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GIORNATA DI PREGHIERA
PER LA PACE NEL MONDO

LE TESTIMONIANZE PER LA PACE DEI RAPPRESENTANTI 
DELLE RELIGIONI DEL MONDO PRESENTI AD ASSISI

Giovedì, 24 gennaio 2002

 

Appena giunto ad Assisi, Giovanni Paolo II si è recato nella Piazza san Francesco dove ha accolto i Rappresentanti delle Religioni del mondo insieme con le loro Delegazioni. Dopo il saluto pronunciato dal Papa e dopo la monizione d'introduzione proclamata dal Cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân, i Rappresentanti hanno letto nelle rispettive lingue le testimonianze per la pace. 

Interventi:


Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartholomaios I

"La vera pace viene da Dio" (San Giovanni Crisostomo, P.G. 61, 14).

La pace di Dio e la pace sulla terra hanno tra loro un rapporto di madre a figlia.

Il nostro Signore Gesù Cristo, "Principe della pace", secondo il profeta Isaia (9, 6), sebbene abbia distinto la pace di Dio dalla pace del mondo (cfr Gv 14, 27), ha chiamato beati gli operatori di pace promettendo che "saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9).

La pace di Dio viene offerta a colui che, riconciliato con Dio per mezzo di Gesù Cristo, manifesta realmente la comunione con lui mediante l'amore, la virtù, la piena fede e fiducia in lui.

La pace di Dio è la più perfetta delle benedizioni e si presenta come stabilità nella guida dell'uomo (Basilio il Grande, P.G. 30, 305). Come tale, sorpassa ogni intelligenza (cfr Fil 4, 7) e non ha fine (cfr Is 9, 7). "Si protende lungo ogni secolo, essendo illimitata ed infinita" (Basilio il Grande, P.G. 30, 513). Non esiste una simile pace "se prima non si è pervenuti alla virtù" (Giovanni Crisostomo, P.G. 62, 73), perché essa è frutto della grazia, che opera in coloro che sono liberati da desideri malvagi e da dissidio interno. Le passioni malvagie creano la perturbazione interna, e quando trascinano la volontà ad operare per essere tradotte in atto provocano la guerra esterna (cfr Gc 4, 1).

Perciò, per avere la pace nel mondo bisogna essere in pace con Dio e, di conseguenza, con noi stessi e tra di noi. La parola di Cristo rivolta alla città di Gerusalemme "se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace" (Lc 19, 42), si rivolge ugualmente oggi al mondo intero. Abbiamo il dovere, soprattutto adesso, dopo lo sterminio di vittime ed orrendi olocausti, di conoscere anzitutto i presupposti spirituali, ma anche economici e di altro genere della pace sulla terra. E questi presupposti sono la giustizia, il rispetto della sacralità della persona umana del prossimo, e della sua libertà e dignità, la riconciliazione, la disposizione benevola e altruistica verso l'uomo, e in genere verso la vita virtuosa secondo Dio, nella quale è compresa anche la giustizia, l'equilibrata partecipazione di tutti ai beni della terra, della scienza e della tecnologia. Affinché non si ripeta sulle nostre generazioni in estensione mondiale la distruzione, prevista da Cristo e realizzata allora, di una sola città, dobbiamo pentirci e ritornare a Dio e conoscere e compiere la sua santa volontà. Allora Dio, il quale non è Dio della guerra e della battaglia, ma Dio di pace, esaudirà le nostre preghiere e darà a noi e al mondo anche la pace sulla terra. Altrimenti, se persistiamo nelle passioni peccaminose e malvagie e nelle aspirazioni personali avide, interessate e individualiste, le voci delle guerre aumenteranno e la sventura colpirà la terra e l'umanità.

Che il Signore della pace ci dia la sua pace. Così sia.

 

Arcivescovo di Canterbury Sua Grazia George Carey

La testimonianza dell'Arcivescovo di Canterbury è stata letta dal Vescovo Richard Garrard. 

Con grande gioia saluto i leader delle comunità di fede riuniti ad Assisi su invito di Sua Santità Giovanni Paolo II. Sono molto dispiaciuto di non poter essere insieme con voi, considerando in modo particolare che i leader religiosi hanno la possibilità di dare un contributo veramente importante alla pace e alla riconciliazione del nostro mondo, sempre più instabile e pericoloso.

Negli ultimi mesi abbiamo appreso ancora una volta quanto sia grande il bisogno l'uno dell'altro. Abbiamo sperimentato violenza, guerra e odio, ed abbiamo visto come gli errori di una generazione possano ripetersi nei figli e nei nipoti. Abbiamo bisogno che la grazia di Dio ci tocchi con una generosità che sia più che umana, e liberi noi stessi e il nostro prossimo dai disastri del passato.

Non si tratta di un cammino veloce o indolore. Là dove le persone hanno appreso ad essere ostili o sospettose, occorrerà molto per costruire amicizia e fiducia. Gesù Cristo, il leader ispiratore di tutti i cristiani, ci ha insegnato che sono beati gli afflitti, perché saranno consolati. Ci ha detto che sono beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia, e beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. Occorre perseverare nella speranza, e non lasciarsi prendere dallo sconforto.

