovere preminente dei sacerdoti di prestarsi con ogni generosità al ministero delle confessioni: dovere, a cui corrisponde lo stretto e inalienabile * 20 marzo 1989; cf AAS 81 (1989), pp. 1112-1115.

diritto dei fedeli. Tre anni dopo quell'incontro è stata pubblicata l'esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia, che tratta diffusamente dell'argomento.

Profitto di questa occasione per raccomandare vivamente ai sacerdoti di tutto il mondo di studiare con impegno, ma soprattutto di abbracciare con cuore apostolico le indicazioni di quel documento, che riflette le ansie e le speranze della Chiesa.

Formazione dei confessori

Nel presente incontro voglio piuttosto mettere l'accento sulla formazione del ministro del sacramento della Penitenza: com'è noto, la riflessione teologica ha ben chiarito come, nel sacramento della Penitenza, il ministro agisca « in persona Christi ». Ciò gli conferisce una singolare dignità (che è anche un impegno morale e deve essere una sentita urgenza del suo spirito), conformemente alle mirabili parole di san Paolo: « Pro Christo... legatione fungimur tanquam Deo exhortante per nos: obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo ».11

Vorrei anzi dire che, nel perdonare i peccati, il sacerdote va in certo modo anche al di là del pur sublime ufficio di legato di Cristo: egli quasi raggiunge una mistica identificazione con Cristo. Insegna il Concilio Vaticano II, nella costituzione pastorale Gaudium et spes,12 che il Figlio di Dio incarnato « humanis manibus opus fecit, humana mente cogitavit, humana voluntate egit, humano corde dilexit ». Questa umana operazione del Cristo redentore, specialmente quando « humano corde dilexit », deve essere oggi mediata in un modo tutto speciale dalla umanità del sacerdote confessore. E qui si tocca l'ineffabile mistero di Dio!

A Gesù, che è Dio fatto uomo, il Padre ha confidato ogni giudizio ed ogni perdono: « Filius quos vult vivificat. Neque enim Pater iudicat quemquam, sed iudicium omne dedit Filio... Qui verbum meum audit... habet vitam aeternam et in iudicium non venit, sed transiit a morte in vitam »; 13 e nella sera stessa della risurrezione, apparendo agli Apostoli, affidò ad essi la sua missione, dicendo: « Pax vobis! Sicut misit me Pater, et ego mitto vos », e continua il Vangelo: « Et cum hoc dixisset, insufflavit, et dicit eis: Accipite Spiritum Sanctum: quorum remiseritis peccata, remissa sunt eis; quorum retinueritis, retenta sunt ».14 Si direbbe che l'effusione dello Spirito Santo, che avverrà poi su tutta la comunità nascente a Pentecoste, è stata da Gesù anticipata sugli apostoli, proprio in rapporto al ministero della remissione dei peccati. Così, noi sacerdoti, nell'impartire ai fedeli la grazia e il perdono nel sacramento della Penitenza, compiamo l'atto più alto, dopo la celebrazione dell'Eucaristia, del nostro sacerdozio, e in esso realizziamo, si può dire, il fine stesso della incarnazione: « Ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum ».15

Servizio privilegiato

Considerando questa divina eccellenza del sacramento della Penitenza, che, si può dire, riverbera sul ministro in certo modo il fulgore della partecipata divinità — vengono alla mente le ispirate parole del Salmo 82(81),6, citate da Gesù stesso: « Ego dixi dii estis » 16—, ben si comprende come la Chiesa abbia circondato l'esercizio del ministero della Penitenza e della Riconciliazione di speciali cautele e del massimo riserbo.

Voglio dunque affettuosamente esortare tutti i sacerdoti affinché — sulla base di una inviolata fedeltà alla preghiera personale, nella quale otterranno i lumi e la generosità necessari per espiare per se stessi e per i loro penitenti — riservino nella gerarchia dei loro compiti un ruolo privilegiato al servizio silenzioso, e umanamente non sempre gratificante, della Confessione. E ricordo loro che, col sacramento della Penitenza, non solo essi cancellano i peccati, ma debbono avviare i penitenti sulla via della santità, esercitando su di essi, in una forma convincente, un magistero collegato con la loro missione canonica.

Servizio impegnativo

Queste medesime considerazioni giustificano la preoccupazione della Santa Sede perché nelle basiliche patriarcali dell'Urbe il ministero della Penitenza e della Riconciliazione sia svolto da sacerdoti che si distinguano per dottrina, zelo e santità di vita; e perché essa inoltre promuova con periodici aggiornamenti la loro peculiare preparazione in rapporto ai problemi, spesso gravi e delicati, che fedeli di tutto il mondo sottopongono alle chiavi di Pietro. Mentre li ringrazio per l'impegno, col quale assolvono il loro ufficio, dico ai penitenzieri di continuare con sapienza, con dolcezza e con inesausta pazienza la loro dedizione al confessionale, consapevoli del bene che faranno alle anime e del merito che essi stessi ne avranno presso il Signore.

Una parola di speciale apprezzamento voglio infine riservare alla Penitenzieria Apostolica, che non solo provvede a quanto testé ho detto circa la pastorale della Penitenza nelle basiliche patriarcali, ma è strumento della potestà delle chiavi per la soluzione di intime angosce, per il ricupero delle speranze più profonde e delle necessità più radicali delle coscienze umane. Il suo ufficio, come del resto indica il suo nome, si pone come guida, integrando poteri e risolvendo dubbi, a vantaggio dei confessori, e, per loro tramite, dei fedeli, nei casi più gravi: questo è il suo compito, questa è la sua dignità.

Su tutti voglia il Signore effondere l'abbondanza dei suoi doni, in pegno dei quali di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica.

Il senso pasquale della Penitenza
Dedizione costante e paziente

Siate i benvenuti nella casa del Padre! Ricevete e trasmettete ai vostri condiocesani, o confratelli nelle rispettive famiglie religiose, il mio saluto. Come vescovo di Roma, e successore di Pietro, avverto la necessità di richiamare a voi sacerdoti, come anche a voi, che vi apprestate a ricevere entro breve tempo il presbiterato, il precipuo dovere di offrirvi costantemente e pazientemente al ministero della penitenza, della riconciliazione e della pace. Dio, infatti: « Reconciliavit nos sibi per Christum et dedit nobis ministerium reconciliationis... pro Christo ergo legatione fungimur tamquam Deo exhortante per nos: obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo ».1

Dedizione totale

La fonte divina del perdono, che è per noi la radice vigorosa da cui deriva la forza perseverante di dedicarci al ministero del sacramento della Penitenza, è la « caritas Christi »: l'amore, cioè, di colui il quale « pro omnibus mortuus est, ut et qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est et resurrexit ».2

Il sacerdote è così chiamato a restituire ai morti nello spirito la vita divina. Sacerdote ed ostia, con Gesù Sacerdote ed 31 marzo 1990; cf AAS 82 (1990), pp. 989-991.

(1) 2 Cor 5,18-20.

(2) 2 Cor 5,15-16.

Ostia nell'Eucaristia, egli deve parimenti essere vittima immolata, e pegno di risurrezione quando ascolta le Confessioni sacramentali. Per l'imposizione delle mani da parte del vescovo, ogni presbitero viene consacrato e totalmente offerto al suo ministero per le anime a lui affidate. E poiché questa offerta corrisponde ad un vero e fondamentale diritto dei fedeli, torna opportuno a questo proposito quanto ebbi a dire ai padri penitenzieri delle basiliche patriarcali dell'Urbe nella allocuzione del 30 gennaio 1981: « Desidero mettere in luce che non a torto la società moderna è gelosa dei diritti imprescrittibili della persona: come mai — allora — proprio in quella più misteriosa e sacra sfera della personalità, nella quale si vive il rapporto con Dio, si vorrebbe negare alla persona umana, alla singola persona di ogni fedele, il diritto di un colloquio personale, unico, con Dio, mediante il ministero consacrato? Perché si vorrebbe privare il singolo fedele, che vale "qua talis" di fronte a Dio, della gioia intima e personalissima di questo grande frutto della grazia? ».17 Nella Confessione collettiva il sacerdote si risparmia, certo, sforzi fisici, e fors'anche psicologici, ma, quando viola la normativa gravemente obbligante della Chiesa al riguardo, defrauda il fedele e priva se stesso del merito della dedizione, che è testimonianza del valore di ciascuna anima redenta. Ogni anima merita tempo, attenzione, generosità, non solo nella compagine comunitaria, ma anche, e sotto un aspetto teologico si direbbe soprattutto, in se stessa, nella sua incomunicabile identità e dignità personale, e nel delicato riserbo del colloquio individuale e segreto.

Sacramento di riconciliazione

Nella Confessione sacramentale seguita dalla assoluzione ci si riconcilia con Dio e con la Chiesa: su questo ultimo elemento in particolare verte la disciplina canonica relativa al sacramento della Penitenza e in genere al foro interno, materia della quale vi siete occupati negli incontri con la Penitenzieria Apostolica. Vi esorto a considerare attentamente che la disciplina canonica relativa alle censure, alle irregolarità e ad altre determinazioni di indole o penale o cautelare non è effetto di legalismo formalistico: al contrario, è esercizio di misericordia verso i penitenti per guarirli nello spirito e per questo le censure sono chiamate medicinali.

La privazione, infatti, di beni sacri può essere stimolo al pentimento e alla conversione; è monito al fedele tentato, è magistero di rispetto e di culto amoroso verso l'eredità spirituale lasciataci dal Signore, il quale ci ha fatto dono della Chiesa, e in essa dei sacramenti. Non a caso la Penitenzieria Apostolica, emanando un documento destinato ai confessori, così si esprime: « Suprema Ecclesiae bona ita ipsi Ecclesiae cordi debent esse et sunt, ut non modo iugiter de illis tradatur doctrina et circa ea iugiter exerceatur pastoralis sollicitudo, sed etiam iuridica adhibeatur tutela, eo vel maxime quia in illis bonis stat, et illis spretis vel iniuria affectis patitur mystica Ecclesiae communio ».

Sacramento di risurrezione

Nella imminenza della santa Pasqua è bello ricordare il senso pasquale della nostra carità esercitata mediante la celebrazione del sacramento della Penitenza: in essa si rinnova la risurrezione spirituale dei nostri fratelli, e perciò è degno e giusto « gaudere... quia frater tuus hic mortuus erat et revixit, perierat et inventus est ».18 Nella enciclica Dives in misericordia ho espresso ciò che si potrebbe chiamare la teologia del perdono: da essa deriva il carattere pasquale del sacramento della Riconciliazione: « Paschale ideo mysterium culmen huius revelationis et exsecutionis est misericordiae, quae hominem potest iustum facere, iustitiamque ipsam reficere ».19

Con questi sentimenti vi affido alla Vergine Santissima, Madre del Redentore e Madre della Chiesa, rifugio dei peccatori, e con paterna benevolenza vi imparto l'Apostolica Benedizione.

Il sacramento della Riconciliazione:
magistero di verità


Potestà delle chiavi

Mi è gradito accogliervi, oggi, per esprimervi anzitutto riconoscenza per il lavoro indefesso e riservato che, in applicazione alle norme ed ai criteri impartiti dai romani Pontefici, voi svolgete in codesto dicastero per il bene delle anime, in materia che riguarda il foro interno della coscienza.

Ringrazio l'eminentissimo penitenziere maggiore, il cardinale William Baum, per le parole rivoltemi.

Saluto con voi i penitenzieri delle basiliche patriarcali dell'Urbe, grato per la loro assidua presenza nel confessionale a favore di tanti fedeli.

La vostra presenza sta a significare l'importanza del sacramento della Riconciliazione, mezzo di salvezza e di santificazione, istituito da Gesù Cristo e affidato alla Chiesa, la quale è, anche, e specialmente in rapporto all'Eucaristia, la Chiesa del giudizio e del perdono.

Prendendo lo spunto dalle chiavi decussate che adornano il palazzo apostolico vaticano, rilevo che il ministero di Pietro può essere sintetizzato, con espressione fondata sul Vangelo di Matteo, « Tibi dabo claves regni caelorum »,1 quale « potestas clavium ». La nozione evangelica delle chiavi non solo include 21 marzo 1992; cf AAS 85 (1993), pp. 346-349.

(1) Mt 16,19.

il potere giurisdizionale, ma anche l'autorità magisteriale. Ora, la potestà delle chiavi, conferita a Pietro nella sua pienezza, si estende in varia misura, in relazione alla posizione gerarchica e agli uffici svolti nella Chiesa, a tutti i sacerdoti; ma l'ufficio della remissione dei peccati, esercitato nel sacramento della Penitenza, è appunto contenuto nella « potestas clavium ».

È dunque certo che il sacerdote, nell'amministrare il sacramento della Penitenza, esercita anche un compito di magistero ecclesiale.

Pedagogia soprannaturale

Nei miei precedenti incontri con la Penitenzieria e con i padri penitenzieri ho messo in rilievo altri aspetti dello stesso sacramento. In quello del 1981 sottolineavo che « il sacramento della Riconciliazione costruisce le coscienze cristiane » e riaffermavo che « i fedeli hanno il diritto alla propria confessione privata »; in quello del 1989 invitavo istantemente i sacerdoti a riservare « al servizio della Confessione un ruolo privilegiato nella gerarchia dei loro doveri »; in quello del 1990 mettevo in luce « il senso pasquale della Penitenza: in essa si rinnova la risurrezione spirituale ».

Il sacramento della Riconciliazione, infatti, « secunda tabula salutis post baptismum », in connessione col carattere battesimale, rinnova o perfeziona l'inserzione dei fedeli nel mistero pasquale del Cristo, nuovo Adamo, dal quale deriva nell'uomo redento il ripristino, anzi, il perfezionamento della giustizia originale: « Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita »,20 e in essa della conoscenza piena della verità.

