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PENITENZIERIA APOSTOLICA

OMELIA DEL CARD. JAMES FRANCIS STAFFORD

Fatima 12 luglio 2006 

 

Il tema dell’anno del Santuario di Fatima è il “6° Comandamento: la tutela della castità”. Il sesto comandamento chiama il battezzato alla pratica della purezza. Il comandamento include la sessualità umana nella sua interezza, è intimamente collegato al nono comandamento che si rivolge direttamente alla purificazione del cuore. Entrambi questi comandamenti insistono sul fatto che l’assoluta continenza è un dovere per tutti coloro che non sono uniti da legami come il matrimonio legale.

Vorrei approfondire una realtà unicamente Cristiana: la virtù della purezza. Essa costituisce la virtù più misteriosa. I  Cristiani non avrebbero mai pensato ad essa se non avessero guardato oltre, alla resurrezione del corpo.

Nel 1956 Flannery O’Connor, una scrittrice cattolica del sud degli Stati Uniti d’America, ha sviluppato il seguente punto di vista. In una lettera, condivide una sua amica, i suoi considerevoli pensieri sulla virtù della purezza. Per lei, la purezza e la castità interessano sia chi è sposato sia chi non lo è. Lei afferma che la purezza implica più di una rinuncia, “Io non credo che la rinuncia vada con la sottomissione, o che la rinuncia sia buona in sé. Si rinuncia sempre al meno bene per un più grande; l’opposto è ciò che è il peccato”. Successivamente lei ammonisce le persone a non vantarsi della purezza, “e la frase ‘purezza naif’ fa proprio riferimento a quest’ultimo concetto, e che vi sia una contraddizione nei termini. Ritengo che la purezza non sia soltanto semplice innocenza; penso che i bambini o gli sciocchi non la posseggano. Credo che bisogna conquistarla con l’esperienza o con la Grazia, così che mai possa essere naif (ingenua). Per quanto riguarda la purezza non possiamo mai giudicarci, migliori o peggiori degli altri. Chi lo pensa non è sicuramente puro.” La O’Connor, infine, applica l’ insegnamento più generale di San Paolo, “Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore” (1 Cor 10:12). Ed  in un altro passaggio San Paolo ha scritto righe simili, “Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso” (Gal. 6:3).

Molti, ancora influenzati dal meccanicismo del 19° secolo, credono che gli insegnamenti della Chiesa, sulle virtù, siano atroci e rifiutano specialmente qualsiasi suo insegnamento che riguardi in particolare le virtù della castità e della purezza. Essi deridono l’osservanza del sesto comandamento, come qualcosa che disturba a livello emotivo, addirittura lo considerano repulsivo e contro natura. Nella sua vigorosa difesa della virtù della purezza, Flannery O’Connor ha rivelato la sua profonda comprensione di entrambe: della fede  e dell’imitazione di Paolo di Tarso che imita Gesù Cristo (1 Tess. 4, 1). Lei difende rigorosamente, la propria convinzione che la vita della virtù evangelica è inseparabile dal nocciolo della fede cristiana. In una lettera del 1955 rivela la profondità della sua fede, in modo audace e brillante fonda le origini della virtù della purezza, nella resurrezione del corpo. “Per me la nascita vergine, l’Incarnazione, la resurrezione  sono le vere leggi della carne e del fisico. Morte, decadenza, distruzione sono la sospensione di queste leggi. Rimango sempre attonita di fronte all’enfasi che la Chiesa mette sul suo corpo. Lei dice ancora, che non è l’anima che risorgerà  ma il corpo, glorificato. Ho sempre pensato che la purezza fosse la più misteriosa delle virtù, però mi viene in mente che non sarebbe stato mai possibile convincere la coscienza umana della purezza se non avessimo guardato alla resurrezione del corpo, che sarà carne e spirito uniti nella pace, come lo sono stati in Cristo. La resurrezione di Cristo sembra il punto più elevato della legge della natura….”

O’Connor vuole dire che è essenziale ricordare il mistero pasquale del Cristo ed un battezzato proprio su questo, deve basare  il fondamento e la motivazione per la pratica della virtù della purezza e di tutte le altre virtù. San Paolo ci ha insegnato esattamente questa norma quando ha scritto: “Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più…… Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall`impudicizia” (1 Tess. 4:1,3). In tutto il Nuovo Testamento la pratica della virtù si basa sull’apparenza del eschaton, ovvero Gesù salva il lavoro con la sua morte e resurrezione.

