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La facciata orientale costantiniana fu restaurata da Adriano I (772-795), insieme con i quadriportici e gli atri. Giovanni XII (955-964) costruì a sinistra del portico della facciata l'oratorio di san Tommaso, il cui portale aveva un affresco sulla vestizione papale, distrutto nel 1646 ma è noto da copie. Alessandro III (1159-1181) diede al portico un aspetto migliore incaricando Nicola d'Angelo di abbellirlo con sei colonne. Clemente III (1187-1191) -o Niccolò IV (1288-1292)- lo ornarono con un fregio musivo recante storie di san Silvestro e dell'imperatore Costantino. Frammenti dell'epigrafe commemorativa sono conservati nel chiostro. Il portico ebbe attenzioni da Alessandro VI (1492-1503) se il Bramante (1444-1514) dipinse lo stemma borgiano sopra la "porta santa" alla vigilia del giubileo del 1500 e da san Pio V nel 1566 ad opera di Matteo Bartolini. Alessandro VI fu il pontefice che dispose, con la sua Inter curas multíplices del 28 marzo 1499, l'apertura contemporanea della porta santa in ciascuna delle quattro basiliche patriarcali romane e diede per noto che in Roma sì era soliti aprire una sola porta santa senza specificare la basilica. Il portico, dopo l'intervento alessandrino, rimase indenne fino alla demolizione decretata da Clemente XII (1730-1740) per rinnovare la facciata orientale. L'idea però di dotare l’Arcibasilica di una facciata più imponente in sostituzione di quella costantiniana deve essersi fatta strada almeno fin dal pontificato d'Innocenzo X (1644-1655). L'innalzamento della nuova facciata coinvolse l'ambiente urbanistico dell'antistante piazza di Porta S. Giovanni e, quindi, causò l'abbattimento dei numerosi piccoli fabbricati fatiscenti come risulta dalla progettazione sottoposta nel 1656 ad Alessandro VII da Felice della Greca oltre che dal Borromini. L'avvio fu determinato da Innocenzo XII (1691-1700), che approvato nel 1699 il progetto di Carlo Fontana (1634-1714), stanziò un primo finanziamento di 40.000 scudi per lo scavo delle fondamenta ed un secondo finanziamento di 20.000 scudi avuti dal nipote, che aveva nominato arciprete dell'Arcibasilica. Il pontefice però non riuscì a vedere l'inizio dei lavori. Si noti che lo stesso Carlo Fontana aveva presentato ad Innocenzo XII fin dal 1694 un piano urbanistico di ampliamento del colonnato del Bernini mediante la demolizione della spina dei borghi , riprogettato successivamente da Giuseppe Valadier (1809-1814) quando Roma era stata dichiarata da Napoleone I seconda città dell'Impero Francese ed infine realizzato -come via della Conciliazione- da Marcello Piacentini (1881-1960) durante il pontificato di Pio XI. Va pure rammentato che Francesco Fontana (1668-1708), figlio di Carlo, responsabile dell'assegnazione dei temi nei "concorsi clementini", indetti dall'Accademia di S. Luca, per accattivarsi l'attenzione papale sulla costruenda facciata, aveva scelto in quegli stessi anni come compito di disegno per la terza classe i nicchioni della navata centrale. L'Accademia di S. Luca, durante il pontificato di Clemente XI (1700-1721), immediato predecessore di Innocenzo XIII (1721-1724), probabilmente non soddisfatta dal progetto di Carlo Fontana e di quello a due piani di Ferdinando Fuga, imperniato su una linea concava e convessa indubbiamente borrominiana, bandì un concorso per la nuova facciata (1705). Innocenzo XIII (1721-1724), non convinto del progetto di Carlo Fontana e di quello di Filippo Barigioni, riprese quello del Borromini che aveva acquistato per 600 scudi da Giuseppe e Pietro Borromini, nipoti dell'architetto" , autore delle trasformazioni interne che avevano portato alla nuova planimetria. Il Borromini aveva progettato, secondo i disegni conservati nella Galleria Albertina di Vienna, una costruzione bassa a nartece con cinque aperture ad arco a tutto sesto in corrispondenza agli assi delle cinque navate, due aperture a tutto sesto per le due zone laterali, paraste alle estremità in analogia con il sistema interno. Andrea Pozzo, che è autore di un progetto di rifacimento della facciata orientale, lodò le progettazioni borrominiane nei primi due volumi della sua Perspectiva