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  ARCIBASILICA PAPALE SAN GIOVANNI IN LATERANO

 INTERNO - TRANSETTO E CAPPELLE ATTIGUE
 

Il grand'arco, o arco trionfale, sostenuto da due colonne di granito rosso orientale alte metri 11, segna il confine occidentale della navata centrale mentre le quattro navatelle confinano con il transetto trans saepta che è un ampio vano rettangolare nominato per la prima volta nella storiografia basilicale nel restauro di Adriano I (772-795). Il transetto lateranense, che come insegna l'archeologia cristiana fu il primo ad apparire in Occidente ed in Oriente, era, secondo saggi recenti, a cinque sezioni, sporgeva oltre i muri esterni delle navatelle e la sua ampiezza era pari a quella della navata centrale. Il Liber pontificalis pone nel transetto sette altari ma uno solo serviva per la liturgia: ora vi sono l'altare papale entro il tabernacolo di Giovanni di Stefano, la cappella del Ss. mo Sacramento o Clementina. Il monumentale organo barocco del perugino Luca Blasi (Biagi, 1548-1608), non può avere sostituito uno dei cinque altari scomparsi dato che è stato sistemato in parete e sopra il portale settentrionale.

Clemente VIII, con la collaborazione del cardinale Cesare Baronio iniziò i lavori di rinnovamento del transetto nell'estate 1592, dopo aver discusso i progetti con l'architetto genovese Giacomo della Porta e con il pittore arpínate Bernardino Cesari. Dalla collaborazione di questi due artisti è scaturito uno dei complessi più rappresentativi del manierismo romano. Il rinnovamento auspicato dal pontefice non era certamente quello di far scomparire tutta la decorazione precedente, come purtroppo accadde allora e come continuò con il rinnovamento che Innocenzo X affiderà al Borromini.

Il soffitto in legno dorato, incentrato nel busto del Cristo fra le statue dei santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, e i due stemmi pontificali di Clemente VIII, sono opera di Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo ( 1642/46); il disegno del lacunare si deve al fiorentino Taddeo Landini (1550-1596). Il soffitto, realizzato in tiglio albuccio e abete, è opera dei falegnami Francesco Matalani, Niccolò Varisco, Valerio Valle e Giuseppe de' Bianchi da Narni, ai quali fu dato un compenso di 22 scudi a canna. Le figure dei dodici apostoli sono affrescate in alto tra le finestre e quelle dei quattro evangelisti sugli arconi.

I lavori clementini hanno demolito i due altari quattrocenteschi eretti da Guglielmo de Périers, uno nel transetto destro dedicato ai santi Giacomo, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, l'altro nel transetto sinistro dedicato alla Santa Croce. La figura di S. Giacomo è stata trasportata agli inizi della navata destra mentre quelle dei santi Giovanni Battista ed Evangelista sono state collocate nel chiostro. La lastra marmorea del Crocifisso fra la Vergine e san Giovanni Evangelista con la scritta "Guillermus de Pereriis auditor, Deo Salvatori nostro dicavit anno domini 1492" è stata murata nel Battistero Costantiniano. La memoria del cardinale Gerolamo Galimberti di Parma (1575), opera di Guglielmo della Porta, è stata trasferita dal Borromini nel pilastro della navata sinistra.

Sulla parete destra in alto: san Barnaba di Giovanni Battista Ricci (1550-dopo 1623), san Bartolomeo di Paris Nogari, san Simone di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (1552-1626); in basso san Silvestro I papa riceve i messi di Costantino del Nogari; il battesimo di Costantino del Pomarancio; sulla parete sinistra in alto san Taddeo di Orazio Gentileschi; san Tommaso di Cesare Nebbia; san Filippo di Giovanni Baglione; fondazione dell'Arcibasilica del Nogari; san Paolo e due santi dottori di Cesare Nebbia; apparizione del Santo Volto, Costantino dona gli arredi all'Arcibasilica del Baglione; alla parete sinistra in basso sant'Andrea di Giovanni Battista Ricci; san Pietro di Bernardino Cesari (1571-1622); due santi dottori e sogno di Costantino del Nebbia; trionfo di Costantino del Cesari; sotto gli affreschi, angeli in altorilievo di Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo e di Stefano Maderno (1576-1636).