Ma se il sacramento della Penitenza, agendo « ex opere operato », infonde, o perfeziona, l'abito della fede e i connessi doni dello Spirito Santo, appartiene all'opera personale del ministro di esplicitare i contenuti della verità con particolare riferimento a quelli concernenti l'ordine morale. Già relativamente al figurale sacerdozio dell'Antico Testamento, questa funzione di soprannaturale pedagogia era stata affermata: « Un insegnamento fedele era sulla sua bocca... e ha trattenuto molti dal male. Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti » 21 e parallelamente era risuonata la terribile condanna del Signore per i sacerdoti colpevoli di non aver adempiuto all'ufficio del magistero della verità: « Voi, invece, vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro insegnamento... Perciò anch'io vi ho reso spregevoli ed abietti... perché non avete osservato le mie disposizioni ed avete usato parzialità riguardo alla legge ».22

Ma, dalle parole di Gesù, che enunciano la potestà di rimettere i peccati nel sacramento della Penitenza, risulta con ogni evidenza che l'atto sacramentale è intrinsecamente connesso ad un giudizio, e perciò stesso ad un magistero di verità: « Accipite Spiritum Sanctum: quorum remiseritis peccata, remissa sunt eis; et quorum retinueritis, retenta sunt ».23 In realtà lo Spirito Santo è « Spiritus veritatis » che « deducet vos in omnem veritatem »,24 la decisione del sacerdote di

rimettere o di ritenere, non potendo essere arbitraria, perché è funzione strumentale al servizio del Dio della verità, presuppone un retto giudizio.25

Fedeltà a Cristo e alla Chiesa

Nella esortazione apostolica Reconciliatio et Paenitentia, le parole del Vangelo di Marco « Paenitemini et credite evangelio »,26 riportate fin dall'inizio del documento, richiamano il concetto della intrinseca connessione tra la verità del sacramento e l'adesione alla verità rivelata.

È per altro evidente che la funzione del giudice delle coscienze riposa sulla potestà delle chiavi, che propriamente appartiene alla Chiesa come tale: « Quaecumque alligaveritis super terram, erunt ligata in caelo, et quaecumque solveritis super terram, erunt soluta in caelo ».27 Infatti, nella citata esortazione apostolica, al n. 12, osservavo che la « missione riconciliatrice è propria di tutta la Chiesa », e soggiungevo che nell'adempierla la Chiesa svolge un compito magisteriale: « Discepola dell'unico Maestro, Gesù Cristo, la Chiesa a sua volta, come Madre e Maestra, non si stanca di proporre agli uomini la riconciliazione e non esita a denunciare la malizia del peccato, a proclamare la necessità della conversione ».

Più avanti, al n. 29, riferendomi in particolare al sacerdote ministro del sacramento della Penitenza, scrivevo: « Come all'altare, dove celebra l'Eucaristia, e come in ciascuno dei sacramenti, il Sacerdote, ministro della Penitenza, opera "in persona Christi". Il Cristo, che da lui è reso presente e che per suo mezzo attua il mistero della remissione dei peccati, è colui che appare come fratello dell'uomo, pontefice misericordioso... pastore... medico.., maestro unico che insegna la verità e indica le vie di Dio, giudice dei vivi e dei morti, che giudica secondo la verità e non secondo le apparenze ».

Di qui l'ineludibile conseguenza che il sacerdote, nel ministero della Penitenza, deve enunziare non le sue private opinioni, ma la dottrina di Cristo e della Chiesa. Enunziare opinioni personali in contrasto col magistero della Chiesa, sia solenne sia ordinario, è, perciò, non solo tradire le anime, esponendole a pericoli spirituali gravissimi e facendo subire loro un angoscioso tormento interiore, ma è contraddire nel suo stesso nucleo essenziale il ministero sacerdotale.

Fedeltà alla missione della Chiesa

Nel richiamare questa verità e questa gravissima responsabilità so bene che moltissimi sacerdoti, fedeli al loro ministero, realizzano nel confessionale la divina missione della Chiesa: « Euntes ergo docete omnes gentes... docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis » 28 e offrono in tal modo alle anime la via della salvezza: « Qui crediderit... salvus erit ».29

Certamente tutti voi avete come criterio dottrinale e pastorale l'insegnamento della sede di Pietro. Perciò, per voi si eleva la mia preghiera di ringraziamento a Dio: infatti, voi sacerdoti siete, e voi prossimi candidati al sacerdozio sarete, operatori di verità e di santità, fedeli dispensatori dei misteri di Dio.

Con questi sentimenti, a voi ed a quanti in tutta la Chiesa degnamente si dedicano al ministero della Riconciliazione sacramentale, di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Il cuore del sacerdote confessore
immagine della mitezza di Cristo

Mi è felice occasione di compiacimento la vostra presenza in questa, che è e dovete considerare casa paterna, Signor Cardinale Penitenziere Maggiore, Prelati ed Officiali della Penitenzieria, Padri Penitenzieri Ordinari e Straordinari delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, e voi, cari alunni, di recente ordinati o anelanti a ricevere presto l'Ordinazione.

I confessori uniti con la Sede di Pietro

Il compiacimento deriva sia dalla vostra affettuosa unione col Successore di Pietro che, qui e ora, si fa quasi tangibile, sia dalla speciale vostra condizione di Penitenzieri, che dedicate il vostro impegno ministeriale in modo privilegiato al sacramento della Penitenza, ovvero di sacerdoti alle vostre primissime cure pastorali, o ancora di candidati al sacerdozio, i quali prima di assumere il particolare ufficio, che la Provvidenza, mediante la voce dei Superiori gerarchici, vi assegnerà nella Chiesa, con la frequenza al corso sul foro interno tenuto dalla Penitenzieria Apostolica, avete inteso approfondire la vostra preparazione in ordine al servizio delle anime nella remissione del peccato. Al compiacimento è unita la gratitudine al Signore, poiché Egli nel vostro impegno e nella vostra diligenza rende evidente che continua a suscitare per il suo Popolo ministri di perdono e di riconciliazione.

27 marzo 1993; cf AAS 86 (1994), pp. 78-82.

L'Ordo Paenitentiae oggi vigente così esprime, nella formula dell'assoluzione, le grandi realtà nelle quali si attua il ritorno dell'uomo peccatore a Dio e si ripristina il suo ordine interiore: « Dio padre di misericordia... ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace ». Orbene, il sacramento della Penitenza — ministero della Chiesa — produce il perdono di Dio, in quanto agisce per virtù divina, quali che siano il merito o il demerito personale e le qualità umane del ministro: così in proposito insegna (per tutti i sacramenti, non solo per quello della Penitenza) il Catechismo della Chiesa Cattolica: « I sacramenti conferiscono la grazia che significano. Sono efficaci, perché in essi agisce Cristo stesso: è Lui che battezza, è Lui che opera nei suoi sacramenti per comunicare la grazia che il sacramento significa. Il Padre esaudisce sempre la preghiera della Chiesa del suo Figlio »; 30 « È questo il significato dell'affermazione della Chiesa: i sacramenti agiscono ex opere operato ».31

La pace restituita

Indubbiamente la pace annunciata dalla formula sacramentale, pace soprannaturale e che, pertanto, « exsuperat omnem sensum »,32 deriva anch'essa nell'anima « ex opere operato »; ma, nei limiti in cui ciò è possibile, attesa la sua trascendenza soprannaturale, la percezione gratificante di questa pace da parte del soggetto del sacramento dipende anche in notevole misura dalla personale santità del sacerdote, ministro del sacramento della Penitenza, dalla sua sapienza coltivata nello studio, dalla sua sensibilità psicologica, dalla sua accogliente umanità: egli, infatti, incoraggia a perseverare nella grazia restituita, ed alimenta la fiducia nella possibilità della salvezza, stimola all'umile gratitudine verso il Signore, ed aiuta (salvo casi patologici o ai limiti della normalità) a ricostruire l'equilibrio della coscienza e la sanità del giudizio.

Nelle mie precedenti allocuzioni a questo uditorio ho fissato l'attenzione prevalentemente su aspetti dogmatici, morali e canonistici del sacramento della Penitenza; esse sono state raccolte in volume e accompagnate da un sintetico commento a cura della Penitenzieria Apostolica; mi conforta sapere che hanno avuto larga diffusione, e spero che giovino per l'auspicata ripresa di un uso frequente del sacramento della Penitenza. Considerando ora in concreto l'amministrazione del sacramento del perdono, amerei intrattenermi sui menzionati aspetti di santità, sensibilità psicologica e accogliente umanità del ministro.

Santi e santificatori

Il confessore deve impegnarsi al massimo affinché, accanto all'effetto essenziale, che l'« opus operatum » sempre produce, supposte le condizioni di validità, si producano anche a favore del penitente, nel mistero della Comunione dei Santi, i frutti della sua personale santità: per virtù di intercessione presso il Signore, per forza trascinante di esempio, per l'offerta che il sacerdote santo fa delle sue espiazioni a vantaggio del penitente. Si tratta di cose ben evidenti. Ma desidero insistere affinché la carità faccia sì che il vostro non sia mai « nudum ministerium » penitenziale, ma un dono paterno e fraterno accompagnato dalla vostra preghiera e dal vostro sacrificio per le anime, che il Signore mette sul vostro cammino: « Perciò... completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa ».33 Così l'esercizio del ministero è santo ed è strumento di santificazione per lo stesso ministro.

Sul sacerdote confessore incombe il dovere grave di possedere dottrina morale e canonistica adeguata almeno ai « communiter contingentia », e cioè al comportamento umano nell'ordinario dei casi, tenuto particolarmente conto delle condizioni generali dell'« ethos » socialmente dominante. Dico almeno, ma aggiungo subito che tale preparazione dottrinale deve sempre accrescersi e consolidarsi, sulla base dei grandi principi dogmatici e morali, i quali consentono di risolvere cattolicamente anche le situazioni problematiche che si affacciano alle coscienze, nell'incessante evoluzione culturale, tecnica, economica, e così via, della storia umana. Anche qui, il Catechismo della Chiesa Cattolica è paradigmatico: esso autorevolmente propone il giudizio morale da formulare su realtà della vita umana, effettivamente presentatesi, o divenute statisticamente diffuse, in tempi recenti; si è detto a questo proposito che il Catechismo considererebbe nuovi precetti o nuovi peccati, mentre esso non fa che applicare a modalità dell'agire umano, ora divenute comuni, l'identica legge divina, naturale o rivelata. Impegno particolarmente importante e delicato, nel quale applicare la necessaria solidità della dottrina, è per il confessore quello di facilitare al penitente l'accusa dei peccati, contemperando con l'esigenza di una morale completezza, irrinunciabile per i peccati mortali, quanto alla specie, alle circostanze determinanti per la specie stessa, e al numero, quella di non rendere la confessione odiosa o penosa, specialmente a coloro, la cui religiosità è debole o di cui è incipiente il processo di conversione. A questo riguardo mai si raccomanderà abbastanza la delicatezza circa le materie oggetto del sesto precetto del Decalogo.

Umiltà e cultura teologica e psicologica

Occorre inoltre considerare la possibilità che la limitatezza umana ponga il ministro della Penitenza, anche senza sua colpa, di fronte ad argomenti sui quali egli non ha un'approfondita preparazione. Vige allora l'aureo principio del dottore moralista sant'Alfonso Maria de' Liguori: « Saltem prudenter dubitare ». La preparazione dottrinale del confessore dovrà esser tale da consentirgli almeno di percepire la possibile esistenza di un problema. In tal caso la prudenza pastorale unita all'umiltà, tenendo conto dell'urgenza o meno, dell'ansia o meno del penitente, e delle altre concrete circostanze, lo porterà a scegliere se inviare il penitente stesso ad un altro confessore o fissare un appuntamento per un nuovo incontro e nel frattempo prepararsi: a questo riguardo giova tener presente che sono disponibili i volumi dei « probati auctores », e che, salvo il rispetto assoluto del sigillo sacramentale, si può ricorrere a sacerdoti più dotti e sperimentati, in particolare si può ricorrere — torna opportuno dirlo qui — alla Penitenzieria Apostolica, che è sempre pronta ad offrire per casi concreti, e quindi individuali, il suo servizio di consulenza, munito di valore autoritativo.

Il sacramento della Penitenza non è e non deve diventare una tecnica psicoanalitica o psicoterapeutica. Tuttavia, una buona preparazione psicologica, ed in generale nelle scienze umane, consente certamente al ministro di meglio penetrare nel misterioso ambito della coscienza con l'intento di distinguere — e spesso non è facile — l'atto veramente « umano », quindi moralmente responsabile, dall'atto « dell'uomo », talvolta condizionato da meccanismi psicologici — morbosi o indotti da abitudini inveterate — che tolgono la responsabilità o la diminuiscono, spesso senza che lo stesso soggetto agente abbia chiara nozione dei limiti discriminanti tra le due situazioni interiori. Si apre qui il capitolo della carità paziente e comprensiva che si deve avere verso gli scrupolosi. Al tempo stesso, occorre chiaramente affermare che troppo spesso certi atteggiamenti del pensiero moderno scusano indebitamente comportamenti che, a motivo del volontario inizio di un'abitudine, non sono o non sono totalmente scusabili. La finezza psicologica del confessore è preziosa per facilitare l'accusa a persone timide, soggette alla vergogna, impacciate nell'eloquio: questa finezza, unita alla carità, intuisce, anticipa, rasserena.

