Prima di parlare di un'opera così importante come la Cappella Sistina è necessario fare un piccolo accenno al pontefice che la volle edificare. Sisto V era stato il papa che più dei suoi predecessori aveva saputo ridare vigore alla città depauperata dal "sacco" di Roma del 1527 e la sua prima preoccupazione era stata quella di ridare alla città eterna la possibilità di espandersi risanando zone malsane e creando infrastrutture utili allo sfruttamento delle aree già occupate dai nuovi insediamenti. Al suo architetto di fiducia, Domenico Fontana, il pontefice commissionò dunque di costruire una cappella del Santissimo Sacramento degna anche di custodire quella del Presepe. Il programma iconografico della decorazione pittorica, nella quale sono raffigurati antenati di Cristo, storie della Vergine e della vita di Gesù, ha il suo centro nella Cappella del Presepe posta sotto l'altare che conserva l'antico Oratorio del Presepe, realizzato nel XIII secolo da Arnolfo di Cambio, che Domenico Fontana trasportò in blocco dall'abside della Basilica. Le pitture della Cappella Sistina celebrano il trionfo conseguito dalla Vergine, la cui maternità divina era negata dall'eresia protestante, nel Concilio di Trento. L'impresa fu diretta da Cesare Guerra e Giovanni Nebbia, che fra il 1587 ed il 1589 ricevettero il pagamento dovuto. Il loro interesse principale era far sì che le figurazioni della Sistina fossero la naturale continuazione del messaggio già espresso nei mosaici dell'arco absidale. Stilisticamente le pitture sistine cedono ad un linguaggio di sicura presa sull'osservatore. Eliminato ogni intellettualismo e ogni eccessiva personalizzazione artistica, le immagini procedono chiare e riconoscibili, senza necessitare di ulteriori commenti. Numerosi sono gli artisti che lavorarono nella Sistina. Sisto V andò a vederla personalmente nello studio dell’artista, presenziando poi all’erezione di essa nel giugno del 1587. Di Giovanni Antonio Paracca, detto il Valsoldo, invece è la statua raffigurante Sisto V che ritrae il Pontefice in ginocchio, con lo sguardo bonario sul Tabernacolo e sul Presepio della Cripta. Bellissimo è l’altare al centro della cappella: quattro angeli in bronzo dorato a grandezza naturale, opera di Sebastiano Torregiani, sorreggono il ciborio che è il modello della cappella stessa, riccamente decorato con angeli e profeti a tutto tondo e bassorilievi sugli sportelli. Ai piedi dell’altare, al termine della doppia scala della Confessione che conduce all’Oratorio del Presepe, la natività di Cecchino da Pietrasanta del XVI secolo, collocata sopra un altare in stile cosmatesco.
Il
Presepe della Basilica papale di Santa Maria Maggiore.
Un celebre capolavoro di Arnolfo di Cambio del 1291
di
Sante Guido
A 15 anni dall’intervento
di smuratura dall’angusta nicchia nella quale era collocato e successivo
restauro, è stato ricollocato nel febbraio 2020 nella Cappella del Santissimo
Sacramento, anche detta Cappella Sistina, il celebre Presepe della Basilica
papale di Santa Maria Maggiore (fig. 1), precedentemente presentato in via
del tutto eccezionale in una mostra dal titolo “Is Born” (24 dicembre
2019 – 22 febbraio 2020) tenutasi nella Sala Capitolare. Una esposizione nata
quale omaggio della promulgazione della Lettera Apostolica Admirabile
signum di papa Francesco del 1° dicembre 2019 sul significato del Presepe
[1].

fig.
1 – ARNOLFO DI CAMBIO, Presepe, 1291. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore,
Cappella Sistina (nella sistemazione ove le statue furono collocate dal 1586 al
2005) (Foto dell’autore)
I fedeli posso quindi
fermarsi in preghiera e ammirare tutto l’anno il Presepe collocato
sull’altare della Cappelletta di San Girolamo, sul lato sinistro presso la
cancellata della Cappella Sistina. Un luogo scelto in quanto la ricollocazione
nel vano scavato nel muro della Confessione della Cappella Sistina, di difficile
accesso, non avrebbe permesso la fruizione del primo e più antico Presepe
in forme tridimensionali giunto fino ai nostri giorni.
Il Presepe, opera
di Arnolfo di Cambio, venne realizzato nel 1291 a poco meno di settant’anni dal
primo presepe “vivente” ideato nel Natale del 1223 da san Francesco d’Assisi a
Greccio, assumendo un valore spirituale e artistico di primaria importanza. Il
committente delle sculture, che vennero eseguite per decorare un preesistente Oratorio dedicato
alla natività del Cristo, posto presso la navata destra della basilica (fig. 2),
è da identificarsi nel pontefice Niccolò IV (1288-1292),

fig.
2 – Pianta dell’antica Basilica di Santa Maria Maggiore con gli edifici annessi,
da
Paolo De Angelis, “Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe A Liberio Papa I Usque Ad
Paulum V Pont. Max Descriptio”, Roma 1621,
(nel
riquadro rosso l’ Oratorio del Presepe sino al 1586)
il primo francescano a
salire sul soglio di Pietro. La realizzazione vide inoltre il
coinvolgimento, stando a quanto riferito in un primo momento da Panvinio e
successivamente da Giorgio Vasari nella Vita di Arnolfo, di “Pandulphus
de Pontecurvo scriptor papae ” canonico della Basilica di Santa Maria
Maggiore.
Sebbene sul finire del
Duecento le raffigurazioni della Natività di Cristo e dell’Adorazione dei Magi
fossero già largamente diffuse ad iniziare dal Sarcofago di Adelfia del
IV secolo – presso il museo archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa,
nel quale tra le decorazioni spiccano le scene della nascita di Gesù Bambino
(fig. 3) – sino al gruppo ligneo ducentesco conservato nella Basilica di
Santo Stefano a Bologna (fig. 4),