pictorum et architectorum, pubblicati tra il 1693 ed il 1700. Benedetto XIII (1724-1730), decisosi nel 1729 di far costruire la facciata secondo il progetto del Borromini, si trovò nella condizione di non poter dare corso ai lavori perché il materiale, accumulato presso la Scala Santa, era stato nel frattempo impiegato per costruire le cappelle Antonelli, di S. Maria Assunta e di S. Giovanni Nepomuceno. Il successore Clemente XII (1730-1740), affrontò e risolse con decisione il problema sull’ immagine esterna da dare all'Arcibasilica, all'alba di un illuminismo non certo troppo accomodante con la Fede, bandendo un ulteriore concorso del quale furono vincitori Luigi Vanvitelli ed Alessandro Galilei (1691-1736). Il fiorentino Alessandro Galilei, architetto del cardinal Neri Corsini nipote del papa ed arciprete dell'Arcibasilica, fu scelto da Clemente XII. Il ritrovamento di stanze dell'antica domus Lateranorum e di fistule plumbee, venute alla luce durante lo scavo delle fondamenta (1733-1734), fece concludere che la facciata costantiniana era stata costruita ex novo. Prospezioni più recenti hanno indotto ad ipotizzale che la facciata, a sua volta, era il riattamento di quella costruita in mattoni da Costantino per il grande edificio degli equites singulares. Il Krautheimer, sulla base dei rilievi condotti sia sulla facciata costantiniana e sia su quell'attuale, e tenuto conto della decorazione a mosaico esistente dietro la facciata attuale, confermò sia l'ipotesi della sopravvivenza di quella costantiniana sia dell'appartenenza all'acquartieramento degli equites singulares. Charles de Brosses (1709-1777), giudicata la facciata d'Alessandro Galilei d'ispirazione palladiana per l'ordine unico altissimo, e le quattro grosse colonne incassate ed i sei pilastri d'ordine composito, sorreggenti un cornicione ed un frontespizio; scrisse: "È una facciata di ordine composito a cinque arcate alte e strette, che formano innanzi alla chiesa un peristilio, al di sopra del quale è una galleria a loggiato, come a S. Pietro. La parte centrale sporgente è a colonne, e le parti arretrate a pilastri, e questo sistema è stato osservato così negli ordini più bassi delle porte e delle finestre, come nell'ordine maggiore che forma tutta la facciata. Quest'ordine maggiore è sormontato da un fregio e il frontone soltanto da un bel timpano". Al de Brosses è sfuggito l'inserimento, nel fregio di divisione dei due portici, della celebre epigrafe del secolo V in versi leonini, conservati dal Galilei nei loro caratteri gotici dogmate papali datur ac simul imperiali quod sim cunctarum mater caput ecclesiarum hinc salvatoris celestia regna datoris nomine sanxerunt cum cuncta peracta fuerunt quesumus ex toto conversi supplice voto nostra quod hec aedes tibi christe sit inclita sedes a richiamo della continuità storica più che millenaria dell'alto ufficio religioso e civile esercitato nell'inclita sede dell'Arcibasilica. Giovanni Diacono, canonico lateranense, l'aveva già ampiamente trasmessa da circa sei secoli. II cornicione, infatti, sormontato da balaustra ha statue alte sette metri scelte in funzione di quella rappresentativa del Salvatore di Paolo Bengala (1735) che dà sostegno a chi con dottrina ed esempio di vita ha predicato il Vangelo come S. Giovanni Battista del toscano Bartolomeo Pincellotti (+l740), S. Giovanni Evangelista del perugino Luigi Pellegrino Scaramuccia (1616-1680), S. Gregorio Magno del romano Giovanni Battista de Rossi; S. Girolamo del bolognese Agostino Corsini, Sant'Ambrogio del napoletano Paolo Benaglia, Sant'Agostino del romano Bernardino Ludovisi (1713-1749), Sant'Atanasio di Pierre L'Estache, S. Basilio di Giuseppe Riccardi o Giuseppe Frascari, S. Giovanni Crisostomo del comasco Carlo Tantardini (1677-1748) o del Frascari; S. Gregorio Nazianzeno di Carlo Tandartini o Giuseppe Riccardi; S. Bernardo di Tommaso Tomassini o Tommaso Brandini; S. Tommaso d'Aquino di Pascal Latour; S. Bonaventura di Baldassarre Casoni; Sant'Eusebio di Vercelli di Gian Francesco Lazzaroni. Gli angeli che sorreggono nel timpano il medaglione del Salvatore furono scolpiti da Paolo Ciampi.
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