Nostro Signore Gesù Cristo ha trattato i peccatori in un modo, che rivela nella concretezza dei fatti ciò che san Paolo scrive a Tito: « benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri », si è resa visibile la benignità di Dio, nostro Salvatore.34 Basti meditare sul racconto evangelico della peccatrice convertita,35 sulla donna adultera nella toccante pagina del Vangelo di san Giovanni 36 e sulla stupenda parabola del figlio prodigo.37 Il sacerdote, trattando con i peccatori nel sacramento della Penitenza, si ispiri a questo divino Modello, chiedendo al Signore la grazia di poter meritare il titolo che Dante Alighieri riserva a san Luca: « Scriba mansuetudinis Christi », uno scriba che incide il suo racconto non sulle pagine di un libro, ma sulle pagine viventi delle anime. Così il sacerdote confessore non deve mai manifestare stupore, qualunque sia la gravità, l'impensabilità, per così dire, dei peccati accusati dal penitente, mai deve pronunciare parole che suonino di condanna alla persona anziché al peccato, mai deve inculcare terrore anziché timore, mai deve indagare su aspetti della vita del penitente, la cui conoscenza non sia necessaria per la valutazione dei suoi atti, mai deve usare termini che ledano anche solo la finezza del sentimento, anche se, propriamente parlando, non violano la giustizia e la carità; mai deve mostrarsi impaziente o geloso del suo tempo, mortificando il penitente con l'invito a far presto (salva, come è chiaro, l'ipotesi in cui l'accusa venga fatta con una inutile verbosità). Quanto all'atteggiamento esterno il confessore mostri un volto sereno ed eviti gesti, che possano significare meraviglia, riprovazione, ironia. Analogamente, voglio ricordare che non si deve far pesare sul penitente il proprio gusto, ma rispettare la sua sensibilità per quanto concerne la scelta della modalità della confessione, cioè se faccia a faccia o attraverso la grata del confessionale.

Il Cuore che ha tanto amato gli uomini

Infine, una riassuntiva raccomandazione: tanto maggiore sia la misericordia quanto maggiore è la miseria morale del penitente. E se a confessarsi è un Sacerdote, più umiliato per le sue colpe di un penitente laico, e forse più esposto allo scoraggiamento a motivo della sua stessa dignità profanata, pensiamo che senza una parola di rimprovero « Dominus respexit Petrum » 38 — quel Pietro che solo poche ore prima aveva ricevuto il sacerdozio e subito era caduto — e con quello sguardo amorevole in un istante lo sollevò dall'abisso.

Come vedete, in questo nostro colloquio, molto ha parlato la ragione illuminata dalla Fede; vorrei che nell'esercizio del ministero della Penitenza, soprattutto parlasse il cuore infiammato dalla carità, il cuore sacerdotale, che tenta, pur nella infinita distanza, di rassomigliare a Gesù mite ed umile di cuore. Ve lo conceda la divina misericordia, di cui, carissimi Fratelli, sia per voi auspice l'Apostolica Benedizione.

Il rispetto del sigillo sacramentale
fino all'effusione del sangue

Ringrazio il Signore, che anche quest'anno mi offre la gioia della vostra presenza: di Lei, Signor Cardinale Penitenziere Maggiore, che ringrazio per i sentimenti espressi nell'indirizzo rivoltomi, di voi, Prelati ed Officiali della Penitenzieria, Padri Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche patriarcali dell'Urbe. Sono lieto di accogliere anche voi, giovani Sacerdoti o prossimi ordinandi al Presbiterato, che anticipate nel desiderio il vostro sacro ministero, e che perciò, in rapporto ad una delle più alte e delicate attuazioni di esso, vi siete voluti specificamente preparare profittando del corso sul foro interno, che ogni anno la Penitenzieria Apostolica organizza e svolge.

Questa gioia deriva, in primo luogo, dalla constatazione della vostra sincera devozione alla Cattedra di Pietro, la cui « potior principalitas » il Cardinale Baum ha ricordato rifacendosi alla veneranda testimonianza di Ireneo. È una gioia che scaturisce poi dall'opportunità che il nostro incontro mi offre di tornare su temi attinenti al sacramento della Penitenza, sempre di vitale importanza per la Chiesa e oggi di speciale attualità.

Offerta totale alle anime

Mentre apro il mio animo riconoscente ai Membri della Penitenzieria e ai Padri Penitenzieri, perché dedicano il meglio delle loro energie alla pastorale della Riconciliazione, sottolineo 12 marzo 1994; cf AAS 87 (1995), pp. 75-79.

che l'esistenza di un Dicastero con tale specifico compito, e la destinazione a tempo pieno di tanti Sacerdoti, appartenenti a illustri Famiglie religiose, a questo ministero nelle principali Basiliche di Roma indicano il posto privilegiato che la Santa Sede attribuisce a questa funzione sacramentale.

Mi è caro specificare che il ringraziamento va, oltre che ai singoli Padri Penitenzieri, anche alle loro Famiglie religiose, perché esse, ben comprese di questa esigenza e del singolare frutto di bene che ne consegue, in armonica cooperazione con la Penitenzieria Apostolica e sulla base di secolari disposizioni emanate dai Sommi Pontefici, generosamente provvedono, a costo di sacrificio, i soggetti idonei, e con superiore spirito subordinano certe peculiarità delle loro consuetudini al preminente compito assegnato dalla Santa Sede.

Desidero ancora mettere in rilievo la vostra provenienza dai vari Continenti. Questa circostanza corrisponde all'intenzione del Papa di far pervenire a tutti i confessori del mondo la sua meditazione, la sua raccomandazione, la sua speranza a proposito del ministero della Riconciliazione. Esso deve essere protetto nella sua sacralità, oltre che per i motivi teologici, giuridici, psicologici sui quali mi sono intrattenuto nelle precedenti analoghe allocuzioni, anche per il rispetto amoroso dovuto al suo carattere di rapporto intimo tra il fedele e Dio. È Dio infatti Colui che il peccato offende ed è ancora Dio che perdona il peccato. Lui che scruta « ciò che è nell'uomo », cioè la coscienza personale, e si degna di associarsi in questo colloquio risanatore e santificatore l'uomo Sacerdote, elevandolo alla ineffabile prerogativa di agire « in persona Christi ».

Colui che vede nel segreto

Avendo Nostro Signore Gesù Cristo stabilito che il fedele accusi i suoi peccati al ministro della Chiesa, con ciò stesso ha sancito l'incomunicabilità assoluta dei contenuti della confessione rispetto a qualunque altro uomo, a qualunque altra autorità terrena, in qualunque situazione, La disciplina canonica vigente regola questo dirittodovere, fondato sulla divina istituzione, con i canoni 728, § 1, n. 1, e 1456, § 1, del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, per le Chiese di quel Rito e, per la Chiesa di Rito Latino, con i canoni 983 e 1388 del Codice di Diritto Canonico. Ed è molto significativo che il nuovo Codice, per avendo mitigato in quasi tutte le altre sfere del diritto penale le sanzioni contro i trasgressori, a questo proposito invece ha mantenuto in vigore le massime pene.

Al Sacerdote che riceve le confessioni sacramentali è fatto divieto, senza eccezione, di rivelare l'identità del penitente e le sue colpe; e precisamente, per quanto riguarda le colpe gravi, il Sacerdote non può farne parola nemmeno nei termini più generici; per quanto riguarda le colpe veniali, non può assolutamente manifestarne la specie, tanto meno l'atto singolare.

Non basta però rispettare il silenzio per quanto attiene alla identificazione della persona e delle sue colpe: bisogna rispettarlo anche evitando qualunque manifestazione di fatti e circostanze, il cui ricordo, pur non trattandosi di peccati, può spiacere al penitente, specialmente se il farne parola gli comporta un inconveniente: si veda in proposito il Decreto del S. Uffizio 39 che condanna categoricamente non solo la violazione del sigillo, ma anche l'uso della scienza acquisita in confessione, quando ciò comporta comunque il « gravamen paenitentis ». Tale assoluto segreto riguardo ai peccati e la doverosa rigida cautela per gli altri fattori qui ricordati legano il Sacerdote non solo vietando una ipotetica rivelazione a terze persone, ma anche l'accenno dei contenuti della confessione allo stesso penitente fuori del sacramento, salvo esplicito, e tanto meglio se non richiesto, consenso da parte di lui.

Delicatezza reciproca nel riserbo

Direttamente questa totale riservatezza è a beneficio del penitente. Di conseguenza, non sussiste per lui né peccato né pena canonica, se spontaneamente e senza provocare danni a terzi rivela fuori confessione quanto ha accusato. Ma è evidente che, almeno per un patto implicito nelle cose, per un dovere di equità, e, vorrei dire, per un senso di nobiltà verso il Sacerdote confessore, egli deve a sua volta rispettare il silenzio su ciò che il confessore, confidando nella sua discrezione, gli manifesta all'interno della confessione sacramentale.

La giusta severità della sanzione

A questo riguardo, è mio dovere richiamare e confermare quanto, mediante Decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede,40 è stato disposto per reprimere ed impedire l'oltraggio alla sacralità della confessione, perpetrato mediante i mezzi di comunicazione sociale.

Debbo inoltre deplorare alcuni disdicevoli e dannosi episodi di indiscrezione che, in questa materia, si sono verificati di recente con sconcerto e pena dei fedeli: « Ne transeant in exemplum! ».

Considerino qui i Sacerdoti che le loro leggerezze ed imprudenze in questo campo, anche se non toccano gli estremi previsti dalla legge penale, producono scandalo, scoraggiano i fedeli dall'accostarsi al sacramento della Penitenza, oscurano una gloria due volte millenaria che ha avuto anche i suoi martiri: ricordo per tutti san Giovanni Nepomuceno.

Considerino a loro volta i fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza, che, chiamando in causa il Sacerdote confessore, attaccano un uomo senza difesa: la divina istituzione e la legge della Chiesa lo obbligano infatti al totale silenzio « usque ad sanguinis effusionem ».

Confido che per nessuno dei presenti valga, grazie a Dio, il rimprovero, ma per tutti vale il monito, e tutti dobbiamo con assidua preghiera implorare l'eroismo di una fedeltà incontaminata al sacro silenzio.

Per non rimanere solo con questa impressione negativa, vorrei aggiungere le cose positive che si vedono, soprattutto la grande affluenza dei penitenti che si confessano a Roma e altrove, specialmente nei Santuari. C'è una rinascita del Sacramento, soprattutto tra i giovani, come si è notato nelle Giornate Mondiali della Gioventù, specialmente a Denver.

Se non mancano i penitenti, non mancano nemmeno i confessori. Se una volta si poteva temere che il Sacramento della Riconciliazione stesse per essere dimenticato, oggi si assiste ad una sua rinascita.

Questo vuol dire che lo Spirito Santo è sempre presente ed opera attraverso di noi, opera sopra di noi, trova le sue strade e noi dobbiamo ricevere i frutti del suo lavoro.

Per questo mi rallegro. Vorrei che il nostro incontro di oggi fosse anche un incontro di gioia, fosse un incontro prepasquale, con i voti pasquali che sono sempre di grande gioia per la Risurrezione.

La gioia della risurrezione

La Risurrezione è sempre presente nel Sacramento della Penitenza e tanti risorgono, anche i grandi peccatori. È merito di molti movimenti che hanno suscitato la consapevolezza dell'importanza del Sacramento della Penitenza e del perdono anche nei criminali o nei brigatisti. Io ho parlato con queste persone.

Dobbiamo sempre ritornare alla sacra memoria dei grandi confessori della Chiesa come erano san Giovanni Nepomuceno, il Curato d'Ars Jean-Marie Vianney, e come è stato Padre Pio nei nostri tempi. Anche a Roma si conoscono molti grandi confessori del passato e del presente fra i diversi Padri delle Congregazioni religiose. Ci sono veri martiri del confessionale in diverse chiese romane come nella Basilica di San Pietro.

Affido alla misericordia di Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote e alle preghiere di Maria SS.ma, Madre della Chiesa e Rifugio dei peccatori, queste esortazioni e questi voti, mentre, quale pegno di costante affetto, a tutti imparto la mia Benedizione.

La penitenza sacramentale
espiazione e rinnovamento dello spirito

Riesce sempre caro al mio cuore l'incontro con i fedeli di ogni condizione sociale e canonica, in questa preziosa e pur familiare dimora del Vaticano, accanto al « trofeo » del Pescatore di Galilea, qui ove oggi egli è glorificato, ma un giorno subì il martirio, unito, anche nella forma di esso, al sacrificio salvifico del Redentore. L'universale paternità di Pietro e dei suoi successori è infatti per eccellenza radicata nella croce e, in virtù della croce, è feconda di vita eterna.

Ma questa mia gioia ha una particolare intensità, quando i figli che vengono « videre Petrum » sono i sacerdoti e i candidati al sacerdozio: essi infatti, per la missione di cui sono o saranno presto investiti, sono partecipi delle ansie, delle gioie, dei dolori, della dedizione della Chiesa Madre, la quale, applicando l'efficacia redentrice della croce, opera nei fedeli, anzi, in tutto il genere umano, il dono divino della conversione e della santità.

Rendo perciò grazie al Signore per l'odierno incontro con voi, componenti della Penitenzieria Apostolica, Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali di Roma, e cari giovani, novelli sacerdoti o alunni prossimi alla sacra Ordinazione, che avete fruttuosamente preso parte presso la stessa Penitenzieria al consueto corso di studio sul foro interno.

18 marzo 1995; cf AAS 87 (1995), pp. 1033-1038.

Desidero cogliere questa opportunità per continuare una meditazione, scandita nelle analoghe allocuzioni degli anni scorsi, svolgendo in ulteriori aspetti l'inesausto tema del sacramento della Riconciliazione.