Il Capitolo Lateranense contribuì alle spese che ammontarono a 38.016 scudi e 19 baiocchi e dimostrò la sua gratitudine a Giacomo della Porta ottenendo da Clemente VIII l'investitura di un canonicato in S. Maria Maggiore per il figlio ed il cavalierato dell'Abito di Cristo per Bernardino Cesari, il Cavalier d'Arpino.

Il pavimento del transetto è stato rinnovato nel 1858 dall'architetto romano Andrea Busiri Vici (1818-1911) con il patrocinio di Pio IX, come dimostrato dall'ampio stemma pontificale terragno davanti all'altare papale.

L'altare papale di marmo, rinnovato, sul finire del secolo XIII, dal marmoraro Cinzio de Salvati (l293), completato da Giovanni dell'Aventino e da Giovanni di Cosma con il figlio Lucantonio, restaurato da Pio IX nel 1851 , è esaltato dall'arte medievale del magnifico

tabernacolo ogivale, commesso nel 1367 da Urbano V -con il concorso finanziario di Carlo V re di Francia e di Pietro Belliforte- a Giovanni di Stefano, che lo sostituì a quello d'argento di Sergio III, che si era liquefatto nell'incendio del 1308.

L'altare papale, prima del pontificato di Sergio III (904-911), era coperto da una tavola dipinta con le immagini degli apostoli Pietro e Paolo , delle quali forse sono memoria le due piccole statue addossate al paliotto. Quattro colonne di metallo, fra l'altare ed il coro presbiterale, erano impiegate per sostenere varie immagini di santi ed un lampadario che bruciava balsamo orientale. Tutto crollò con il terremoto dell'896: la ricostruzione cominciò con Sergio III, il tabernacolo fu restaurato da Urbano V e completato da Gregorio XII (1406-1415), la posizione dei loro stemmi nel fastigio e sui lati dell'altare risale al restauro di Pio IX. Gregorio XII tolse le quattro colonne di bronzo dorato e le pose come sostegno della cappella del Ss.mo Sacramento, dove tuttora si ammirano.

Pio IX nel 1851 affidò all'architetto Filippo Martinucci (|1862) l'incarico di restaurare il ciborio di Giovanni di Stefano e di ampliare la cappella della confessione, a Durante e a Pietro Ercole Visconti, commissario delle antichità romane, le opere preparatorie di scavo. Il Martinucci eliminò la grata dorata dell'epoca di Innocenzo X, fece scomparire le ridipinture sui marmi trecenteschi, lasciò le pitture sulla piccola volta sopra l'altare, inserì lo stemma di Pio IX al centro del paliotto tra quelli di Gregorio XI a destra e di Urbano V a sinistra. Conservò, in uno dei lati minori, lo scudo seminato di gigli -antico blasone della casa reale di Francia-, nell'altro quello del cardinale Guglielmo d'Agrifoglia. Trasferi dal chiostro dei Vassalletto le due statuette raffiguranti gli apostoli Pietro e Paolo che pose a destra ed a sinistra del paliotto dell'altare papale. Dentro l'altare sono custodite le memorie dei martiri collocatevi dal papa san Silvestro I. L'ampliamento della confessione causò la perdita delle pitture di Giovanni Brughi.

Il tabernacolo reca gli stemmi di Urbano V, di Carlo V di Francia, del Belliforte e quelli tardivi di Gregorio XI, con quattro colonne, due di granito orientale, la terza di marmo bigio antico e la quarta di granito dell'Elba. Le colonne verso la navata centrale hanno i capitelli di ordine composito dissimili, quelli delle altre due colonne hanno quattro grifi poggiati su foglie di acanto, che sostengono l'elegante baldacchino a cuspide, ornato dalle otto statuine di santi, due per cantone sotto cappelline goticheggianti, e dai tondi dei quattro evangelisti nei timpani cuspidati. Barna da Siena (1369) lo ornò con 12 affreschi: la crocifissione con quattro santi verso la navata; a sinistra, Cristo e gli agnelli fra quattro santi; la Madonna in trono con il cardinale donatore, fra quattro santi a destra; verso l'abside l’annunciazione, l’incoronazione della Vergine e due santi, un cardinale ignoto fra quattro santi, poi ritoccati da pittore romano forse della scuola di Antoniazzo Romano (Antoniazzo di Benedetto Aquili, 1508/12), dal perugino Fiorenzo di Lorenzo (1440-1525) ed, all'epoca di Clemente VIII, da Giovanni Battista Brughi.