Le entità religiose, come pure i leader religiosi, hanno un compito delicatissimo e difficile in cui impegnarsi. Nonostante le nostre imperfezioni, siamo testimoni della bontà di Dio. Noi cerchiamo di dire parole di verità, di amore e di perdono, rimanendo saldi in ciò che è il bene. Noi riconosciamo che le nostre tradizioni possono essere stravolte per dividere le persone, piuttosto che riunirle insieme. Talvolta ci siamo definiti per ciò che ci divide, piuttosto che per quanto ci unisce.

Riconosciamo di averci mal compreso e di averci feriti l'un l'altro; perciò dobbiamo costruire la nostra pace sul nostro bisogno di accogliere il perdono e di offrirlo.

Le nostre preoccupazioni, tuttavia, devono essere allo stesso tempo pratiche, oltre che oranti e profetiche. Non possiamo proclamare la libertà ai prigionieri senza liberare i poveri da un debito opprimente. Se vogliamo vivere in armonia con i vicini, significa che dobbiamo dar da mangiare agli affamati e cure mediche ai malati. Se ci consideriamo membri di un'unica famiglia umana, dobbiamo condividere con i molti che sono nell'indigenza le cose buone che alcuni di noi possiedono.

Dobbiamo farlo in una maniera che sia onorevole per tutti; rispetti la dignità umana di tutti, e li metta in grado di partecipare alla vita economica e politica del mondo.

Fratelli e sorelle, anche se non sono presente insieme a voi, il vostro odierno incontro sarà senza dubbio nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Questo è un giorno che segna una tappa nuova del nostro viaggio, un segno del nostro impegno l'uno per l'altro, e per Iddio che ci guida in avanti insieme.

 

Dr. Ishmael Noko (Federazione Luterana Mondiale)

Questo è un giorno in cui ci rivolgiamo al Signore, nostra potente fonte di vita dai molti nomi, con la nostra supplica per il futuro del mondo. È un'occasione per riflettere su ciò che la fede religiosa significa in un mondo di violenza. La domanda che ci sta di fronte è:  Dove è la nostra fedeltà suprema? Come possiamo rendere testimonianza prima e anzitutto ad un Dio che ama tutto il mondo, piuttosto che ad uno legato a certe lealtà nazionali, culturali o politiche?

Il dialogo interreligioso e le relazioni tra persone diverse di differenti fedi sono essi stessi espressione di genuina fede in Dio. Esse costruiscono ponti di mutua fiducia e rispetto, e abbattono muri di ostilità. Le relazioni interreligiose non possono essere isolate dalle loro implicazioni sociali e politiche. Attraverso il dialogo, l'auto esame, la preghiera e la riflessione possiamo comprendere meglio ed essere autorizzati a rispondere alle condizioni di disperazione di molte parti del mondo, che aiutano a fomentare l'odio e la violenza. Prego che, attraverso questi mezzi, possiamo trovare le giuste vie per alleviare la povertà, le disparità economiche, le violazioni dei diritti umani, i rapporti di potere abusivi e altre ingiustizie che li sostengono, cose tutte che intensificano quella disperazione.

In un mondo scosso dalla ferocia di odi alimentati da fondamentalismi religiosi, il dialogo interreligioso gode di una rinnovata attenzione e priorità. Lo scopo ultimo di un simile dialogo, come pure della preghiera e della riflessione in cui siamo ora impegnati, è di ascoltare ciò che Dio ha da dirci, attraverso le nostre diverse tradizioni. In questo modo possiamo scoprire la grazia e la volontà di Dio e ripudiare atteggiamenti che legittimino i conflitti basati sulla religione.

Le Nazioni Unite, che a giusta ragione hanno ricevuto lo scorso anno il Premio Nobel per la Pace, devono continuare a svilupparsi ulteriormente in ciò per cui sono state designate ad essere sin dall'inizio, così che possano promuovere sempre più la fraternità fra tutti i Paesi, impegnate ad agire e capaci di farlo in modo deciso nei confronti della giustizia internazionale, della pace e dell'integrità della creazione di Dio. Il ruolo della diplomazia deve essere rafforzato per affrontare direttamente le cause che soggiacciono al terrorismo e alla violenza. Lo scopo delle relazioni diplomatiche nella situazione attuale è più alto di quello di costruire un'alleanza per un'azione militare. Devono contribuire nella sostanza a rettificare e a sanare ingiustizie del passato, come pure ad edificare visioni comuni per un futuro migliore.

Una responsabilità grave pesa al presente sui politici del mondo, come pure sulle comunità religiose, sulle istituzioni finanziarie, sulle comunità scientifiche ed educative, sulle istituzioni e le agenzie di informazione, e sul mondo dello spettacolo. Il mondo globalizzato non può essere semplicemente un'arena di competizione brutale, ma un luogo di ricerca del futuro comune dell'umanità.

Nella congiuntura critica attuale, le Chiese della Federazione Luterana Mondiale cercheranno di adempiere al loro ruolo di partner per la fraternità umana e per la giustizia nelle differenti regioni, specialmente attraverso il dialogo e l'azione comune con gli aderenti ad altre fedi.