L'offesa alla Maestà e la reintegrazione della giustizia

Il sacerdote, come ministro del sacramento della Penitenza, deve modellarsi, in questo sublime e vitale compito, su Gesù, maestro di verità, medico delle anime, delicato amico, che non tanto rimprovera, quanto corregge e incoraggia, giustissimo e nobilissimo giudice, che penetra nel vivo della coscienza e ne custodisce il segreto. A Gesù assimilato, il sacerdote confessore deve poter concludere il suo colloquio con il penitente con un fondato auspicio riecheggiante l'infinita misericordia del Signore: « Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più ».41

In vista appunto di questa stabile emenda del penitente, il confessore, da una parte deve offrirgli motivi di ragionevole e soprannaturale fiducia, che rendano atta la sua anima a recepire fruttuosamente l'assoluzione e garantiscano la continuazione dei buoni propositi in una vita serenamente cristiana, dall'altra deve assegnargli una congrua soddisfazione, o penitenza, che in primo luogo ripari, nella misura possibile alla limitatezza umana, l'offesa recata dal peccato alla maestà di Dio, Creatore, Signore e Legislatore; quindi, come farmaco spirituale, rafforzi, unitamente alla accennata fiducia, i buoni propositi di virtù e, anzi, faccia esercitare le virtù, cooperando con la grazia santificante, restituita o aumentata nel sacramento della Penitenza, che offre anche valida difesa contro le tentazioni più dure.

Per quanto concerne la fiducia da infondere nel penitente in rapporto al suo futuro, si consideri che nel processo della giustificazione, esposto dal Concilio di Trento con mirabile chiarezza, devono concorrere sia il timore che la speranza: « Peccatores se esse intelligentes, a divinae iustitiae timore, quo utiliter concutiuntur, ad considerandam Dei misericordiam se convertendo, in spe eriguntur, fidentes, Deum sibi propter Christum propitium fore ».42

Per eccesso di fiducia, se così si può dire, v'è chi non ricava positiva e stabile emenda, pur confessandosi con verità ed esattezza, perché il non superato orgoglio lo porta a confidare troppo in se stesso, o, ben peggio a confidare in se stesso anziché nella grazia di Dio. Fenomeno inverso, ma ugualmente grave, è quello di chi fa sì il debito spazio alla grazia di Dio, ma presume alla leggera di ottenerla senza la corrispondenza e la collaborazione, che Dio richiede da parte dell'uomo.

Al contrario, per difetto di fiducia v'è chi o addirittura non si accosta al sacramento della Penitenza, o accostandosi non si pone nelle disposizioni necessarie affinché il rito possa concludersi efficacemente con l'assoluzione, perché, edotto dal suo passato circa la propria debolezza, si ritiene certo di future cadute e, identificando erroneamente il giudizio intellettuale, diciamo pure la previsione di altre cadute, con la volontà di cadere e con l'attuale difetto di sincero proposito di non cadere, si perde d'animo e così dichiara al confessore di non essere debitamente disposto. Sarebbe veramente triste se in tale errore, indice anche di poca conoscenza dell'animo umano, cadesse persino qualche confessore.

A queste disposizioni estreme il confessore deve opporre appropriato antidoto: a coloro che presumono inculchi l'umiltà, che è verità, secondo il monito della divina parola: « Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere » 43 e: « Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore ».44 A coloro che sono paralizzati da quella sfiducia, che non è il debito salutare timore, ma una raggelante paura, spieghi che la consapevolezza della propria infermità non vuol dire quiescenza alla medesima, ma anzi può e deve essere spinta a reagire, perché, anche questa è parola di Dio: « Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ».45 In merito non sarà fuori luogo ricordare che la fede insegna la possibilità di evitare il peccato con l'aiuto della grazia.46

Proporzionalità e contrarietà della pena

Quanto alla salutare penitenza da assegnare, criterio necessario è quello di una equa misura e, soprattutto, di una saggia opposizione ai peccati rimessi e quindi di corrispondenza agli specifici bisogni del penitente.

Ascoltiamo anche qui il richiamo della Sacra Scrittura: « Non esser troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato »,47 e, per quanto attiene alla stessa struttura del sacramento, di cui la penitenza è parte integrante, sentiamo il Concilio Tridentino: « Si quis negaverit, ad integram et perfectam peccatorum remissionem requiri tres actus in paenitente quasi materiam sacramenti paenitentiae, videlicet contritionem, confessionem et satisfactionem, quae tres paenitentiae partes dicuntur; aut dixerit duas tantum esse paenitentiae partes, terrores scilicet incussos conscientiae agnito peccato, et fidem conceptam ex Evangelio vel absolutionem, qua credit quis sibi per Christum remissa peccata: anathema sit ».48

Mediante la preghiera...

Sulla scorta di questi insegnamenti e considerando da una parte l'economia della grazia, che accompagna, sostiene ed eleva l'operare dell'uomo, e dall'altra le leggi della psicologia umana, risulta evidente che la soddisfazione sacramentale deve essere innanzitutto preghiera: essa infatti loda Dio e detesta il peccato come offesa a Lui irrogata, confessa la malizia e la debolezza del peccatore, chiede umilmente e fiduciosamente l'aiuto, nella consapevolezza dell'incapacità dell'uomo a qualunque gesto salutare se non lo dispone a ciò l'aiuto soprannaturale del Signore,49 che appunto con la preghiera si implora; ma se si implora vuol dire che si ha la speranza teologica di ottenerlo, e con ciò quasi si sperimenta la bontà di Dio e ci si educa al colloquio con Lui. Sarà cura del confessore aiutare il penitente a comprendere tutto ciò, quando questi sia di modeste risorse spirituali. È quindi evidente che, accanto a una proporzione in certo senso quantitativa tra il peccato commesso e la soddisfazione da compiere, occorre tener presente il grado di pietà, la cultura spirituale, la stessa capacità di comprensione e di attenzione e, eventualmente, la tendenza allo scrupolo del penitente. Pertanto, mentre bisogna profittare della penitenza sacramentale per invogliare i penitenti alla preghiera, ci si dovrà attenere ordinariamente anche al principio che è meglio una penitenza modica, ma eseguita con fervore, piuttosto che una ingente, ma non eseguita, o eseguita con animo infastidito.

...e le buone opere

Quando la penitenza deve consistere non solo in preghiere, ma anche in opere, si debbono scegliere quelle in forza delle quali il penitente si eserciti con successo nella virtù e in ordine a questa acquisisca, accanto all'abito soprannaturale, infuso con la grazia, anche una connaturale propensione e in tal modo egli sia facilitato nell'operare il bene e nel fuggire il male. In materia deve ordinariamente applicarsi un certo « contrappasso », quasi una medicina degli opposti, cosa questa tanto più necessaria, o almeno utile, quanto più il peccato è stato lesivo di beni fondamentali: per esempio, al crimine dell'aborto, oggi tragicamente tanto diffuso, potrebbe essere appropriata risposta penitenziale l'impegno nella difesa della vita e nell'aiuto ad essa, secondo tutte le forme che la carità sa escogitare in rapporto ai bisogni sia dei singoli che della società: idonea risposta in relazione ai peccati contro la giustizia, che oggi tanto avvelenano i rapporti tra le persone e inquinano la società, potrebbe essere, presupposta la doverosa restituzione del maltolto, la larghezza della carità in modo da superare la misura del danno inflitto al prossimo, sull'esempio di Zaccheo, che disse a Gesù: « Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto » 50 e non sarà difficile, quando si è guidati dai criteri della fede, trovare analoghe risposte per gli altri peccati.

« Con il sudore del tuo volto mangerai il pane »

A questo punto sarà utile una riflessione su eventuali penitenze che siano fisicamente afflittive. Fermo restando che la penitenza anche corporale è doverosa in termini generali, anzi santa, ricordo che nel Catechismo della Chiesa Cattolica questo tipo di penitenze, in rapporto al sacramento della Riconciliazione, è riassunto nel termine « digiuno ».51 Invero, salvo casi di malattia o di debolezza, una ragionevole limitazione del cibo è normalmente possibile, e tanto più lodevole, quando il corrispettivo di ciò che si sottrae alla propria soddisfazione viene erogato in carità; ma è necessaria da parte del confessore ogni cautela prima di assegnare o anche semplicemente permettere pratiche penitenziali tormentose. In questo campo offre occasione di generosa penitenza il lavoro, specialmente quello materiale, dotato come è anche di una virtù educatrice del corpo, o che il lavoro stesso si debba svolgere per dovere professionale, o che si assuma liberamente: infatti il Creatore ha prescritto per il primo uomo, e per tutti gli uomini, il lavoro come penitenza: « Con il sudore del tuo volto mangerai il pane »; 52 il lavoro, infatti, non è condanna in sé e per sé — anzi la natura umana lo esige come necessario mezzo di sviluppo e di elevazione — ma, divenuto gravoso a causa del peccato, assurge in chi lo compie soprannaturalmente al valore di espiazione.

Questi pensieri, che immediatamente rivolgo a voi, partecipanti all'udienza, ma che propongo a tutti i sacerdoti del mondo, mentre nella Chiesa è già incominciata la riflessione sui temi dell'Anno Santo, enunziati nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, vogliono sottolineare mezzi e fini, impegni e speranze, perenni nella Chiesa, ma particolarmente significativi per il prossimo Giubileo.

Insieme preghiamo ora Gesù, Sacerdote Eterno, affinché ci conceda lucidità di giudizio e carità pastorale per una dedizione sempre più generosa nel servizio penitenziale a vantaggio di tutti i fratelli. Di questa implorata grazia sia pegno per tutti voi l'Apostolica Benedizione, che ben di cuore vi impartisco.

La verità della confessione:
conquista di libertà e ascesa dello spirito

Al Signor Cardinale William W. Baum
Penitenziere Maggiore

Volgendo a conclusione il Corso sul foro interno, che codesta Penitenzieria Apostolica suole da alcuni anni promuovere per novelli sacerdoti o prossimi candidati al sacerdozio, desiderosi di prepararsi a meglio esercitare il mandato salvifico del Signore che perdona, mi è caro far giungere a tutti i partecipanti, per il suo gentile tramite, Signor Cardinale, uno speciale messaggio che testimoni loro il mio compiacimento, e ne orienti al tempo stesso l'impegno a servizio dei fratelli.

In precedenti occasioni ebbi modo di sviluppare la tematica del sacramento della Penitenza sotto diverse angolazioni, illustrando le funzioni del Confessore sotto il profilo dottrinale, ascetico e psicologico in ordine all'adempimento per quanto possibile perfetto di questo suo altissimo compito.

« Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato »

Vorrei ora passare alla esplicita considerazione, certo non esaustiva, di alcuni aspetti concernenti colui che è il beneficiario del sacro rito della Penitenza: egli, nella confessione sacramentale, può e deve rinnovare, consolidare, dirigere alla santità 22 marzo 1996; cf AAS 88 (1996), pp. 749-753.

la sua vita cristiana, la vita cioè della carità soprannaturale, che si attinge e si esercita nella Chiesa verso Dio, nostro Padre, e verso gli uomini, nostri fratelli.

Nel sacramento della Penitenza, sacramento della confessione e della riconciliazione, si rinnova come storia personale di ogni anima la vicenda evangelica del pubblicano, che se ne andò dal Tempio giustificato: « Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: o Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato ».53

Riconoscere la propria miseria al cospetto di Dio non è avvilirsi, ma vivere la verità della propria condizione e così conseguire la vera grandezza della giustizia e della grazia dopo la caduta nel peccato, effetto della malizia e della debolezza; è assurgere alla più alta pace dello spirito, entrando in rapporto vitale con Dio misericordioso e fedele. La verità così vissuta è la sola che nell'umana condizione ci rende veramente liberi: lo attesta la Parola di Dio,54 che, in riferimento alla nostra condizione morale, esplicita la luce portata all'uomo dal Verbo Eterno nel « kairós » della pienezza dei tempi.

L'umile accusa: detestazione e sconfitta del peccato

La verità, che viene dal Verbo e deve portarci a Lui, spiega perché la confessione sacramentale debba derivare ed essere accompagnata non da un mero impulso psicologico, quasi che il sacramento sia un surrogato di terapie appunto psicologiche, ma dal dolore fondato su motivi soprannaturali, perché il peccato viola la carità verso Dio Sommo Bene, ha causato le sofferenze del Redentore e procura a noi la perdita dei beni eterni.

In questa prospettiva appare chiaro come la confessione debba essere umile, integra, accompagnata dal proposito solido e generoso dell'emenda per l'avvenire e finalmente dalla fiducia di conseguire questa medesima emenda.