Tra le colonne salivano due piccole scale di legno per consentire di raggiungere la ringhiera del tabernacolo entro la quale erano i grandi reliquiari delle sacre teste degli apostoli Pietro e Paolo. Al vertice del tabernacolo, per ogni intercolumnio vi sono tre archetti di marmo traforati con colonnette quadrate terminanti in cespi di foglie frappate ed ornate di stemmi: l'arma di Urbano V al centro nel prospetto, alla destra l'arma del card. Antonelli ed a sinistra l'arma del card. Angelico Grimoard, sormontata dal cappello cardinalizio trecentesco. Verso mezzogiorno: l'arma di Urbano V, di suo nipote, vuoto il terzo scudo. Dal lato abside: l'arma di Urbano V con alla destra quella del Grimoard ed alla sinistra quella di Guglielmo d'Agrifoglia, il fianco settentrionale ripete gli stemmi posizionati come nel lato opposto.La volta sopra l'altare, con gli apostoli Pietro e Paolo ad altorilievo, di Giovanni Cosci, fu purtroppo ritoccata nel 1804 da Domenico Fiorentini da Sermoneta. Entro la cancellata erano i reliquiari in argento a forma di busto che custodivano le sacre teste degli apostoli Pietro e Paolo , ordinati da Urbano VI (1378-1389) all'orafo senese Francesco di Bartolo. Pio VI fu costretto a fonderli per pagare la taglia imposta dal generale Napoleone Bonaparte condizionata alla firma del trattato di Tolentino (Macerata) tra la Sede Apostolica e la Repubblica Francese (19 febbraio 1797).I reliquiari attuali sono una copia ottocentesca e furono sponsorizzati dalla duchessa Maria Emanuela Pignatelli, e sono oper di Giuseppe Valadier. Pio VII, il 3 luglio 1804, fatta la ricognizione canonica delle reliquie nella Cappella Corsini, li collocò nel ciborio di Giovanni di Stefano.

Sulla parete del transetto destro, sopra i tre accessi all'Arcibasilica dalla facciata settentrionale, è addossato il grandioso organo barocco di Luca Blasi (1598),la canna centrale dell'organo, lunga 8 metri del peso di 2 quintali, è un "fa".

La facciata dell'organo, fatta rinnovare da Clemente VIII in vista dell'anno santo del 1600, è a tre campate con tribuna sostenuta da due colonne scanalate di giallo antico venato, di circa otto metri di altezza, che sarebbero state fatte tagliare da Traiano per il Foro di Roma. La decorazione con angioletti musicanti in legno dorato sparsi sulle canne dell'organo è dell'architetto Giovanni Battista Montano (1534-1621), il più grande intagliatore di tutti i tempi.

L'organo è stato restaurato nel 1675, 1731, 1747, 1852, 1934 e dal 1984 al 1987. Girolamo Frescobaldi (1583-1643), maestro della Cappella Giulia, e Georg Friederich Hàndel (nel 1707) lo hanno suonato.

Nelle nicchie ovali, sotto la tribuna, il busto di re David con l'arpa di Francesco Aldini ed il profeta Ezechia con l'organino, opera giovanile del milanese Ambrogio Buonvicino (1522-1622). I due angeli che sorreggono lo stemma pontificale di Clemente VIII sono del Valsoldo.