Che tutti possano essere, mediante il culto e la preghiera, strumenti mediante i quali Dio possa operare per la guarigione del mondo.

 

Dr. Setri Nyomi (Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate)

Il Buon Samaritano
E chi è il mio prossimo?

Come Chiese della Tradizione della Riforma, non possiamo non iniziare questo momento di testimonianza se non con la Parola di Dio. Il racconto familiare del Buon Samaritano è sempre stato narrato con un accento sull'inaspettato soccorritore che ha agito come prossimo - spesso senza una profonda analisi delle differenze religiose e culturali esistenti tra il soccorritore e colui che venne soccorso. È interessante rilevare che il nostro Signore Gesù Cristo ha raccontato questa storia in risposta ad una domanda sulle condizioni per la salvezza; tale vicenda è pervasa da toni di amore, di rispetto, di attenzione e di comunanza di condivisione verso quanti possono essere di cultura o religione totalmente differente, piuttosto che oltrepassarli, ignorarli o trattarli da nemici.

Racconti simili ci offrono la base per il compito di creare una cultura di pace nel mondo odierno. Sfortunatamente, oggi abbiamo ereditato un mondo in cui persone con altre motivazioni (spesso politiche o economiche) usano delle religioni come strumenti per le loro guerre private, conducendo, pertanto, il mondo ad uno stato di mancanza di pace. Se potessimo ascoltare ancora una volta la storia del Buon Samaritano!

In questo tempo di testimonianza, non siamo qui soltanto per lamentarci. Siamo qui anche per celebrare i buoni esempi di essere "prossimo". Ricordiamo con gratitudine l'esperienza del Consiglio Cristiano Liberiano e del Consiglio Supremo Musulmano della Liberia che si sono radunati per formare il Comitato interconfessionale. È stato quello l'inizio di un cammino di pace in Liberia. Sì, la pace non è completamente realtà in Liberia, ma la risoluzione di queste due comunità di operare insieme ha segnato una importante pietra miliare, e tale decisione continua a spingere la Liberia verso un aumento della pace. Simile vicenda può dirsi della Sierra Leone. In Indonesia, si sente di comunità in cui hanno vissuto insieme per anni in pace cristiani e musulmani, sino a tempi recenti, quando forze spesso motivate dall'esterno hanno cominciato ad usare cristiani e musulmani l'uno contro l'altro in qualcuna delle isole. Nei mesi scorsi, però, siamo stati informati che in ambedue le comunità vi sono forze che desiderano radunarsi per dialogare e opporsi a qualsiasi forza distruttiva. Sono segni di speranza che dobbiamo incoraggiare e per i quali dobbiamo pregare.

Il nostro compito è pregare perché questi semi di pace continuino a germogliare. Occorrono più samaritani che, ispirati dalla fede, decidano che le differenze religiose non dovrebbero permettere di ignorare, o addirittura odiare, quanti sono diversi. Viviamo nelle stesse comunità sullo stesso pianeta. Quando ci impegniamo a costruire la pace dentro le nostre comunità, ciò non è sleale nei confronti delle nostre religioni o addirittura contrario ai nostri spiriti religiosi. Un tale impegno è parte della nostra vocazione.

Continuiamo, perciò, ad unirci e a pregare per la pace.

 

Geshe Tashi Tsering (Buddismo)

Possa io divenire in ogni momento, ora e sempre, un protettore di quanti sono senza protezione, una guida per coloro che hanno perso la via, una nave per quanti devono solcare gli oceani, un ponte per coloro che devono attraversare i fiumi, un santuario per quanti sono in pericolo, una lampada per chi ha bisogno di luce, un luogo di rifugio per quanti hanno bisogno di riparo, un servo di quanti sono nella necessità.

Per tutta la durata dello spazio, per il tempo che gli esseri viventi rimangono, sino ad allora, possa anch'io restare e sconfiggere le miserie del mondo. (Da:  Guida al modo di vivere del Bodhisattva, Shantideva).

 

Chef Amadou Gasseto (Religione Tradizionale Africana)

L'iniziativa del Papa Giovanni Paolo II in favore della pace ha sempre suscitato in me molta gioia e speranza per il nostro mondo, spesso lacerato dalla violenza e dalle guerre. L'invito, che mi è stato fatto, di partecipare ad Assisi alla preghiera per la pace è un onore per me e per tutti i fedeli membri del "Vodun Avélékété", di cui sono il grande sacerdote. Accettando di partecipare a questa preghiera, assumo l'impegno di promuovere presso i miei fedeli uno spirito ed un atteggiamento di pace capaci di produrre un impatto favorevole sulla società del Benin.

Ma io riconosco anzitutto che la pace è un dono che Dio fa agli uomini. Comunque questo dono è lasciato alla responsabilità dell'uomo chiamato dal suo Creatore a costruire la pace in questo mondo. È una responsabilità universale che riguarda tutta la creazione.