Quanto all'umiltà, è evidente che senza di essa l'accusa dei peccati sarebbe un inutile elenco o, peggio, una proterva rivendicazione del diritto di commetterli: il « Non serviam », per cui caddero gli angeli ribelli e il primo uomo perdette sé e la sua discendenza. L'umiltà invero si identifica con la detestazione del male: « Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli; retto nel tuo giudizio ».55

Accusa completa dei peccati mortali

La confessione deve poi essere integra, nel senso che deve enunciare « omnia peccata mortalia», come espressamente, nella sessione XIV, al capitolo V, afferma il Concilio di Trento, che spiega questa necessità non nei limiti di una semplice prescrizione disciplinare della Chiesa, ma come esigenza di diritto divino, perché nella stessa istituzione del sacramento così il Signore ha stabilito: « Ex institutione sacramenti paenitentiae ... universa Ecclesia semper intellexit, institutam etiam esse a Domino integram peccatorum confessionem, et omnibus post baptismum lapsis iure divino necessariam exsistere, quia Dominus noster Iesus Christus, e terris ascensurus ad caelos, sacerdotes sui ipsius vicarios reliquit, tamquam praesides et iudices, ad quos omnia mortalia crimina deferantur, in quae Christi fideles ceciderint... ».56

I canoni 7 ed 8 della medesima sessione enunziano in precisa forma giuridica tutto ciò:

Can. 7 – Si quis dixerit in sacramento paenitentiae ad remissionem peccatorum necessarium non esse iure divino confiteri omnia et singula peccata mortalia, quorum memoria cum debita et diligenti praemeditatione habeatur, etiam occulta, et quae sunt contra duo ultima decalogi praecepta, et circumstantias, quae peccati speciem mutant; sed eam confessionem tantum esse utilem ad erudiendum et consolandum paenitentem, et olim observatam fuisse tantum ad satisfactionem canonicam imponendam; aut dixerit eos, qui omnia peccata confiteri student, nihil relinquere velle divinae misericordiae ignoscendum; aut demum non licere confiteri peccata venialia: an.s.57

Can. 8 – Si quis dixerit, confessionem omnium peccatorum, qualem Ecclesia servat, esse impossibilem, et traditionem humanam a piis abolendam; aut ad eam non teneri omnes et singulos utriusque sexus Christi fideles iuxta magni Concilii

Lateranensis constitutiones, semel in anno et ob id suadendum esse Christi fidelibus ut non confiteantur tempore Quadragesimae: an.s.58

Consapevolezza e fiducia: anima e vigore del proposito

In parte per la errata riduzione della valenza morale alla sola così detta « opzione fondamentale », in parte per la riduzione parimenti errata dei contenuti della legge morale al solo precetto della carità, spesso inteso vagamente con esclusione degli altri peccati, in parte ancora — ed è forse questa la più diffusa motivazione di tale comportamento — per una interpretazione arbitraria e riduttiva della « libertà dei figli di Dio », voluta come preteso rapporto di privata confidenza prescindendo dalla mediazione della Chiesa, purtroppo oggi non pochi fedeli, accostandosi al sacramento della penitenza, non fanno l'accusa completa del peccati mortali nel senso ora ricordato del Concilio Tridentino e, talvolta, reagiscono al sacerdote confessore, che doverosamente interroga in ordine alla necessaria completezza, quasi che egli si permettesse una indebita intrusione nel sacrario della coscienza. Mi auguro e prego affinché questi fedeli poco illuminati restino convinti, anche in forza di questo presente insegnamento, che la norma per cui si esige la completezza specifica e numerica, per quanto la memoria onestamente interrogata consente di conoscere, non è un peso imposto ad essi arbitrariamente, ma un mezzo di liberazione e di serenità.

È inoltre evidente di per sé che l'accusa dei peccati deve includere il proponimento serio di non commetterne più nel futuro. Se questa disposizione dell'anima mancasse in realtà non vi sarebbe pentimento: questo, infatti, verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione contraria rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male, non avere pentimento. Ma come questo deve derivare innanzi tutto dal dolore di avere offeso Dio, così il proposito di non peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non lascia mai mancare a chi fa ciò che gli è possibile per agire onestamente.

Se volessimo appoggiare sulla sola nostra forza, o principalmente sulla nostra forza, la decisione di non più peccare, con una pretesa autosufficienza, quasi stoicismo cristiano o rinverdito pelagianismo, faremmo torto a quella verità sull'uomo dalla quale abbiamo esordito, come se dichiarassimo al Signore, più o meno consciamente, di non aver bisogno di Lui. Conviene peraltro ricordare che altro è l'esistenza del sincero proponimento, altro il giudizio dell'intelligenza circa il futuro: è infatti possibile che, pur nella lealtà del proposito di non più peccare, l'esperienza del passato e la coscienza dell'attuale debolezza destino il timore di nuove cadute; ma ciò non pregiudica l'autenticità del proposito, quando a quel timore sia unita la volontà, suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per evitare la colpa.

La carità salvifica

E qui ritorna la considerazione della fiducia, che deve accompagnare la detestazione del peccato, l'umile accusa di esso, la ferma volontà di non peccare più. Fiducia è esercizio, possibile e doveroso, della Speranza soprannaturale, per cui attendiamo dalla divina Bontà, per le Sue promesse e per i meriti di Gesù Cristo Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per conseguirla. È atto anche di quella stima che dobbiamo a noi stessi, in quanto creature di Dio, che ci ha resi già per natura nobili al di sopra di tutto il creato materiale, ci ha elevato alla Grazia, ci ha misericordiosamente redento; è stimolo a impegnarci con tutte le nostre forze, laddove la sfiducia è scetticismo e gelo paralizzante.

È, in proposito, di decisivo valore l'insegnamento che ci offre il Vangelo circa la tragedia conclusiva del tradimento di Giuda e la riparazione salvatrice di Pietro. Giuda si pentì. Il Vangelo è in proposito esplicito: « Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente" » (Mt 27,3-4). Egli però non legò questo pentimento alla parola che Gesù gli aveva detto, proprio mentre Giuda consumava il tradimento: « Amico » (Mt 26,48); non ebbe fiducia e si tolse la vita. Pietro era caduto, quasi con altrettanta gravità, per ben tre volte, ma confidò e, avendo fatto dopo la Pasqua la trina riparazione mediante l'amore, fu confermato da Cristo nel suo ministero. San Giovanni mirabilmente ci dà la ragione, la forza, la dolcezza delle nostre speranze: « Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore. Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4,16).

Sacerdote: confessore e penitente

Rivolgendomi ai partecipanti al Corso, ho presente al mio spirito tutti i sacerdoti del mondo. Al ministero di tutti noi sacerdoti sono dedicate le riflessioni ora svolte, affinché non solo generosamente ci prestiamo per ascoltare le confessioni sacramentali dei fedeli, ma costantemente, nella omelia liturgica, nella catechesi, nella direzione spirituale, in ogni possibile forma del nostro servizio alla verità, li formiamo a profittare di questo grande dono della misericordia di Dio, che è il sacramento della Penitenza, con le migliori disposizioni. Questa stessa grazia chiediamo al Signore per noi, che, fratelli tra fratelli, dobbiamo, per santificarci, emendarci dal peccato, ricorrendo a quel medesimo Sacramento come penitenti.

Nell'affidare alla materna intercessione della Vergine Santissima il futuro ministero dei giovani che con tanto impegno hanno preso parte al Corso, su tutti invoco i favori della benevolenza divina, in pegno dei quali invio con affetto una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 22 marzo 1996.

IOANNES PAULUS PP. II

 

La formazione
della coscienza dei fedeli

Ancora una volta il Signore ci concede la grazia e la letizia di un incontro che è a un tempo solenne e familiare. Saluto con affetto il Signor Cardinale William Wakefield Baum, che ringrazio per il caloroso indirizzo rivoltomi. Con lui saluto i Prelati e gli Officiali della Penitenzieria Apostolica, organo ordinario del ministero di carità affidato, con la potestà delle Chiavi, al Successore di Pietro, per dispensare con larghezza i doni della divina misericordia.

Accolgo di gran cuore i Reverendi Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe: ad essi dico il mio ringraziamento per la generosità, la costanza e l'umiltà con cui si dedicano al servizio del confessionale, mediante il quale fanno discendere nelle anime il perdono di Dio e l'abbondanza delle sue grazie.

Rivolgo infine il mio benvenuto ai giovani sacerdoti e agli aspiranti prossimi al sacerdozio, i quali, profittando di una provvida disponibilità della Penitenzieria Apostolica, hanno voluto approfondire la tematica morale e canonistica circa i comportamenti umani che maggiormente necessitano di grazia risanante e debbono, perciò, essere oggetto speciale della materna sollecitudine della Chiesa. Essi si preparano così in modo adeguato al futuro ministero, al quale li incoraggio, esortandoli a nutrire costante fiducia nell'aiuto del Signore.

17 marzo 1997; cf AAS 89 (1997), pp. 575-578.

Si può essere liberati dal male
solo se si ha coscienza di esso

Questo nostro incontro avviene, non senza un preciso significato, nell'imminenza della Pasqua. È circostanza, questa, che porta naturalmente il nostro pensiero al sacrificio di Gesù, dal quale unicamente deriva la nostra salvezza, e dal quale perciò attingono valore i sacramenti. Merita anche di essere ricordato che il presente anno 1997 è, tra quelli di immediata preparazione al Giubileo del nuovo millennio, caratterizzato come anno del Figlio di Dio incarnato. Gesù, Figlio di Dio, è venuto al mondo « per rendere testimonianza alla verità ».59 Egli è l'Agnello di Dio, « che toglie il peccato del mondo ».60

Queste affermazioni del Vangelo di Giovanni ci fanno da guida per continuare la riflessione sulla verità liberatrice, che è stata oggetto del messaggio da me inviato lo scorso anno al Cardinale Penitenziere Maggiore, al concludersi del corso sul foro interno. Orbene, la verità liberatrice è, sotto diversi aspetti, in forza della grazia, premessa e frutto del sacramento della Riconciliazione.

Ci si può, infatti, liberare dal male solo se si ha coscienza di esso in quanto male. Purtroppo su alcuni temi fondamentali dell'ordine morale le odierne condizioni socio-culturali non sono favorevoli a una nitida presa di coscienza, poiché sono stati abbattuti limiti e difese, che, un tempo non molto lontano, erano usuali. Di conseguenza molti subiscono un ottundimento del personale senso del peccato. Addirittura si giunge a teorizzare la irrilevanza morale e perfino il positivo valore di comportamenti, che oggettivamente offendono l'ordine essenziale delle cose stabilito da Dio.

Il « Vademecum per i confessori »

Questa tendenza si fa strada in tutto il vasto campo del libero agire dell'uomo. Non è possibile in questa sede una analisi approfondita del fenomeno e delle sue cause. Voglio però profittare di questa occasione per ricordare che, in ordine specialmente alla fruttuosa recezione del sacramento della Penitenza, il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha, pochi giorni or sono, pubblicato un « Vademecum per i confessori ». Il documento intende recare un contributo di chiarezza « su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale ».

Esso traduce nel linguaggio proprio di un sussidio operativo la dottrina immutabile della Chiesa sull'ordine morale oggettivo, come è stata costantemente insegnata nei precedenti documenti in materia. Per la finalità pastorale che lo distingue, il « Vademecum » sottolinea l'atteggiamento di caritatevole comprensione che va usato verso coloro i quali errano per la mancata o insufficiente percezione della norma morale o, se consapevoli di essa, per umana fragilità cadono e, tuttavia, toccati dalla misericordia del Signore, vogliono risollevarsi.

Il testo merita di essere accolto con fiducia ed interiore disponibilità. Esso aiuta i confessori nel loro impegnativo mandato di illuminare, correggere se necessario, incoraggiare i fedeli coniugati, o che si preparano al matrimonio. Nel Sacramento della Penitenza si svolge così un compito che, lungi dal ridursi alla riprovazione dei comportamenti opposti alla volontà del Signore, Autore della vita, si apre ad un positivo magistero e ministero di promozione dell'amore autentico, da cui sboccia la vita.

Occorre una continua guida
per la formazione della coscienza

La situazione di disorientamento morale, che investe tanta parte della società, tocca, anche non pochi credenti, ma a tutti viene incontro, attraverso il ministero della Chiesa, la potenza salvifica del Figlio di Dio fatto uomo. La difficoltà della situazione non deve perciò scoraggiare, ma piuttosto stimolare tutte le inventive della nostra carità pastorale.

Invero, il ministero della confessione non deve esser concepito come un momento avulso dall'insieme della vita cristiana, bensì come un momento privilegiato nel quale confluiscono la catechesi, la preghiera della Chiesa, il senso della penitenza e l'accettazione fiduciosa del Magistero e della potestà delle Chiavi.

Pertanto la formazione della coscienza dei fedeli, affinché si presentino con la pienezza delle disposizioni dovute per ricevere il perdono di Dio mediante l'assoluzione del sacerdote, non può esaurirsi negli avvertimenti, nelle spiegazioni e negli ammonimenti che il sacerdote suole e deve dare al penitente nell'atto della confessione. Al di là di questo momento strettamente sacramentale, occorre una continua guida, che s'esprime attraverso le classiche e insostituibile di forme dell'attività pastorale e della pedagogia cristiana: il catechismo, adeguato alle varie età e ai vari livelli culturali, la predicazione, gli incontri di preghiera, le lezioni di cultura religiosa nelle associazioni cattoliche e nelle scuole, l'incisiva presenza nei mezzi della comunicazione sociale.

Educare all'accettazione del magistero della Chiesa

Attraverso questa continua formazione religiosa e morale, sarà più facile per i fedeli cogliere le motivazioni profonde del magistero morale, rendendosi conto che là dove la Chiesa, nel suo insegnamento, difende la vita, condannando l'omicidio, il suicidio, l'eutanasia e l'aborto, là dove essa tutela la santità del rapporto coniugale e della procreazione, riconducendoli al disegno di Dio sul matrimonio, non impone una sua legge, ma riafferma e chiarisce la legge divina, sia naturale che rivelata. Proprio di qui deriva la sua fermezza nel denunciare le deviazioni dall'ordine morale.

Affinché recepiscano questo obiettivo criterio, i fedeli debbono essere educati all'accettazione del magistero della Chiesa, anche quando esso non è proferito nelle forme solenni: a questo proposito è bene ricordare quanto il Concilio Vaticano Primo ha dichiarato e il Vaticano Secondo ha ribadito, e cioè che anche il magistero ordinario ed universale della Chiesa, quando propone una dottrina come divinamente rivelata, è regola di fede divina e cattolica.61

Alla luce di questi criteri appare quanto sia pretestuoso contrapporre i diritti della coscienza al vigore obiettivo della legge interpretata dalla Chiesa; infatti, se è vero che l'atto compiuto con coscienza invincibilmente erronea non è colpevole, è vero anche che esso resta oggettivamente un disordine. Pertanto ciascuno ha il dovere di formare rettamente la propria coscienza.