La cappella del Crocifisso, già della famiglia di notai capitolini Ceci, dedicata anche alla Natività di Gesù, è sita a destra dell'entrata settentrionale dell'Arcibasilica. L'affresco sull'altare raffigura la Presentazione di Gesù al tempio del pittore romano Francesco Grandi (1831-1891). A sinistra dell'ingresso di fronte alla tomba del cardinale Carlo Rezzonico, nipote di Clemente XIII, opera del veneziano Antonio d'Este (1754-1837), si trova un sarcofago d'ignoto con le credute spoglie di Lorenzo Valla (Roma 1407-1457), canonico regolare lateranense, maggiore rappresentante dell'evoluzione della mentalità dogmatica medievale, spirito critico ed innovatore dell'umanesimo italiano del secolo XV, chiamato a Roma da Niccolò V e Callisto III per studiare i manoscritti greci posseduti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. Il sarcofago del Valla è invece murato nel chiostro dei Vassalletto a sinistra della porta di bronzo che reca in sacrestia .

Un altorilievo del busto di profilo di un pontefice con tiara ad una sola corona, incollato su un erratico mosaicato ad intarsi cosmateschi del secolo XIII-XIV recante quattro stemmi dei Tomacelli, è poggiato nell'attesa di sistemazione sotto il monumento Rezzonico. Il busto, ritenuto di Bonifacio VIII potrebbe essere attribuito, data la presenza degli stemmi, a Bonifacio IX (1398-1404) della famiglia Tomacelli. L'ipotesi bonifaciana non appare probabile se si tiene conto che Bonifacio VIII non portò mai la tiara con la triplice corona e che l'uso di tale forma di tiara ebbe inizio con il pontificato del beato Urbano V (1362-1370).

A destra della cappella è il monumento con le spoglie di Innocenzo III (+1216), fatte trasferire da Perugia da Leone XIII nel 1891, di Giuseppe Lucchetti (1823-1907); le statue si riferiscono a san Francesco ed a san Domenico, che avevano ottenuto dal pontefice l'approvazione delle regole religiose.

La cappella del Salvatore o del coro,già patronato Colonna, progettata da Girolamo Rainaldi (+1625), con statue lignee di media grandezza, entro nicchie sugli stalli del coro, fatti intagliare a Napoli dopo il 1611 dal connestabile Filippo Colonna. Sull'altare, fra quattro colonne di alabastro rosa, tela del Salvatore con i santi Giovanni Battista ed Evangelista del Cavalier d'Arpino; a sinistra dell'altare, memoria di Lucrezia Tomacelli, moglie di Filippo Colonna, degli architetti romani Teodoro della Porta (1567-1638) e Giacomo Laurenziano (1650). A destra in alto, ritratto di Martino V di Pulzone Scipione da Gaeta (1550-1598), la cui posizione di profilo induce a credere che sia stato ispirato da un ritratto di Gentile da Fabriano o del Pisanello. Nella volta, affresco dell'incoronazione della Vergine del bolognese Baldassarre Croce (1558-1628), al centro del coro stemma terragno dei Colonna sulla pietra di chiusura del sepolcreto gentilizio.

La cappella del Ss.mo Sacramento, collocata contro la parete ove prima era stato l'organo e la porta d'ingresso al chiostro. L'architetto romano Paolo Olivieri (1551-1599), che aveva fondato con Federico Zuccari (1540/4-1609) l'Accademia di San Luca, progettò la cappella. Opera di gusto accademico nella forma ma annunziante per lo sfarzo del colore una ricchezza decorativa tutta barocca. L'artista esprime il gusto generato a Roma dalla Controriforma, prima che la scultura e l'architettura avessero l'impulso nuovo nel secolo XVII. La cappella è stata eretta nel 1598 da Clemente VIII e dotata di alcune cappellanie con bolla del 12 febbraio 1600 di collazione riservata alla famiglia Aldobrandini. Il pontefice per solennizzare l'istituzione fece coniare due monete.