Per me, responsabile della religione tradizionale "Vodun", la pace non è possibile fintanto che sussistono lacerazioni, divisioni e antagonismi tra gli uomini. Dobbiamo cominciare a dominare noi stessi per non essere autori di parole che generano sentimenti di rivalità, di esclusione e di violenza. Dobbiamo essere responsabili dello spirito che produce le nostre parole. Dovrebbe essere uno spirito che crea la concordia, la convivialità e la fraternità. Allora la pace avrà un terreno favorevole per attecchire negli uomini.

C'è una cosa della quale sono convinto:  la pace nel mondo dipende dalla pace fra gli uomini. La responsabilità dell'uomo nel mondo influisce non soltanto sulla società, ma anche sull'intera creazione. Quando non c'è la pace tra gli uomini non c'è neanche la pace fra il resto della creazione e l'uomo. Le stagioni sono sovvertite e la terra non produce più le sementi per dare il nutrimento all'uomo. Ma quando gli uomini lavorano per la pace in una nazione, la loro terra diventa ubertosa e il bestiame si moltiplica per il maggior benessere dell'uomo. Questa è una legge della natura che proviene dal Creatore, che ha legato il destino della creazione alla responsabilità dell'uomo.

Pertanto è una buona cosa invitare ogni anno gli uomini a cambiare il cuore, rinunciando all'odio, alla violenza, all'ingiustizia. I responsabili delle religioni nel mondo non dovrebbero dimenticare, né trascurare questa consuetudine. Si tratta di riparare il male che è stato fatto contro la creazione per colpa dell'uomo, chiedere perdono agli spiriti tutelari delle zone che sono state toccate dalla violenza e dal male commesso dall'uomo e domandare perdono, celebrare sacrifici riparatori e purificatori al fine di restaurare la pace. Io sono convinto che questa purificazione della natura è di capitale importanza per riportare la pace tra gli uomini e il resto della creazione. Nei tempi antichi, ai tempi dei re, il Benin rispettava scrupolosamente questa prassi e il Paese godeva della pace e dei benefici della natura. I capi dei nostri giorni devono preoccuparsi. Tutto ciò vogliamo dire loro quando saremo tornati da Assisi per attuare nel Benin quanto avremo vissuto insieme a livello mondiale in Italia.

Voglio anche sottolineare una cosa essenziale:  il rispetto dei "mani" degli antenati. Dobbiamo ricordarci che gli antenati che ci hanno preceduto in questo mondo hanno vissuto in un rapporto di rispetto verso Dio e la natura per lasciarci un mondo ancora abitabile e accogliente per l'uomo. Il mondo come era organizzato ai loro tempi non era perfetto sotto tutti gli aspetti, ma aveva il vantaggio di mantenere una grande coesione fra gli uomini e la natura. Alcuni divieti preservavano le sorgenti, le foreste e le zone di rinnovamento della fauna e della flora. Altri divieti determinavano i rapporti umani all'interno della famiglia e della società. Il mantenimento dell'ecosistema e un grande equilibrio all'interno della società contribuivano efficacemente a mantenere questa coesione fra la natura e gli uomini. Non si può parlare oggi di pace senza il rispetto di questo mondo, lasciato in eredità dagli antenati, in uno sforzo costante per migliorarlo a vantaggio degli uomini del nostro tempo.

Fra le consuetudini sociali che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati nella terra africana del Benin vi è l'arte della "palabre" per risolvere i conflitti interpersonali e sociali. In essa si impara l'arte del rispetto nei confronti dell'avversario, come pure il saper tollerare la sua differenza e capire le convinzioni altrui. Questo metodo deve ispirare i vari responsabili della pace nel mondo affinché loro sappiano riportare gli avversari al dialogo, che solo può restaurare la pace nei cuori e nelle nazioni. Niente vale più del dialogo che permette di lasciarsi nella comprensione reciproca. Si passa allora dall'odio alla stima reciproca. Questo ruolo importante della "palabre" (colloquio con i capi tribù) deve essere salvaguardato nelle istanze internazionali che decidono della pace fra le nazioni e nelle nazioni fra le persone. La "palabre" deve portarci oggi il suo apporto per permetterci di gestire il mondo del nostro tempo con tutte le sue difficoltà che dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo.

Io ho appena proclamato in ciò che voi avete ascoltato le mie convinzioni religiose sul mio impegno in favore della pace nel mio paese e nel mondo. Io non saprei terminare qui senza affermare con forza che la giustizia e l'amore fraterno costituiscono i due pilastri fondamentali della vera pace fra gli uomini. Questa terra d'Italia dove mi trovo per l'incontro spirituale di Assisi è una terra di grandi tradizioni religiose. Noi responsabili religiosi dobbiamo insistere nei nostri paesi sul rispetto delle altre nazioni e sulla solidarietà fra i popoli. Il problema dello sviluppo dei paesi poveri, fra cui il mio, costituisce senza dubbio la più grande minaccia contro la pace nel mondo. La solidarietà fra i popoli deve condurre ad una più equa distribuzione delle ricchezze del mondo. I paesi più sviluppati devono sostenere i paesi meno avanzati nei loro sforzi verso lo sviluppo. Il commercio internazionale non deve favorire soltanto quelli che hanno un'economia forte, ma rispettare lo sforzo reale di lavoro e di produzione di ciascun popolo. Il 21 secolo nel quale siamo entrati deve diventare un secolo di costruzione di un mondo più giusto e più fraterno. I valori che dobbiamo promuovere in quanto capi religiosi sono quelli dell'amore e della convivialità in un mondo dove in realtà siamo tutti fratelli. È operando così che noi costruiremo la pace nel mondo.
Che Dio benedica l'incontro di Assisi e che doni al nostro mondo la pace.

