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LITURGIA PENITENZIALE

OMELIA DEL CARD. JAMES FRANCIS STAFFORD

Basilica di San Pietro
Martedì Santo, 11 aprile 2006

 

Contemplare il Mistero di Cristo sacerdote e vittima

 

Letture: 1 Pt 2. 20b-25; Mc 10, 22-24, 42-45

Cari Fratelli e care Sorelle in Cristo,

oggi  la Chiesa  ci esorta a compiere due azioni prima della confessione.

Prima azione. La Chiesa ci chiede di pregare per il perdono. Il penitente invoca la misericordia di Gesù che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 8). Tuttavia è indiscutibile che oggi molte persone trovano difficile il perdono. Alcuni anni fa, ho incontrato alcuni giovani americani che non credevano nella possibilità di perdono. Affermavano: “E’ impossibile perdonare ciò che è successo. Come si possono annullare eventi accaduti? Nessuno può competere con la forza ostinata del passato”. Inoltre insistevano sul fatto che certe azioni umane sono così malvagie, come ad esempio la violenza contro i bambini o le uccisioni di massa di innocenti, che non si possono dimenticare, e, se ricordate, non si possono perdonare. Quei giovani ritenevano impossibile il perdono.

Inoltre, sostenevano l’esistenza di una domanda umanamente senza risposta: “Chi deve perdonare? Di certo non le innumerevoli vittime. A causa della contagiosità del male le vittime di un peccato sono così numerose che è impossibile individuarle tutte. Parimenti sembra impossibile individuare una forza, sia essa divina o umana, in grado di offrire un perdono completo”. La Settimana Santa da sola risponde alle loro obiezioni alla possibilità di perdonare. Dio incarnato è divenuto la nostra vittima sovrana e l’eterno sacerdote. Nel Vangelo di oggi Gesù ha affermato: “Il Figlio dell’uomo… è venuto… per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45). Nel Figlio crocifisso dell’uomo il Padre celeste ha svelato il mistero del suo amore. Solo Gesù fu inviato quale vittima per prendere su di sé il giudizio adirato su tutti i peccati umani, passati, presenti e futuri. Uniti ai ventiquattro anziani nel santuario celeste intoniamo un nuovo canto all’Agnello redentore “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5, 9). La morte di Gesù fa rivivere il passato. Giovani e anziani riconoscono nella passione di Cristo tutti i peccati dell’umanità e il perdono di Dio. L’apostolo Pietro ricorda in modo essenziale ciò a cui aveva assistito in lacrime: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2, 24).

Lo Spirito Santo ci ha riunito intorno al martyrium di san Pietro a Roma. Il detto secondo cui la città è l’anima scritta in grande è valido per l’antica Roma. Infatti questa città è l’anima cristiana scritta in grande. Le virtù intellettuali, morali e teologiche dei romani sono particolarmente evidenti nell’approccio più distaccato al martyrium di San Pietro al di là di Ponte Sant’Angelo. Otto angeli scolpiti si trovano su quell’antico ponte e ognuno reca un simbolo della passione di Cristo. I pellegrini giunti a Roma contemplano gli angeli che piangono su questi simboli. Ispirando la scena alla prima settimana degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, il Bernini immaginò che attraversare il ponte sul Tevere avrebbe condotto i pellegrini alla compunzione, il rovello della coscienza. Solo allora sarebbero stati pronti a intraprendere il passo successivo e cruciale degli Esercizi Spirituali, la Confessione Generale.

Il piedistallo del quarto angelo reca una iscrizione sorprendente. “Regnavit Deus a legno”. Tali parole “il Signore regna” appaiono nel Salmo 95, 10. L’aggiunta di a legno, è una prima glossa. Il mistero di Dio che regna dal legno come Sacerdote e Vittima viene ricordato questa settimana. Molti penitenti sono vittime di azioni ingiuste da parte di altri per i quali nutrono rabbia. Tuttavia, perfino le vittime devono riscoprire che solo Gesù è “vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 10). A nome di ogni vittima Gesù “con una unica oblazione ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10, 14). L’uomo divino senza peccato “si sostituisce” ai peccatori, vincendo in tal modo l’irreversibilità del tempo. Tutte le persone sono dunque libere, riscattate, purificate, liberate dalla colpa e dal peccato. E Dio è fedele alla sua promessa: “E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità ” (Eb 10, 17).