Vivere secondo la verità nella carità

Il nostro compito pastorale esige l'annunzio della verità senza compromessi e senza sconti. San Paolo tuttavia ci avverte che dobbiamo vivere « secondo la verità nella carità ».62 Dio è carità infinita e non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.63 Noi sacerdoti, suoi ministri, alla forza devastante del peccato dobbiamo opporre l'annuncio consolante quanto esigente del perdono. Per questo Gesù è morto ed è risorto. Meditando, in quest'anno consacrato a Cristo Redentore, le insondabili ricchezze della Redenzione, otterremo il dono di fare innanzitutto noi stessi esperienza viva della misericordia divina che salva, e potremo così essere sempre di più, sull'esempio di Cristo, maestri che illuminano e padri che accolgono in nome e per autorità di Dio. Siamo chiamati infatti a dire con san Paolo: « Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo... vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio ».64

In auspicio di copiose grazie per il fruttuoso esercizio di questo ministero di riconciliazione imparto a voi, sacerdoti e candidati al sacerdozio qui presenti, che rappresentate al mio cuore di Pastore universale i sacerdoti e i candidati al sacerdozio del mondo intero, una speciale Benedizione Apostolica.

La gloria di Dio
nella sua misericordia

Al venerato Fratello nostro William W. Baum
Penitenziere Maggiore

Penitenza: strumento di misericordia

Rendo grazie al Signore perché, anche in questo anno 1998, consacrato alla meditazione e all'invocazione dello Spirito Santo in preparazione del Grande Giubileo, mi concede di rivolgermi con questo Messaggio a Lei, Signor Cardinale, ai Prelati ed Officiali della Penitenzieria Apostolica, ai Religiosi Frati Minori, Minori Conventuali, Domenicani e Benedettini, che svolgono il compito di Penitenzieri rispettivamente nell'Arcibasilica Lateranense, in quella Vaticana, in Santa Maria Maggiore e in San Paolo fuori le Mura, come pure a quelli di vari Ordini, Penitenzieri straordinari nelle medesime basiliche, oltre che ai giovani sacerdoti e candidati all'ormai prossima Ordinazione sacerdotale, i quali hanno profittato del corso sul foro interno, organizzato e svolto dalla Penitenzieria con crescente successo di adesioni.

20 marzo 1998; cf AAS 90 (1998), pp. 608-613.

Il mio vivo ringraziamento si eleva al Signore, Padre delle misericordie, con le parole della Liturgia: « Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam ». Lodiamo e ringraziamo il Signore perché Egli tutto opera per la sua gloria, alla quale la sua santità non può rinunciare: « Gloriam meam alteri non dabo »,65 e con ciò stesso tutto dispone per la nostra salvezza: « Propter nos homines et propter nostram salutem ».

La volontà salvifica di Dio, che è splendore della sua gloria, si attua in modo privilegiato nel ministero del sacramento della Riconciliazione, che è l'oggetto precipuo del quotidiano servizio reso dalla Penitenzieria e dai Padri Penitenzieri, ed è in prospettiva prossima il servizio per il quale, sotto il profilo del foro interno, hanno approfondito la loro preparazione nel ricordato corso annuale i nostri cari giovani leviti.

In virtù della rappresentanza che essi esprimono nella varietà delle origini, delle mansioni e delle destinazioni, la mia riflessione, che ancora una volta avrà come tema il sacramento della misericordia, si rivolge non solo a loro, ma intenzionalmente a tutti i sacerdoti della Chiesa, come ministri, e a tutti i fedeli, come beneficiari, del perdono nella confessione sacramentale.

Finalità proprie del quarto Sacramento

A partire dal 1981, quando ricevetti per la prima volta collegialmente la Penitenzieria e i Padri Penitenzieri (dal 1990, si sono uniti i partecipanti al corso sul foro interno), ho progressivamente considerato il sacramento della Penitenza sotto vari aspetti: in se stesso, nelle sue leggi costitutive e disciplinari, negli effetti propriamente sacramentali ed in quelli ascetici, negli impegni di espiazione e di riparazione che ne conseguono per i fedeli. Ho esaminato poi il compito dei sacerdoti come ministri del sacramento, richiamando la sublimità della loro missione, le loro prerogative, i loro doveri di forte preparazione culturale, di generosità nel prestarsi, soprattutto di carità accogliente, di saggezza e mitezza, virtù tutte premiate dalla esultanza spirituale per la santità del loro ufficio. Ho trattato, infine, dei fedeli come fruitori del sacramento, sotto il profilo delle convinzioni e delle disposizioni, con le quali devono accostarsi al sacramento stesso, sia come forma abituale del loro mondo morale, sia come atteggiamento attuale nel riceverlo, affinché esso sia valido e massimamente fruttuoso.

Questa voluta insistenza sul medesimo tema già di per sé indica come il sacramento della Riconciliazione stia sommamente a cuore, in ragione del loro ufficio di mediatori in Cristo tra Dio e gli uomini, al Sommo Pontefice ed ai suoi fratelli nel sacerdozio, vescovi e presbiteri.

Oggi è opportuno considerare le finalità proprie, che la Chiesa intende perseguire e che i fedeli debbono proporsi nel ricevere il sacramento della Penitenza; con esse, o piuttosto come specificazioni particolarmente gratificanti di tali finalità essenziali del sacramento, i benefici di interiore armonia che derivano dalla grazia; da ultimo, certi risultati intesi soggettivamente da chi riceve o amministra il sacramento (o a loro suggeriti da autori, i quali non debbono far testo), che esulano dalla dinamica soprannaturale di esso, inducendo anche talvolta nel rito, che deve essere essenzialmente ed esclusivamente religioso, modalità che lo snaturano e lo dissacrano.

Penitenza sacramentale: seconda tavola di salvezza

Con ragione il sacramento della Penitenza dai Padri e dai Teologi ha ricevuto, assieme ad altre denominazioni, quella di secunda tabula post naufragium, seconda in rapporto al Battesimo. Il naufragio, dal quale il Battesimo e la Penitenza ci salvano, è quello del peccato. Il Battesimo cancella la colpa d'origine e, se ricevuto in età adulta, cancella anche i peccati personali e tutta la pena ad essi dovuta: esso è, infatti, la nascita, l'assoluta novità di vita, nell'ordine soprannaturale. Il sacramento della Penitenza è destinato a cancellare i peccati personali, commessi dopo il Battesimo: innanzi tutto quelli mortali, quindi quelli veniali. I peccati mortali, se il penitente ne ha commesso più di uno, non possono essere rimessi che tutti simultaneamente. Infatti, la remissione del peccato grave consiste nell'infusione della grazia santificante perduta, e la grazia è incompatibile con i peccati gravi, tutti e singoli. Diversa è la considerazione da fare per i peccati veniali, i quali non comportano la perdita della grazia e perciò possono coesistere con lo stato di grazia, e non essere quindi rimessi per difetto di sufficiente loro detestazione nel penitente, anche se fossero rimessi, mediante l'assoluzione sacramentale, peccati mortali, che, per ipotesi, egli avesse commesso. Ovviamente i fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza desiderano anche la remissione della pena temporale, dovuta al peccato, sia pure che non necessariamente abbiano in atto l'esplicita considerazione di tale pena. Si ricordi, a questo proposito, la verità di fede del Purgatorio, nel quale si espiano le pene residue dopo il passaggio all'altra vita. Ma il sacramento della Penitenza contiene in se stesso, appunto perché infonde o aumenta la grazia soprannaturale, la virtù di stimolare i fedeli al fervore della carità, alle conseguenti opere buone, e alla pia accettazione dei dolori della vita, che meritino la remissione anche delle pene temporali.

L'indulgenza completa gli effetti del Sacramento

Sotto questo profilo al sacramento della Penitenza è strettamente connessa la verità di fede e la prassi delle indulgenze. L'indulgenza è, infatti, la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa. Il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, l'acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.66 Grazie a Dio, là dove la vita cristiana è intensamente vissuta, i fedeli amano le indulgenze e piamente ne fanno uso. E poiché l'acquisizione dell'indulgenza plenaria postula in primo luogo il totale distacco dell'anima dall'affetto al peccato, mirabilmente esse e il sacramento della Penitenza si integrano in quello scopo essenziale e primo che è la distruzione del peccato, che, come sopra ho detto, si identifica in concreto con l'infusione o l'aumento della grazia santificante.

A questo proposito, il mio pensiero, anzi il pensiero di tutta la Chiesa, si eleva con gratitudine al Sommo Pontefice Paolo VI di venerata memoria, che nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina, insigne monumento del Magistero, ha approfondito il tema delle indulgenze e, con viva sensibilità pastorale, ne ha innovato la disciplina.

Così il ricordo e l'invocazione dello Spirito Santo, con i quali ho aperto queste mie parole, sono stati intenzionali, in rapporto non solo al Grande Giubileo, ma anche al tema qui svolto: è, infatti, mirabile effetto dello Spirito Santo, che inabita in noi, la distruzione del peccato e la santità: « ... ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio; 67 « La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ».68 La Chiesa, dunque, proclama e amministra il perdono di Dio nel sacramento della Penitenza, affinché nei fedeli si attui la volontà divina, che è la nostra santificazione: « Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione ».69

Gloria di Dio, fonte della pace

La gloria di Dio, che per quanto riguarda gli uomini si identifica con la loro eterna salvezza, fu annunciata dagli angeli nel Natale del Signore come intimamente connessa con la pace: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama »,70 e Gesù, nel supremo testamento dell'Ultima Cena, lasciò come definitiva eredità la sua pace: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore »; 71 « Questo vi ho detto perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena ».72 Il sacramento della Penitenza, per il fatto stesso che infonde o aumenta la grazia, offre il dono della pace. Il rito liturgico dell'assoluzione sacramentale, con felice innovazione nella formula oggi e fin dal 1973 in uso, mette esplicitamente in rilievo questo divino dono della pace: « Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e nella risurrezione del suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace ».

A questo proposito, e cioè per ben intendere la natura di questa pace, è necessario ricordare che l'armonia tra l'anima e il corpo, tra la volontà dello spirito e le passioni, è stata intimamente turbata in conseguenza della colpa originale e dei peccati personali, così che spesso in noi v'è una lotta drammatica: « Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio... acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra ».73 Ma questo conflitto non esclude la pace profonda nell'animo della persona: « Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io... con la mente servo la legge di Dio ».74

È dunque legittimo che i fedeli, nel sacramento della Penitenza, cerchino anche di instaurare quel processo interiore che porta, nei limiti possibili alla nostra condizione di viatori, alla progressiva assimilazione del proprio stato psicologico a quella superiore pace che consiste nella conformità alla volontà di Dio. Infatti, la ragionevole sicurezza — che non può essere certezza di fede, come insegna il Concilio Tridentino — del nostro stato di grazia, se non elimina i dissidi interiori, li rende tollerabili, ed anzi, quando si attinge la santità, desiderabili. Non per nulla San Francesco d'Assisi diceva: « Tant'è il bene che m'aspetto ch'ogni pena m'è diletto ». In questo stesso ordine di idee, tra gli effetti del sacramento della Penitenza, che giustamente i fedeli possono attendere e desiderare, vi è quello di una mitigazione degli impulsi passionali, di una correzione di difetti logici od emotivi (come nel caso degli scrupolosi), di affinamento di tutto il nostro libero agire, per effetto della carità soprannaturale restaurata e crescente. In tanta parte, come ho ricordato in un precedente mio discorso, questi effetti, propri ma secondari, del sacramento della Penitenza, sono legati anche alla capacità e alla virtù del sacerdote confessore.

Sacramento, realtà soprannaturale e non psicoterapia

È invece attesa ingiustificata quella di chi vorrebbe trasformare il sacramento della Penitenza in psicoanalisi o psicoterapia. Il confessionale non è e non può essere un'alternativa allo studio dello psicanalista o dello psicoterapeuta. Né dal sacramento della Penitenza si può attendere la guarigione da situazioni a carattere propriamente patologico. Il confessore non è un guaritore e neanche un medico nel senso tecnico della parola; anzi, se mai lo stato del penitente sembra esigere cure mediche, il confessore non affronti lui l'argomento, ma rimandi il penitente a competenti e onesti professionisti. Analogamente, sebbene l'illuminazione delle coscienze esiga il chiarimento delle idee sul contenuto proprio dei comandamenti di Dio, il sacramento della Penitenza non è e non deve essere il luogo della spiegazione dei misteri della vita. Su questi temi si vedano le Normae quaedam de agendi ratione confessariorum circa sextum Decalogi praeceptum, emanate il 16 maggio 1943 dall'allora Suprema Congregazione del Sant'Uffizio, ora Congregazione per la Dottrina della Fede, che, pur così lontane nel tempo, permangono attualissime. Analogamente, non solo a motivo del sigillo sacramentale, ma anche per la necessaria distinzione tra il foro sacramentale e la responsabilità giuridica e pedagogica dei formatori al sacerdozio e alla vita religiosa, lo stato di coscienza rivelato nella confessione non può e non deve essere trasferito nella sede decisionale canonica del discernimento vocazionale; ma, come è chiaro, al confessore dei candidati al sacerdozio incombe il gravissimo obbligo di dissuadere, con ogni energia, dal proseguire verso di esso coloro i quali nella confessione dimostrano di essere privi delle necessarie virtù (il che vale in ispecie in rapporto al possesso della castità, indispensabile per l'impegno celibatario) o del necessario equilibrio psicologico, o, infine, della sufficiente maturità del giudizio.

Dono di grazia, di santità e di vita

Il periodo quaresimale che viviamo ci ricorda la caduta e ci prepara alla risurrezione: il sacramento della Penitenza soccorre i caduti e dona loro la risurrezione alla vita eterna, di cui l'anima in stato di grazia possiede fin d'ora il pegno. Gesù è l'unico ed assoluto Salvatore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. In questa prospettiva di integrale salvezza va concepito il sacramento della Penitenza, dono di grazia, dono di santità, dono di vita.