 

Didi Talwalkar (Induismo)

Lasciate che inizi ringraziando il Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso per avermi invitato a esprimere il mio pensiero sulla pace nel mondo. Mi sento veramente onorata e benedetta in presenza di Sua Santità, il Papa.

L'Induismo è per me una profonda sorgente di ispirazione, ma non posso pretendere di essere nulla più di una studentessa di una tradizione plurimillenaria. Faccio appello pertanto alla comprensione di Sua Santità e degli altri venerati fratelli e sorelle qui radunati.

Vari sono i significati che si associano alla nozione di pace. Per i pensatori laici, la pace è assenza di violenza e soluzione di conflitti senza violenza. Sembra tuttavia che questa sia una comprensione assai limitata della pace. Certo, è auspicabile che non ci sia violenza. Varie istituzioni e strutture d'ogni livello politico, molti gruppi della società civile e religiosa, ecc., hanno svolto e continuano a svolgere una lodevole opera di pacifica soluzione dei conflitti all'interno e tra comunità. Tuttavia, ancora una volta, questo tipo di pace è giunto ad un punto morto. Ci è venuta a mancare sino ad ora una solida base della pace. Per me la pace consiste nel mantenere l'equilibrio e l'armonia all'interno e all'esterno. Fino a quando non riusciremo a raggiungere questa forma di comprensione, continueremo ad essere testimoni di intolleranza, miseria, sfruttamento, conflitti e ingiustizia.

La religione, se rettamente compresa, è quella forza propulsiva che può restaurare l'armonia e l'unità tra il mondo interno ed esterno. Sebbene le religioni intendano essere e da loro ci si aspetti che siano una forza unificatrice, la storia ripetutamente mostra casi in cui alcuni autoproclamatisi salvatori della religione hanno messo la religione al servizio del potere e di forze disgregatrici.

Abbiamo visto come l'orientamento religioso della gente può essere molte volte corrotto. Il vero messaggio della religione non è e non può essere il bigottismo.

Io provengo da una cultura nella quale il significato più vicino a religione è ciò che noi chiamiamo dharma. Si tratta di una tradizione universale che concerne un ordine morale di definire la relazione dell'"io" con "l'altro" e l'energia divina. Questa interrelazione implica un "ordine" che permette di espandere la consapevolezza personale da un'esistenza chiusa in se stessa a una relazione con il divino.

Tale divinizzazione degli esseri umani ci dà un senso del valore della vita. Non solo io sono essenzialmente divina, ma ogni altro è ugualmente divino per essenza, e questo ci unisce gli uni agli altri sotto la paternità di Dio (vasudhaiva kutumbhakam). Con questa comprensione, le molteplici appartenenze cessano di essere fonti di conflitto. Quanto il Pontificio Consiglio oggi propone, costituisce un modello di rapporti interreligiosi. È un impegno che può aprire il dialogo tra le varie tradizioni religiose allo sviluppo della comprensione dell'umanesimo spirituale.

Per me, che appartengo alla Swadhyaya parivar (famiglia), ispirata dal Rev. Pandurang Shastri Athawale, tale universale fratellanza viene in modo naturale perché egli ha inculcato in noi l'idea dell'accettazione di tutte le tradizioni religiose (sarva dharma sweekaar). Esse non si escludono a vicenda. Alla base della Swadhyaya c'è l'idea di un Dio che abita in tutti, e noi siamo figli dello stesso Dio. Approfondendo l'eredità classica dell'India, egli ha cercato di abbattere le barriere tra uomo e uomo e di liberare l'idea della religione dal dogmatismo, dall'isolamento e dalle costrizioni.

Per noi l'impegno nelle realtà sociali, la rigenerazione e la guarigione della comunità non sono atti di riforma sociale, ma atti di manifestazione di gratitudine all'Essere Supremo. Definiamo ciò bhakti, ossia devozione verso Dio. Lo chiamiamo forza sociale perché permette all'individuo di superare la piccineria, l'odio e la grettezza (kshudrata, krodh and lobha). È questa trasformazione dell'uomo ad aiutarlo a volgere gli avvenimenti quotidiani in energie di liberazione dai vincoli d'ogni genere e a superare difficoltà, complessi, senso di isolamento, insicurezza e inutilità. Ci permette di passare dalla semplice difesa dei diritti umani al livello superiore della difesa della dignità umana e del dovere dell'uomo.