La lettura che abbiamo ascoltato questa sera, tratta dalla lettera agli Ebrei parla delle virtù che dovrebbero regolare le relazioni tra i cristiani. L’autore enumera, come dovrebbe essere la condotta morale del cristiano: i battezzati devono amarsi l’uno l’altro, mostrare ospitalità, ricordarsi dei carcerati, degli ammalati. In fine l’autore sottolinea  il tema catechetico scelto per l’anno 2006 dal Santuario di Fatima menzionato precedentemente: Il Sesto Comandamento, proteggere la castità. Tratta la purezza del marito, “Sia considerato il matrimonio con onore tra tutto e sia il letto coniugale incontaminato; e poi Dio giudicherà l’immorale e l’adultero”.

L’ autore della lettera agli Ebrei con queste esortazioni morali ha chiaramente dato forma ad una vita totalmente nuova, nella quale l’essere umano è stato forgiato sotto la tutela della fede nel Dio di Gesù Cristo. Lui introduce la parte morale nella sua lettera con la proclamazione dell’unità indivisibile della fede e della vita, “Anche noi dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l`ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:1-2).

L’inviolabilità della castità coniugale è un tema prominente nella Chiesa dei primi tempi. Sant’Ignazio di Antiochia scrive a Policarpo. “Dì alle mie sorelle di amare il Signore e di essere contenute con i loro mariti nel corpo e nello spirito. Allo stesso modo incarica i miei fratelli, anche in nome di Gesù Cristo, di amare le loro mogli come il Signore ama la Chiesa” (5).

Sant’Ignazio consola la virtù della verginità ma ammonisce anche severamente a non farne una mostra. “Se qualcuno è in grado di conservare la castità in onore della carne del Signore, che la mantenga senza vantarsene. Qualora se ne vantasse, lui è perso, se qualcuno oltre al vescovo lo sapesse, lui è rovinato”. Sant’Ignazio sottolinea il l’importanza che Gesù ha dato alla pratica silenziosa, modo in cui i cristiani dovrebbero accostarsi alle varie pratiche ascetiche, alla preghiera, al digiuno e quando fanno l’elemosina. “Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,  perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Matteo 6:4).

Non c’è alcun dubbio, Sant’ Ignazio ha compreso che la dottrina cristiana e la castità coniugale sono mutuamente interdipendenti. Ha usato la parola politicamente pericolosa “Cristiano”, nella sua lettera a Policarpo come ha fatto in altre. Al tempo dell’Imperatore Adriano, la legge romana usava il termine cristiani per definire i membri della banda di Cristo, cospiratori contro lo stato. Essere un cristiano era un crimine contro lo stato, punibile con la morte. I cristiani venivano considerati criminali traditori. Nelle sue lettere Ignazio ha adoperato la parola con ironia teologica. In verità, l’amicizia con Cristo è una partecipazione mediante il battesimo alla morte di Cristo e attraverso la morte nella sua vita. Il termine legale romano, ‘cristiano’ significava, ironicamente, che tale persona era coinvolta nell’ amicizia con Cristo. Effettivamente la legge romana penale ha saputo esprimere precisamente il significato della parola ‘cristiano’: la vocazione cristiana era punibile con la morte precisamente perché significava partecipazione nella ‘co-spiratio’ dello Spirito di Gesù Cristo.

Mi ricordo quanto fui profondamente colpito dalla canonizzazione, il 24 giugno 1950, della giovane vergine e martire, Maria Goretti. In quell’occasione erano presenti  nella Piazza di San Pietro, sia sua madre che il suo assassino, Alessandro Serenelli. All’epoca del martirio in difesa della sua purezza, avevo diciasette anni. Lei divenne la star della mia generazione grazie alla sua testimonianza di purezza e di coraggio.

Il suo martirio iniziò già il 5 luglio 1902. La famiglia del suo assalitore condivideva la stessa casa con i Goretti. Fu sistemata sopra  un vecchio granaio tra i poveri fattori delle campagne pontine a sud di Roma. Il suo assalitore, Alessandro, aveva vent’anni, al momento in cui assalì Maria, che ne aveva dodici. Successivamente lui ha testimoniato, che Maria lo supplicava di fermarsi per la salvezza della sua anima e lo esortava a non commettere un peccato così grave. Prima di morire a causa delle coltellate inflittale, il giorno seguente, lei lo perdonò e pregò Dio di dimenticare quanto aveva commesso.

Come Flannery O’Connor, Santa Maria Goretti, il cui memoriale la Chiesa ha celebrato, proprio lo scorso 6 giugno, ha compreso che la purezza era intimamente connessa con la dignità del corpo umano. Lei  conosceva il pensiero della al riguardo, ovvero che non era l’anima ma il corpo a risorgere, ad essere glorificato. Con la Chiesa, lei si confessava ogni domenica, “I credo nella resurrezione del corpo”. Lei ha testimoniato il mistero che l’Incarnazione e resurrezione di Gesù sono le veri leggi della natura, della carne e del fisico.

Santa Maria Goretti, prega per noi! Maria di Nazareth, Mater castissima, prega per noi.

 

J. Francis Cardinal Stafford
Penitenziere Maggiore

  

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