L'umile coscienza di aver mediato per i fedeli queste misericordie del Signore è per noi sacerdoti, ormai avanti negli anni, motivo di immensa gratitudine a Lui, che si è degnato di farci suoi viventi strumenti. L'attesa dell'adempimento di questa stessa sublime missione sia per voi, giovani speranze della Chiesa, stimolo ad adeguata preparazione culturale e ascetica, e attrattiva a somma generosità per il vostro prossimo ministero. Non a torto si dice che potrebbe bastare anche una sola Messa santamente celebrata a realizzare compiutamente una vocazione sacerdotale. Similmente si possa dire, cari giovani, che la vostra carità, offerta ai fedeli nel sacramento della Riconciliazione, sia la pienezza e la gioia del vostro domani.

In auspicio della grazia del Signore, che fecondi questi desideri e questa fiducia, di cuore vi imparto l'Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 20 Marzo 1998.

IOANNES PAULUS PP. II

 

Misericordia di Dio
e mediazione della Chiesa

Missione riconciliatrice del Sacerdote

Signor Cardinale Penitenziere, Prelati e Officiali della Penitenzieria Apostolica, Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, giovani Sacerdoti e candidati al Sacerdozio che avete frequentato il corso sul foro interno organizzato anche quest'anno dalla Penitenzieria Apostolica, vi accolgo con affetto in questa tradizionale Udienza, che mi è particolarmente cara.

Nel ringraziare il Signor Cardinale William Wakefield Baum per i sentimenti espressi nell'indirizzo rivoltomi, desidero sottolineare l'alto significato di questo incontro, nel quale viene riaffermato quasi tangibilmente il nesso tra la missione riconciliatrice del sacerdote come ministro del sacramento della Penitenza e la Sede di Pietro. Non è forse a Pietro ed ai suoi successori che Cristo ha affidato in termini universali la potestà, il dovere, la responsabilità e allo stesso tempo il carisma — che si estende ai Fratelli nell'episcopato e ai presbiteri, loro cooperatori — di liberare le anime dal potere del male, cioè del peccato e del demonio?

In questa vigilia della Pasqua redentrice e dell'Anno giubilare l'incontro assurge al valore di simbolo di vissuta comunione nella quotidiana fatica a servizio degli uomini e della loro eterna salvezza. Data questa significazione universale, 13 marzo 1999; cf AAS 91 (1999), pp. 945-950.

mentre parlo a voi qui convenuti nella dimora del Papa, vedo spiritualmente presenti tutti i sacerdoti della Santa Chiesa Cattolica, ovunque vivano e operino, e a tutti indirizzo con affetto questo mio messaggio.

Anno Santo: capitolo efficace della storia della salvezza

L'Anno Giubilare, nella varia e armonica molteplicità dei suoi contenuti e dei suoi fini, verte soprattutto sulla conversione del cuore, la metanoia, con la quale si apre la predicazione pubblica di Gesù nel Vangelo.75 A chi si converte, già nell'Antico Testamento, sono promesse la salvezza e la vita: « Forse che io ho piacere della morte del malvagio, dice il Signore Dio, o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? ».76 L'imminente Grande Giubileo commemora il compiersi del secondo millennio dalla nascita di Gesù, il quale nell'ora dell'iniqua condanna disse a Pilato: « Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità ».77 E la verità attestata da Gesù è che Egli è venuto per salvare il mondo, destinato altrimenti a perdersi: « Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto ».78

Nell'economia del Nuovo Testamento il Signore ha voluto che la Chiesa fosse universale sacramentum salutis. Insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II che « la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio ».79 È infatti volontà di Dio che la remissione dei peccati e il ritorno all'amicizia divina siano mediati dall'opera della Chiesa: « Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli »,80 ha detto solennemente Gesù a Simon Pietro, e in lui ai Sommi Pontefici suoi successori. Questa stessa consegna Egli ha poi affidato agli Apostoli e, in essi, ai Vescovi loro successori: « Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo ».81 La sera del giorno stesso della Risurrezione, Gesù renderà effettivo questo potere con l'effusione dello Spirito Santo: « A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi ».82 Grazie a questo mandato gli Apostoli e i loro continuatori nella carità sacerdotale potranno ormai dire con umiltà e verità: Io ti assolvo dai tuoi peccati.

Ho piena fiducia che l'Anno Santo sarà, come deve essere, un capitolo singolarmente efficace della storia della salvezza. Essa trova in Gesù Cristo il suo punto culminante e il suo significato supremo, poiché in Lui noi tutti riceviamo « grazia su grazia », ottenendo di essere riconciliati con il Padre.83 Per ciò stesso confido e prego che grazie al generoso servizio dei sacerdoti confessori, l'anno giubilare sia per tutti i fedeli, occasione di accostamento pio e soprannaturalmente sereno al sacramento della Riconciliazione.

Elementi essenziali ed esigenze del sacramento

Certamente conoscete in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica con la sua approfondita analisi su questo tema fondamentale. In questo incontro vorrei tuttavia ricordare alcuni punti veramente essenziali, che voi non mancherete di proporre ai fedeli affidati alle vostre cure pastorali.

– Per istituzione di Nostro Signore Gesù Cristo, come risulta esplicitamente dal citato passo del Vangelo secondo Giovanni, la confessione sacramentale è necessaria per ottenere il perdono dei peccati mortali commessi dopo il Battesimo. Tuttavia, se un peccatore, toccato dalla grazia dello Spirito Santo, concepisce il dolore dei suoi peccati per motivo di carità soprannaturale, in quanto cioè essi sono offesa di Dio, Sommo Bene, ottiene subito il perdono dei peccati, anche mortali, purché abbia il proposito di accusarli sacramentalmente quando, in tempo ragionevole, lo potrà.

– Identico proponimento deve concepire il penitente che, responsabile di peccati gravi, riceve l'assoluzione collettiva, senza la previa accusa individuale dei propri peccati al confessore: tale proposito è talmente necessario che, in difetto di esso, l'assoluzione sarebbe invalida, come è detto nel can. 962 § 1 del Codice di Diritto Canonico e nel can. 721 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

– I peccati veniali possono essere rimessi anche al di fuori della confessione sacramentale, ma di certo è sommamente utile confessarli sacramentalmente. Supposte infatti le debite disposizioni, si ottiene così non solo la remissione del peccato, ma anche l'aiuto speciale costituito dalla grazia sacramentale per evitarlo in futuro. Giova qui riconfermare il diritto che i fedeli hanno — e al loro diritto corrisponde l'obbligo del sacerdote confessore — di confessarsi ed ottenere l'assoluzione sacramentale anche dei soli peccati veniali. Non si dimentichi che la cosiddetta confessione devozionale è stata la scuola che ha formato i grandi santi.

– Per accostarsi all'Eucaristia lecitamente e fruttuosamente è necessario che si premetta la confessione sacramentale, quando s'è consci di un peccato mortale. Infatti l'Eucaristia è sì la sorgente di ogni grazia, in quanto ripresentazione del Sacrificio salvifico del Calvario; come realtà sacramentale, tuttavia, non è ordinata direttamente alla remissione dei peccati mortali: lo insegna chiaramente ed inequivocabilmente il Concilio Tridentino,84 dando veste per così dire disciplinare e giuridica alla parola stessa di Dio: « Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna ».85

Anno Giubilare, tempo del grande perdono
e della piena riconciliazione

L'Anno Giubilare, grazie al sacramento della penitenza, dev'essere dunque in modo speciale anno del grande perdono e della piena riconciliazione. Ma Dio, al quale siamo grati di averci riconciliati, o con il quale speriamo di riconciliarci, è nostro Padre: Padre mio, Padre di tutti i credenti, Padre di tutti gli uomini. Perciò la riconciliazione con Dio esige e comporta la riconciliazione con i fratelli, mancando la quale il perdono di Dio non si ottiene, come Gesù ci ha insegnato nella perfetta preghiera del Padre Nostro: « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ». Il sacramento della penitenza suppone e deve alimentare l'amore fraterno, generoso, nobile, fattivo.

In questa linea, elevata alla sua maggiore perfezione, l'Anno giubilare invita ad una profonda solidarietà in un « meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza del quale la santità dell'uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato di uno ha potuto causare agli altri. Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità che coinvolge e sostiene gli altri. È la realtà della "vicarietà", sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo ».86

Riconciliati mediante il sacramento della penitenza e così assimilati a Cristo Signore e Redentore, dobbiamo « coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella sua passione. Lo dice il noto brano della Lettera ai Colossesi: "Do compimento a ciò che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)" ».87

La riconciliazione consolida l'unità della Chiesa

Nel sacramento della Penitenza, eliminate le fratture causate dal peccato, si consolida l'unità della Chiesa che nel Giubileo ha una altissima manifestazione: anche qui dunque si vede il nesso connaturale tra il Giubileo e il sacramento del perdono.

Alla remissione sacramentale del peccato la Misericordia di Dio e la mediazione della Chiesa offrono un prezioso corollario col dono della remissione anche della pena temporale di esso mediante l'Indulgenza. L'ho rilevato con riferimento all'Anno Giubilare nella Bolla di Indizione: « L'avvenuta riconciliazione con Dio, infatti, non esclude la permanenza di alcune conseguenze del peccato, dalle quali è necessario purificarsi. È precisamente in questo ambito che acquista rilievo l'Indulgenza, mediante la quale viene espresso il dono totale della misericordia di Dio ».88

Gesù è nato, anzi è stato concepito Sacerdote e Vittima nel seno della Madre, come lo Spirito Santo ci insegna nella Lettera agli Ebrei,89 applicando espressamente a Gesù il Salmo 40, 7-9: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: "Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore" ». Il Giubileo del 2000 richiama alla nostra fede, alla nostra speranza, al nostro amore che la salvezza deriva dalla natività del Sacerdote Eterno, Vittima del sacrificio a cui Egli s'è liberamente offerto.

Maria Santissima, che ha donato al Verbo di Dio l'Umanità sacerdotale e vittimale, ci ottenga di riviverne, pur nella nostra pochezza e miseria, la missione salvifica con la santità personale e nell'esercizio del ministero del Perdono, restituendo, come strumenti di Dio, ai peccatori la grazia, la gioia del cuore, la veste nuziale che permette l'ingresso nella vita eterna.

Tutto ciò che ho ricordato in questo colloquio con voi è enunciato, in breve e stupenda sintesi, nella formula rituale della assoluzione sacramentale: « Dio, Padre di Misericordia, che ha riconciliato a Sé il mondo con la morte e risurrezione del Suo Figlio ed ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda mediante il ministero della Chiesa il perdono e la pace ».

Di questa pace sia auspicio efficace per voi, e per quanti il Signore ha affidato o affiderà al vostro ministero, la Benedizione Apostolica che volentieri vi dono.

Anno del grande ritorno
e del grande perdono

Al Venerato Fratello Cardinale William W. Baum
Penitenziere Maggiore

Dimensione interiore dell'Anno Giubilare

Con apprezzabile sollecitudine Ella, Signor Cardinale, ha provveduto ad organizzare anche quest'anno il consueto Corso sul foro interno, per i candidati prossimi al sacerdozio ed i sacerdoti di recente ordinati, pur riservando cordiale accoglienza anche ai sacerdoti maturi ed esperti del ministero.

Desidero esprimerLe il mio compiacimento per l'iniziativa, che assume particolare significato nell'Anno Giubilare: esso, infatti, è essenzialmente l'Anno del grande ritorno e del grande perdono, e, come ho rilevato nella Bolla di indizione Incarnationis mysterium, il sacramento della Penitenza ha un ruolo primario per questa effusione della divina misericordia. Il foro interno, peraltro, verte innanzitutto su tale sacramento e in generale sui contenuti della coscienza, i quali ordinariamente vengono con fiducia manifestati alla Chiesa in connessione col sacramento della Penitenza.

1 aprile 2000; cf L'Osservatore Romano, 3-4 aprile 2000, p. 7.

Colgo volentieri questa occasione per esprimere il mio apprezzamento anche ai Prelati ed agli Officiali della Penitenzieria Apostolica, il cui prezioso lavoro è istituzionalmente rivolto a materie attinenti il foro interno. Estendo poi l'espressione della mia grata considerazione ai Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, i quali per missione, sottolineata ed esaltata in questo Anno Santo, vivono il loro sacerdozio in un continuo impegno per la pastorale della Riconciliazione. Un saluto particolarmente affettuoso rivolgo, infine, ai giovani sacerdoti e ai canditati al sacerdozio, i quali, profittando della provvida iniziativa della Penitenzieria Apostolica, si sono preparati in questi giorni ad un fruttuoso adempimento della futura loro missione.

Ministero delle confessioni:
oblazione sacrificale ed esigenza di santità

E mio intento che il ringraziamento e l'esortazione, qui espressi, giungano a tutti i sacerdoti del mondo, incoraggiandoli e sostenendoli nell'opera dedicata alla salvezza dei fratelli mediante il ministero delle confessioni, espressione tra le più significative del loro sacerdozio.

Nostro Signore Gesù Cristo ci ha redenti mediante il Mistero pasquale, del quale il momento del sacrificio cruento costituisce, per così dire, il cuore. Il sacerdote, come ministro del perdono nel sacramento della Penitenza, agisce in persona Christi: come potrebbe non sentirsi impegnato a prender parte con tutta la sua vita all'atteggiamento sacrificale di Cristo? Questa prospettiva, fermo restando il valore dei sacramenti ex opere operato — indipendentemente, quindi, dalla santità o dignità del ministro —, dischiude davanti a lui un'immensa ricchezza ascetica, offrendogli i supremi motivi per i quali deve, proprio per l'esercizio e nell'esercizio dei suoi uffici sacramentali, essere santo, e trarre dall'esercizio stesso del ministero stimoli e occasioni di ulteriore santificazione. Opera divina, la remissione dei peccati deve essere quindi compiuta con disposizioni spirituali così elevate da poter affermare che quel sublime ministero, per quanto è possibile all'umana limitatezza, è svolto digne Deo. Ciò non mancherà di incrementare la fiducia dei fedeli. L'annuncio della verità, soprattutto nell'ordine morale-spirituale, è infatti tanto più credibile quanto più chi la proclama ne è, non solo accademicamente dottore, ma innanzi tutto esistenzialmente testimone.