Miei venerati fratelli e sorelle, da molto più in alto della mia condizione di vita, da questo augusto incontro, alla benedetta presenza di Sua Santità il Papa, oso far appello all'umanità perché si vada oltre l'isolamento, si sviluppi un amore assoluto, disinteressato e incondizionato verso Dio e la sua creazione per superare endemiche situazioni di crisi. Non si tratta di una semplice costruzione teoretica. Nella nostra piccola via, abbiamo mostrato che è possibile raggiungere un ordine sociale. Nella causa della pace, non cessiamo di far ricorso ad ogni nostra interiore risorsa. Il nostro dialogo, che celebra l'unità di diverse tradizioni religiose, non è arrivato un giorno prima. Da qui possiamo camminare verso una unità delle religioni del mondo perché si salvaguardi un futuro condiviso e benedetto da Dio.

 

Sheikh Al-Azhar Mohammed Tantawi (Islam)

La testimonianza di Sheikh Al-Azhar Mohammed Tantawi è stata letta dal Dr. Ali Elsamman (Islam). 

Nel nome di Dio, il Tutto Misericordioso, il Molto Misericordioso.

Rivolgo anzitutto un vivo ringraziamento a Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II che riunisce oggi tutti i Rappresentanti delle diverse tradizioni religiose, animati dallo stesso fervore per costruire un mondo migliore. Per illuminarci in questo cammino verso la pace, la fede musulmana ci offre alcuni richiami che vado brevemente a presentarvi.

In primo luogo

Dio ha creato tutti gli esseri umani a partire da un solo padre e da una sola madre. Come Dio ha dichiarato nel libro Sacro:  "Oh uomini! Temete il Signore che vi ha creato da un solo essere, quindi, da costui, ha creato la sua sposa e ha fatto nascere da questa coppia un gran numero di uomini e donne. Temete Dio! Voi vi interrogate a questo riguardo e rispettate le viscere che vi hanno portato. Dio vi osserva" (Sura Le donne, 1).

In secondo luogo

Tutte le religioni monoteiste rivelate da Dio ai suoi venerabili profeti concordano su due punti essenziali: 

- la devozione al culto del Solo e Unico, come Dio ha detto:  "Egli ha stabilito per voi, riguardo all'obbligo religioso, ciò che aveva prescritto a Noè, ciò che noi ti riveliamo (Maometto) e ciò che avevamo prescritto ad Abramo, a Mosè e a Gesù:  adempite il culto. Non dividetevi in sette! Quanto appare duro ai politeisti ciò a cui tu li chiami! Dio sceglie e chiama chi vuole a questa religione e dirige verso di essa chi ritorna pentito a Lui" (Sura La deliberazione", 13).

- il rispetto dei valori:  Allah ha rivelato la religione monoteista per la felicità dell'umanità. Le religioni predicano tutti i valori dell'etica come l'umiltà, la giustizia, la pace e la prosperità, come pure lo scambio di tutte le azioni benefiche autorizzate da Allah, la cooperazione fra tutti i popoli in favore della benevolenza e della pietà, e non per l'offesa e l'aggressione.

In terzo luogo

Dio ci ha creati in questa vita perché ci conoscessimo gli uni gli altri, come Egli ha detto:  "Oh uomini! Noi vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina. Vi abbiamo costituiti in popoli e in tribù affinché vi conosceste tra di voi. Il più nobile tra voi, presso Dio, è il più pio. Dio è colui che sa e che è ben informato" (Sura Gli appartamenti privati, 13).

In quarto luogo

Tutte le religioni monoteiste raccomandano che l'essere umano promuova il diritto e la giustizia, restaurando i legittimi proprietari nei loro diritti. In questa occasione, Al Azhar Al Sharif ha il piacere di rendere omaggio allo Stato del Vaticano per il suo lodevole sostegno nei confronti del popolo palestinese.

In quinto luogo

In Egitto, musulmani e cristiani hanno vissuto come fratelli per 14 secoli, sotto uno stesso cielo, sulla stessa terra, uguali nei diritti e nelle responsabilità. Ciascuno pratica la propria fede come dice il Santo Corano:  "Niente costrizione nella religione! La via diritta si distingue dall'errore. Colui che non crede agli idoli e crede in Dio ha impugnato il manico più solido e senza incrinature. Dio è colui che capisce e sa tutto" (Sura La vacca, 256).

* * *

Al Azhar e i suoi ulema, in questa giornata di preghiera in comune, aderiscono con convinzione all'appello alla pace con un legame immediato e inseparabile dalla giustizia.

 

Rabbi Israel Singer (Ebraismo)

Solo Lei avrebbe potuto mettere insieme qualcosa come questo. Giovanni Paolo II, solo Lei avrebbe potuto far sì che ciò accadesse; noi dobbiamo aiutarla a farlo!

"Grande è la pace,
poiché il nome di Dio
viene chiamato Pace"

La storia ci ha dimostrato che mentre i leader delle religioni mondiali hanno sempre parlato di pace, e i predicatori hanno pronunciato innumerevoli omelie sul fatto che la pace è lo scopo ultimo delle religioni, in realtà, nella pratica, le religioni sono servite per fomentare migliaia di guerre orrende e sanguinose. I numerosi conflitti combattuti in Europa e in Asia fra le maggiori religioni, le battaglie condotte lungo la storia fra sette differenti di una stessa religione, sono ben conosciuti a tutti gli studenti di storia e di religione. Anche oggi, gli uomini continuano a combattersi in Irlanda del Nord, a scontrarsi nel Kashmir e in Pakistan e ad uccidere nel Medio Oriente.