Il nome di Clemente VIII sulla trave del timpano data i suoi restauri del transetto. Il Dio Padre del frontone è di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (1552-1626). Il timpano è sorretto da quattro grandi colonne corinzie scandiate di bronzo clorato, che al tempo di Niccolò IV delimitavano il presbiterio, tra l'abside e l'altare papale, le cui basi e capitelli sono dello scultore bolognese Orazio Censore o Censori . L'origine del bronzo delle colonne, secondo tradizione, proverrebbe dalla fusione di bronzi etruschi dall'area di Tarquinia e di Civitacastellana, oltre che da quelli della porta regìa del Pantheon , o dal tempio di Gerusalemme, o da quelli della Nemesi, o di Giove Capitolino a Roma, o dalla fusione fatta da Augusto dei rostri delle navi di Cleopatra, o infine dal palazzo di Costantino.

La cappella è sormontata dal grande affresco del Cavalier d'Arpino. Il romano ingegnere militare Pompeo Targone (1575-1630) ha progettato il tabernacolo, tempietto ottagonale di bronzo dorato, ornato di pietre preziose -stimato 22.000 scudi d'oro-, fiancheggiato da quattro colonne di verde antico appartenute all'antica basilica. All'opera hanno collaborato il Valsoldo junior (modello per il san Giovanni Evangelista) e Camillo Mariani (cherubino in marmo sul frontespizio dell'edìcola e modello per il san Giovanni Battista). In nicchia, sopra l'altare, vi era un bassorilievo in argento dorato di Curzio Vanni (1588-1589) del peso di mille libre sorretto da due angeli modellati da Ambrogio Buonvicino(1552-1622) e fusi da Orazio Censore, costato 12.000 scudi d'oro, posto a protezione di una tavola di legno di cedro ritenuta quella dell'Ultima Cena. Ai lati della cappella le statue dei profeti Elia e di Elia nutrito dall'angelo di Pietro Paolo Olivieri (1551-1599) portata a termine dal vicentino Camillo Mariani (1567-1611), di Mose e la raccolta della manna del belga Gillis de la Rivière ( 1600), di Melchisedech e l'incontro di Abramo e Melchisdech del francese Nicolò Pippi d'Arras ( 1601/4) e di Aronne con il bassorilievo della Pasqua ebraica di Giacomo Longhi detto Sila da Viggiù(1568- 1619).

La storia e le leggende dell'Arcibasilica sono affidate ad grandi affreschi sulle pareti, simili a tappeti. Sulla parete a sinistra della cappella del Ss. mo Sacramento è celebrato il Trionfo di Costantino del Cavalier d'Arpino, il Sogno alla vigilia dello scontro con Massenzio di Cesare Nebbia, i Legionari alla ricerca del papa san Silvestro sul monte Soratte del Nogari, la Consacrazione del Ricci, l’Apparizione del Salvatore del Nogari ed i Doni offerti da Costantino all'Arcìbasilìca del Baglione. Diversi sono gli affreschi ornamentali su apostoli, santi, paesaggi di scuola manierista del faentino Ferraù Fenzone (1562-1645) e di Paul Brill (1554-1626).

I nove angeli in bassorilievo murati sulle pareti sono moduli classici di Nicolas Cordier il Franciosino (1567-1612) e del Valsoldo.

La cappella della Confessione dedicata a san Giovanni Evangelista, costruita da Sergio II (844-847) è circondata da balaustra. Dal cancelletto si scende per due rami di scala al sepolcro di Martino V, opera di bronzo dell'orafo fiorentino Simone di Giovanni Ghini fratello di Donatello, qui trasferita dalla navata principale. Alla testa del sepolcro, statua lignea di san Giovanni Battista, opera di Donato da Formello -a torto ritenuta di Donatello-, trasferita dalla sacrestia ove era stata parcheggiata dal 1772, provenuta dalla cappella di san Giovanni Battista del Battistero Costantiniano. La statua, almeno fino a prima della metà del secolo XX, veniva trasportata all'ingresso della Confessione nella ricorrenza della nascita del Battista (24 giugno) ed i canonici lateranensi le rendevano omaggio depositando sul pavimento i loro stemmi. In questa stessa ricorrenza si benedicevano e distribuivano i chiodi di garofano come antidoto contro la malaria, che infieriva nelle Paludi Pontine, e contro il mal di denti.

 

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