Gli stessi penitenti, peraltro, dalla considerazione dell'essenziale connotazione oblativa a cui il Sacramento richiama, non potranno non trarre un impegnativo stimolo a corrispondere alla misericordia del Signore con una santità di vita che li unisca sempre più intimamente a Colui che per la nostra salvezza si è fatto Vittima.

Ritorno alla vita, in pienezza

Se il mistero pasquale è realtà di morte — aspetto sacrificale —, esso è stato disposto da Dio soltanto in ordine alla vita della Risurrezione. Anche il sacramento della Penitenza — assimilazione a Gesù morto e risorto — porta con sé la restituzione della vita soprannaturale di grazia, o l'aumento di essa quando si tratti di soli peccati veniali. Perciò il mistero di questo sacramento si può intendere compiutamente soltanto nella prospettiva della parabola del Figliol prodigo: « Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».90

Ministro ecclesiale di verità

Il ministro del sacramento della Penitenza è maestro, è testimone, e, col Padre, è padre della vita divina restituita e votata alla pienezza. Il suo magistero è quello della Chiesa, perché egli, agendo in persona Christi, non annuncia se stesso, ma Gesù Cristo: « Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù ».91

La sua testimonianza è affidata all'umiltà delle virtù praticate e non ostentate: « Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te... Quando preghi, entra nella tua camera e chiusa la porta prega il Padre tuo nel segreto ».92 Il suo donare la vita di grazia adempie il precetto di Gesù agli Apostoli nella loro prima missione: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date ».93

Invito all'apice della perfezione cristiana

Nella Riconciliazione sacramentale il perdono di Dio è fonte di rinascita spirituale e principio efficace di santificazione, fino all'apice della perfezione cristiana.

Il sacramento della Riconciliazione, se è ricevuto dal peccatore pentito con le debite condizioni, non solo obiettivamente gli conferisce il perdono di Dio, ma gli dà anche, per l'amore misericordioso del Padre, grazie speciali, dalle quali è aiutato a superare le tentazioni, ad evitare le ricadute nei peccati dei quali si è pentito, ed a fare in qualche misura una personale esperienza di quel perdono. In questo senso, intimo è il nesso tra il sacramento della Penitenza e quello dell'Eucaristia, nel quale, col ricordo della Passione di Gesù, « mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur ».

In concreto, nella fedeltà al disegno salvifico di Dio, come di fatto Egli ha voluto attuarlo, « occorre superare la tendenza, abbastanza diffusa, a rifiutare qualsiasi mediazione salvifica, ponendo l'individuo peccatore in contatto diretto con Dio ».94 Così « possa uno dei frutti del Grande Giubileo dell'Anno 2000 essere il ritorno generale dei fedeli cristiani alla pratica sacramentale della Confessione ».95

L'Indulgenza, impegno alla radicalità cristiana

L'amore misericordioso di Dio, che invita al ritorno e che è pronto al perdono, non ha limiti né di tempo, né di luogo. Mediante il ministero della Chiesa, non solo per Gerusalemme, come nella profezia di Zaccaria, ma per il mondo intero è sempre disponibile « una sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità »,96 da cui si riverserà su tutti « uno spirito di grazia e di consolazione».97

La carità di Dio, pur non coartata nel tempo e nello spazio, splende in modo specialissimo nell'Anno Giubilare: al dono fondamentale della restituzione della Grazia, in via ordinaria mediante il sacramento della Penitenza, e alla conseguente remissione della pena infernale, il Signore, dives in misericordia, unisce, mediante il ministero della Chiesa, la remissione anche della pena temporale col dono delle indulgenze, ovviamente se conseguite con le dovute disposizioni di santità o almeno di tendenza alla santità. Le indulgenze, pertanto, « lungi dall'essere una sorta di "sconto" all'impegno di conversione, sono piuttosto un aiuto per un impegno più pronto, generoso e radicale ».98 L'indulgenza plenaria, infatti, esige il perfetto distacco dal peccato, il ricorso ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia, nella comunione gerarchica con la Chiesa, espressa mediante la preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

Ministero del perdono: salvezza dei fratelli
e gaudio dello spirito

Esorto vivamente i sacerdoti ad educare i fedeli, con appropriata e approfondita catechesi, affinché si avvalgano del gran bene delle indulgenze, secondo la mente e l'animo della Chiesa. In specie i sacerdoti confessori molto utilmente potrebbero assegnare ai loro penitenti come penitenza sacramentale pratiche indulgenziate, salvi sempre i criteri di equa proporzione con le colpe confessate.

Non fosse altro che per il ministero del perdono che il Signore gli ha affidato, la missione del sacerdote meriterebbe già di essere vissuta in pienezza: la salvezza dei fratelli non può non essere per lui motivo di profondo gaudio dello spirito.

Piena generosità al servizio delle anime

Con questa certezza, per tutti i membri della Penitenzieria Apostolica, per i Padri Penitenzieri, per i giovani che si preparano al loro domani sacerdotale, elevo la mia preghiera al Signore misericordioso affinché conceda loro piena generosità nell'offrirsi al servizio delle anime nell'intimità del colloquio penitenziale: infatti, specialmente allora, il sacerdote è « collaboratore di Dio » per la costruzione dell'« edificio di Dio ».99

In pegno di copiosi favori celesti invio a Lei, Signor Cardinale, ai Suoi Collaboratori, ai Padri Penitenzieri e a tutti i partecipanti al Corso sul foro interno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1 Aprile 2000.

IOANNES PAULUS II

 


INDICE

Prefazione

Introduzione

Il sacramento della Riconciliazione e le coscienze cristiane

Penitenzieria Apostolica e penitenzieri

Sacre indulgenze

Confessione auricolare

Assoluzione collettiva

Confessione, strumento di santità

Il servizio della confessione, dovere dei sacerdoti

Servizio dei penitenzieri

Dovere dei sacerdoti

Formazione dei confessori

Servizio privilegiato

Servizio impegnativo

Il senso pasquale delia Penitenza

Dedizione costante e paziente

Dedizione totale

Sacramento di riconciliazione

Sacramento di risurrezione

Il sacramento della Riconciliazione: magistero di verità

Potestà delle chiavi

Pedagogia soprannaturale

Fedeltà a Cristo e alla Chiesa

Fedeltà alla missione della Chiesa

Il cuore del sacerdote confessore immagine della mitezza di Cristo

I confessori uniti con la Sede di Pietro

La pace restituita

Santi e santificatori

Umiltà e cultura teologica e psicologica

Il Cuore che ha tanto amato gli uomini

Il rispetto del sigillo sacramentale fino all'effusione del sangue

Offerta totale alle anime

Colui che vede nel segreto

Delicatezza reciproca nel riserbo

La giusta severità della sanzione

La gioia della risurrezione

La penitenza sacramentale: espiazione e rinnovamento dello spirito

L'offesa alla Maestà e la reintegrazione della giustizia

Proporzionalità e contrarietà della pena

Mediante la preghiera...

...e le buone opere

« Con il sudore del tuo volto mangerai il pane »

La verità della confessione: conquista di libertà e ascesa dello spirito

« Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato »

L'umile accusa: detestazione e sconfitta del peccato

Accusa completa dei peccati mortali

Consapevolezza e fiducia: anima e vigore del proposito

La carità salvifica

Sacerdote: confessore e penitente

La formazione della coscienza dei fedeli

Si può essere liberati dal male solo se si ha coscienza di esso

Il « Vademecum per i confessori »

Occorre una continua guida per la formazione della coscienza

Educare all'accettazione del magistero della Chiesa

Vivere secondo la verità nella carità

La gloria di Dio nella sua misericordia

Penitenzieria: strumento di misericordia

Finalità proprie del quarto Sacramento

Penitenza sacramentale: seconda tavola di salvezza

L'indulgenza completa gli effetti del Sacramento

Gloria di Dio, fonte della pace

Sacramento, realtà soprannaturale e non psicoterapia

Dono di grazia, di santità e di vita

Misericordia di Dio e mediazione della Chiesa

Missione riconciliatrice del Sacerdote

Anno Santo: capitolo efficace della storia della salvezza

Elementi essenziali ed esigenze del sacramento

Anno Giubilare, tempo del grande perdono e della piena ri- conciliazione

La riconciliazione consolida l'unità della Chiesa

Anno del grande ritorno e del grande perdono

Dimensione interiore dell'Anno Giubilare

Ministero delle confessioni: oblazione sacrificale ed esigenza di santità

Ritorno alla vita, in pienezza

Ministero ecclesiale di verità

Invito all'apice della perfezione cristiana

L'Indulgenza, impegno alla radicalità cristiana

Ministero del perdono: salvezza dei fratelli e gaudio dello spirito

Piena generosità al servizio delle anime


(1) Cf Sant'Agostino, Sermo 76, n. 1, PL 38, 479.

(2) Cf AAS 73 (1981) p. 203.

(3) H. V. von Balthasar, in A. von Speyer, La Confessione, Milano 1983, p. 10.

(4) AAS 72 (1980), pp. 1177-1232.

(5) AAS 77 (1984), pp. 185-275.

(6) AAS 87 (1995), pp. 5-41.

(7) AAS 91 (1999), pp. 129-147.

(8) Concilio di Trento, Sessione XIV, cap. 5, can. 7 (DS, 1679-1683; 1707).

(9) Concilio di Trento, Sessione XIII, cap. 7, can. 11 (DS, 1647-1661).

(10) Cf AAS 64 (1972), pp. 510-514.

(11) 2 Cor 5,20.

(12) GS 22.

(13) Gv 5,21-24.

(14) Gv 20,21-23.

(15) Mt 1,21.

(16) Gv 10,34.

(17) Cf sopra, p. 25.

(18) Lc 15,32.

(19) Dives in misericordia, 7.

(20) 1 Cor 15,45.

(21) Ml 2,6-7.

(22) Ib. 8,8.

(23) Gv 20,23.

(24) Gv 16,13.

(25) Concilio di Trento, sess. 14, cap. 2, cap. 5 e can. 9.

(26) Mc 1,15.

(27) Mt 18,8.

(28) Mt 28,19-20.

(29) Mc 16,16.

(30) CCC, n. 1127.

(31) CCC, n. 1128.

(32) Fil 4,7.

(33) Col 1,24.

(34) Tt 3,4.

(35) Lc 7,36-50.

(36) Gv 8,3-11.

(37) Lc 15,11-32.

(38) Lc 22,61.

(39) DS, 2195.

(40) Cf AAS 80 (1988), 1367.

(41) Gv 8,11.

(42) Conc. Tridentino, Sess. VI, cap. 6 (DS, 1526).

(43) 1 Cor 10,12.

(44) Fil 2,12.

(45) 2 Cor 12,9.

(46) Cf Concilio di Trento, Sessione VI, can. 18 (DS, 1568).

(47) Sir 5,5.

(48) DS, 1704.

(49) Concilio di Trento, Sessione VI, can. 1 (DS, 1551).

(50) Lc 19,8.

(51) Cf CCC, n. 1434.

(52) Gn 3,19.

(53) Lc 18,13-14.

(54) Gv 8,31-34.

(55) Sal 5150,5-6.

(56) DS, 1679.

(57) DS, 1707. Ne diamo la traduzione da La fede della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 1993: « Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali di cui si ha la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti e commessi contro i due ultimi precetti del decalogo, ed anche le circostanze che mutano la specie del peccato; o dirà che la confessione è utile soltanto ad istruire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di confessare tutti i peccati non intendono lasciar nulla alla divina misericordia, perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati veniali, sia anatema » (FCC 9.236).

(58) DS, 1708. « Se qualcuno dirà che la confessione di tutti i peccati, come la prescrive la Chiesa cattolica, è impossibile, e che si tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire; o che ad essa non sono tenuti, una volta all'anno, tutti e singoli i fedeli dell'uno e dell'altro sesso, secondo la costituzione del grande concilio lateranense, e che, perciò, bisogna persuadere i fedeli a non confessarsi nel tempo di Quaresima, sia anatema » (FCC 9.264).

(59) Gv 18,37.

(60) Gv 1,29.

(61) Cf Denzinger-Schönmetzer, 3011; Cost. dogm. Lumen gentium, 25.

(62) Ef 4,15.

(63) Cf Ez 18,23.

(64) 2 Cor 5,20.

(65) Is 48,11.

(66) C.I.C., can. 993.

(67) 1 Cor 6,11.

(68) Rm 5,5.

(69) 1 Tes, 4,3.

(70) Lc 2,14.

(71) Gv 14,27.

(72) Ibid. 15,11.

(73) 2 Rm 7,19.22-23.

(74) Ibid. 7,25.

(75) Cf Mc 1,15.

(76) Ez 18,23.

(77) Gv 18,37.

(78) Lc 19,10.

(79) Lumen gentium, n. 1.

(80) Mt 16,19.

(81) Mt 18,18.

(82) Gv 20,23.

(83) Cf Bolla Incarnationis mysterium, n. 1.

(84) Sess. 13, cap. 7 e relativo canone, Denz. 1647 e 1655.

(85) 1 Cor 11,27-28.

(86) Incarnationis mysterium, n. 10.

(87) Ibid. n. 10.

(88) Ibid., n. 9.

(89) Cf 10, 5-7.

(90) Lc 15,32.

(91) 2 Cor 4,5.

(92) Mt 6,2.6.

(93) Mt 10,8.

(94) Udienza ai Vescovi portoghesi in visita ad Limina, 30 novembre 1999.

(95) Ibid.

(96) Zc 13,1.

(97) Ibid. 12,10.

(98) Udienza generale del 29 settembre 1999.

(99) Cf 1 Cor 3,9.

 

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