Siamo tutti ben coscienti del modo in cui, l'11 settembre dello scorso anno, dei folli che pretendevano di agire in nome della religione hanno lanciato tre aerei nelle due Torri del World Trade Center e del Pentagono, uccidendo migliaia di persone in pochi minuti, causando così il primo conflitto militare internazionale del 21 secolo.

Noi Ebrei sottolineiamo che le nostre tradizioni religiose non prevedono un ruolo centrale al concetto di guerra religiosa. Ma non vogliamo essere insensati, dato che diverse volte durante il nostro tragico e sanguinoso passato, ci siamo difesi e abbiamo combattuto contro i nemici quando si presentava la necessità. E quando abbiamo combattuto, abbiamo scrutato le nostre Scritture non per cercare una giustificazione per la guerra, ma quale base religiosa delle nostre azioni. La Bibbia è colma delle ingiunzioni di Dio agli Ebrei di combattere contro i nemici quando è necessario. Nella nostra tradizione vi è il concetto di "lo' tehayyun kol neshamah" di guerre contro gruppi specifici, battaglie che devono essere combattute spietatamente e senza misericordia. Un tema simile viene echeggiato in maniera fortissima nel continuo imperativo religioso "mah eni meheh et zakar "amalek"", il comandamento di combattere una guerra finale contro il male ultimo, rappresentato da Amalek, un conflitto in cui non vengono presi prigionieri e tutti devono essere uccisi.

E tuttavia, il combattimento militare non è il cuore del giudaismo. La Bibbia giudaica, la Legge orale, il Talmud, i Midrashim e gli Scritti rabbinici sottolineano tutti l'importanza della pace, sia tra noi, sia con i vicini. Noi Ebrei siamo impegnati in una ideologia, in una religione e in una filosofia centrate sui concetti di pace, di bontà e di fraternità, comuni ad altre religioni del mondo, specialmente il cristianesimo, che ha adottato e ha adattato moltissime idee ebraiche. Le nostre Scritture ebraiche, come pure il Nuovo Testamento cristiano, insegnano a non avere rancore contro quanti ci hanno colpito e a cercare sempre la via della conciliazione e dell'amore fraterno. Anche quando siamo inviati a far guerra contro i nostri nemici, Dio ci ingiunge di offrire in primo luogo l'opportunità di arrendersi pacificamente, e soltanto quando l'offerta viene rifiutata ci è permesso di usare le armi contro di loro. Inoltre, i Profeti hanno ripetutamente posto di fronte ai nostri occhi una visione della fine dei giorni nella quale le spade vengono trasformate in aratri, e tutte le nazioni vivranno in pace.

Perciò la guerra non è la nostra cultura, né compito, né missione, né nostro obiettivo di Ebrei. In definitiva, non è neppure compito di altre religioni del mondo. Il discorso della pace fatto in nome della religione non deve essere abbandonato, poiché si basa sulla realtà di tutti i nostri ideali religiosi ed è il fine ultimo al quale tutti aspiriamo. Dobbiamo rigettare le distorsioni degli insegnamenti religiosi, sorte nel passato e non possiamo ventilare l'idea che la violenza contro i membri di altre religioni o di altre  sette  religiose  sono  di  origine  religiosa.

Dobbiamo ricordare che nessuna religione ci comanda di uccidere in maniera indiscriminata, e quanti hanno insegnato il contrario lo hanno fatto deviando e distorcendo le religioni nel nome delle quali parlavano. Il Papa Giovanni Paolo II ha corretto gli abusi usati storicamente per giustificare la violenza commessa contro non cristiani.

Soltanto attraverso un serio dialogo e mediante l'impegno a una dedizione fisica per la pace da parte dei leader delle maggiori religioni, e non soltanto con semplici pronunciamenti, con sacrifici per la pace, possiamo cominciare a cambiare la condizione umana attuale. Il Papa Giovanni Paolo II ha giocato un ruolo personale di questo genere, mediante i suoi sforzi di riconciliazione con il Giudaismo, ed ha cambiato la storia fra Cristiani ed Ebrei. Questo può essere senza dubbio per ciascuno di noi un modello da seguire, il sentiero dei pellegrini che cercano la pace.

"Il Midrash dice a riguardo della preghiera: le benedizioni non sono complete, finché non contengono in se stesse la parola PACE" (Bamidbar Raba).

 

Chiara Lubich (Chiesa Cattolica)

Gesù per noi cristiani è il Dio della Pace.

Per questo la Chiesa cattolica fa della pace uno degli obiettivi più sentiti. "Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" esclamava Pio XII. Pacem in terris titolava un'enciclica di Giovanni XXIII. "Mai più la guerra" ripeteva Paolo VI all'ONU. E Giovanni Paolo II, dopo i terribili avvenimenti dell'11 settembre, indica la via per raggiungerla:  "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono".

L'intera Chiesa cattolica lavora alla pace. Tante sono le vie che persegue. Efficacissimi sono i dialoghi sulla via tracciata dal Concilio Vaticano II. Essi, perché generano fraternità, garantiscono la pace.