Seconda azione.

Nell’esortare a un esame di coscienza, la Chiesa suggerisce come ausilio il Discorso della Montagna. Le parole di Gesù sono il testo rappresentativo della nuova legge. La Croce è l’immagine speculare del Discorso. Il corpo straziato di Gesù è la luce che non è stata sconfitta dalle tenebre. L’oscurità del peccato non potrà mai sopprimere la luce della misericordia divina. I penitenti si lasciano l’oscurità alle spalle grazie a una confessione sincera dei peccati. Affinché approfondiate la vostra compunzione vi propongo il seguente esame.

► Abbandono l’orgoglio, l’invidia e l’ambizione e seguo il cammino di umiltà di Gesù? La scelta fra orgoglio e umiltà è resa concreta dal mio atteggiamento nei confronti delle Scritture? Sono docile e aperto alla Parola di Dio? Sono pronto a farmi giudicare da essa invece di giudicarla io? Trascorro una quantità di tempo sproporzionata leggendo quotidiani e giornali, guardando la televisione e utilizzando Internet in confronto al tempo che investo nella meditazione e nella lettura delle Sacre Scritture?

► Sono stato povero di spirito e quindi incapace di santificare il nome di Dio fra gli uomini? Ho riposto la mia felicità nel possesso di beni esterni? Ho incoraggiato chi era in dubbio o in errore a seguire ciò che è vero e buono?

► Non ho avuto l’umiltà di invocare l’avvento del Regno di Dio e di non resistergli?

► Mi sono mancate le lacrime per dolermi della consapevolezza che la volontà di Dio sulla terra deve essere realizzata in seno al conflitto fra corpo e spirito, fra cielo e terra poiché sono costretto a dire: “vedo un’altra legge nelle mie membra, mi preoccupo per quella nella mia mente?”.

► Non ho avuto fame e sete di giustizia cosicché io stesso ed altri, in particolare i poveri, non abbiamo ricevuto il sostegno del pane quotidiano?

► Non sono stato tanto misericordioso da perdonare le offese di altri?

► Non sono stato puro di cuore e mi sono dunque arreso alla tentazione che crea duplicità nel cuore? Ho cercato soddisfazione affettiva con atti o pensieri malvagi con me stesso o con altri perdendo così la semplicità di un cuore concentrato solo su Dio?

► Non ho avuto la volontà di portare la pace con cui altri mi hanno chiamato figlio di Dio?

► Ho ricevuto le buone cose della munificenza di Dio con profondo senso di gratitudine e ho accettato con pazienza il male che mi è capitato?

► Non ho praticato la giustizia che regola i miei rapporti con gli altri e ha per fine l’instaurazione della pace?

► Nel mio lavoro e nell’espletamento delle mie responsabilità civili e politiche ho riconosciuto che la perfezione di tutte le beatitudini risiede nell’accettazione della persecuzione per il bene del Regno di Dio?

► Ho seguito i precetti della nuova giustizia che Gesù menziona dopo le beatitudini, ossia i precetti del digiuno, dell’orazione e del perdono?

Riuniti intorno alla tomba dell’Apostolo Pietro, ricordiamo il motivo per cui Pietro pentito e piangente decise di obbedire al comandamento di Gesù: fu il suo amore per Lui. Anche i penitenti dovrebbero sforzarsi di osservare i comandamenti solo per amore. La rivelazione del cuore straziato di Gesù è sufficiente. Per san Paolo non fu necessario nient’altro. Scrisse. “Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). Nulla è necessario oltre all’amore di Gesù. Tutto il resto è conseguente.

Lo Spirito Santo è sulla Cattedra di Pietro. Abbiamo ripetuto qui, oggi, cosa accadde alla Chiesa riunita nel cenacolo nella prima Pasqua. I penitenti sono chiamati da quello stesso Spirito a osservare i comandamenti per amore, con cuor disposto al perdono, affinché possano anch’essi essere liberati “dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm, 8, 21).

Cardinale J. Francis Stafford
Penitenziere Maggiore

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