Si attuano a livello universale e nelle Chiese particolari, come attraverso gruppi e Associazioni, Movimenti ecclesiali e Nuove comunità.

La Chiesa svolge il primo tra i suoi stessi figli e figlie, innescando quella comunione richiesta ad ogni livello, che è pace assicurata.

Attua un secondo irreversibile con le diverse Chiese e Comunità ecclesiali, dialogo che accresce la pace nella grande famiglia cristiana.

Realizza un altro con le grandi Religioni del mondo, facendo leva, anche, sulla cosiddetta "regola d'oro", presente in diversi Libri Sacri, che così è espressa nel Vangelo:  "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro" (Mt 7, 12). Questa "regola d'oro", sottolineando il dovere di amare i propri fratelli e sorelle, effettua porzioni di fraternità universale in cui signoreggia la pace.

E infine il dialogo e la collaborazione in più campi con tutti coloro che, pur senza un riferimento religioso, sono uomini e donne di buona volontà per cui si può costruire anche con essi la pace.
Varie espressioni, dunque, d'un unico grande dialogo, generatore di quella fraternità che può diventare, in questo difficilissimo momento storico, l'anima della vasta comunità mondiale, che paradossalmente oggi gente del popolo e governanti cominciano ad auspicare.

 

Andrea Riccardi (Chiesa Cattolica)

"Quell'evento (di Assisi) non poteva rimanere isolato. Aveva infatti, una forza spirituale dirompente:  era come una sorgente..." - così ha scritto Giovanni Paolo II ai leader religiosi presenti a uno dei quindici incontri internazionali seguiti a quella memorabile giornata. Nel 1986, il mondo era bloccato nella guerra fredda. Ma non abbiamo pregato invano ad Assisi e nello spirito di Assisi!

Abbiamo visto come la preghiera libera nuove energie di pace. Ci sono stati cambiamenti epocali:  le transizioni pacifiche dal comunismo nell'Est europeo, le pacificazioni in America del Centro e del Sud, in Asia. Ho visto da vicino ritornare la giustizia in Sud Africa, la pace in Mozambico. Nuove energie d'amore preparano la pace.

Con la sua preghiera insistente, la Chiesa non accetta che la guerra sia ineluttabile. Sono aumentati gli operatori di pace. Nel secolo passato non pochi di essi sono caduti:  dal loro sangue è germogliata la pace! Il loro sangue ha raggiunto quello di missionari, dei caduti per la carità e la giustizia. I nuovi martiri del Novecento testimoniano la forza, umile e debole, dei cristiani, più forte del male. Anche per la loro testimonianza, non siamo rassegnati alle povertà del mondo e alla guerra, madre di tutte le povertà.

Tanti conflitti sono ancora aperti. La Chiesa non dispera né si rassegna. Ricorda la dimensione interiore della pace. Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio e i miti erediteranno la terra.
All'inizio dell'anno i messaggi per la Giornata mondiale della pace svegliano dalla rassegnazione alla guerra o dall'irresponsabilità verso il male. Dove è proclamato e vissuto il Vangelo, si apprende a non disperdere il gran dono della pace, come diceva il beato Papa Giovanni XXIII. Ogni Chiesa locale, ogni comunità cristiana, ogni famiglia diventa il santuario della pace.

La lezione storica degli ultimi decenni e di tutto il Novecento ci dice: la pace è possibile e la guerra è un'avventura senza ritorno. Infatti, noi cattolici, con tutti i cristiani, con i credenti delle grandi religioni, abbiamo compreso meglio che solo la pace è santa, mai la guerra! Per questo, oggi, di fronte alla durezza di questi tempi accogliamo con speranza ed entusiasmo l'invito del Papa ad aprire "il cuore e l'intelligenza alle sfide che ci attendono".

 

Patriarca della Chiesa Ortodossa di Romania S. B. Teoctist

S. B. Teoctist, Patriarca della Chiesa Ortodossa di Romania, ha inviato un messaggio che è stato letto da S.E. Ioan Selejan, Vescovo di Harghita e Covasna. Questo è il testo: 

Le Chiese cristiane, le altre religioni, hanno il dovere di alzare insieme la voce per segnalare il calpestare dei principi morali e spirituali, che tutte le religioni affermano e che tutti i credenti vivono nella vita quotidiana. Tra questi valori spirituali, la pace ne occupa un luogo primordiale perché la manifestazione della fede è compiuta soltanto in un clima di pace. Per i cristiani, l'incarnazione di Dio nella persona di Cristo, che è allo stesso tempo, uomo e Dio, è un momento di pace e di riconciliazione universale, marcato dalla voce degli angeli che annunciano questa nascita dall'alto: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).

Con questa speranza salvifica della pace dall'alto, salutiamo l'organizzazione della "Giornata di preghiera per la pace", un'iniziativa di Sua Santità Giovanni Paolo II, in questo periodo di turbamenti e preoccupazioni a livello mondiale, quando le religioni devono mostrarci di capire i fenomeni complessi e di partecipare, nel loro modo specifico, alla conservazione della creazione di Dio e di alzare l'uomo alla dignità che Dio gli ha affidato. 

        

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