fig.
3 – Sarcofago di Adelfia, 325-350, Siracusa, Museo Archeologico Regionale
“Paolo Orsi” (foto dal web)
 fig.
4 – ANONIMO SCULTORE, SIMONE DEI CROCIFISSI, Adorazione dei Magi, seconda
metà del XIII secolo – policromia 1370. Bologna, Basilica di Santo Stefano (foto
dal web)
passando per le mirabili
opere a Pisa e Siena di Nicola Pisano, maestro di Arnolfo – lo spirito della
rappresentazione scultorea della Basilica Liberiana, nell’orma di quanto
realizzato da san Francesco e per tramite di Niccolò IV, lo pone quale il primo
e più antico presepe della storia del cristianesimo. Il contesto e alcune
brevi annotazioni storiche appaiono determinanti per capirne il più profondo
significato.
Secondo la tradizione, la
Basilica romana venne fondata sul colle Esquilino da papa Liberio (352-366) dopo
la miracolosa nevicata della notte del 5 agosto 358, assumendo il nome di “Liberiana”;
l’edificio ecclesiale fu storicamente consacrato da papa Sisto III (432-440) in
onore della Theotókos, Maria Madre di Dio, a seguito del Concilio di
Efeso (431). Nella zona ove era preesistente il culto di Giunone Lucina,
protettrice delle partorienti. Intorno alla metà del VII secolo, durante il
pontificato di Teodoro I (642-649), la Basilica venne intitolata Santa Maria i
Praesepium, in quanto venne edificato al suo interno un Oratorio
del Presepe, destinato ad accogliere le sacre reliquie giunte da Betlemme:
la mangiatoia (praesepium) ove venne adagiato Gesù Bambino e le fasce in cui fu
avvolto alla nascita (puerperium). Sancta Maria ad Praesepium e
la relativa piccola cappella, ove erano conservate le reliquie, furono oggetto
della grande munificenza da parte di molti pontefici medioevali come attestato
dal Liber Pontificalis.
I due momenti più
significativi della storia dell’Oratorio del Presepe sono strettamente
connessi con eventi storici di grande valore simbolico: la sua fondazione alla
metà del VII secolo con papa Teodoro I e il suo rinnovamento sotto le direttive
di Arnolfo nel 1291, coincidono infatti con due date cruciali per la storia
della Cristianità. La prima è la caduta della Terra Santa nelle mani degli Arabi
dopo la conquista di Cesarea nel 640; la seconda è la definitiva perdita nel
1291 dei territori della Palestina a seguito della espugnazione della roccaforte
di Acri, ultimo avamposto della difesa dei Crociati ma anche la disfatta
diplomatica subita da Niccolò IV nel promuovere una nuova crociata, da
lui strenuamente sostenuta, per riconquistare Gerusalemme e i territori
limitrofi. Nell’impossibilità di raggiungere la Terra Santa l’Oratorio del
Presepe, ove erano custodite le preziose reliquie, assunse per l’Occidente
cristiano il ruolo del Santo Luogo della Natività di Cristo e l’intera Basilica
di Santa Maria Maggiore, innalzata al titolo di “Seconda Betlemme”, come
per tradizione fu spesso chiamata, divenne meta dei pellegrini “romei” in
occasione delle festività natalizie.
 fig.
5 – GIOVANNI ANTONIO PARACCA detto VALSOLDO, Papa Sisto V in preghiera,
1596. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore, Cappella Sistina, Monumento
Funebre di Sisto V. (Foto dell’autore)
Le reliquie del Presepe furono
conservate nell’antica cappella fino al 1585 quando un nuovo
pontefice francescano, papa Sisto V Peretti Montalto (1585-1590) (fig. 5) fece
costruire da Domenico Fontana la monumentale Cappella del SS. Sacramento (fig.
6)

fig.
6 – Domenico Fontana, Cappella del Santissimo Sacramento o Cappella Sistina,
1585-1590. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore. (Foto dell’autore)
sul fianco destro della
basilica e trasferire l’intero oratorio medioevale nella cripta al centro del
nuovo ambiente. A riprova della sacralità dell’Oratorio del Presepe,
l’architetto del papa, di fronte alle richieste del capitolo di Santa Maria
Maggiore di preservare il “Santo Luogo”, progettò un ingegnoso sistema per
trasportare l’intera Cappella che, racchiusa in una gabbia di legno e sollevata
da carrucole e argani (figg. 7 – 8),

fig. 7
– Il modo tenvto in trasportare la Capella vecchia del Presepio tutta intera:
l’armatura della capella, la pianta delli argani, e il luogo, doue s’haueua da
calare, da Domenico Fontana, “Della trasportatione dell’obelisco vaticano:
et delle fabriche di nostro signore papa Sisto V fatte dal cavallier Domenico
Fontana, architetto di Sva Santità”, libro primo, Roma 1590

fig. 8
– Il modo tenuto in trasportare la Capella vecchia del Presepio tutta intera
: la Capella del Presepio sospesa in aria nel medesimo modo, che staua mentre si
calava a basso, da Domenico Fontana, da Domenico Fontana,
“Della
trasportatione dell’obelisco vaticano: et delle fabriche di nostro signore papa
Sisto V fatte dal cavallier Domenico Fontana, architetto di Sua Santità”, libro
primo, Roma 1590.
gli permise di sollevarla
e spostarla di circa 10 metri calandola sotto il livello pavimentale. Fontana
inoltre “restaurò” la cappella collocando le sculture di Arnolfo in un apposito
“nicchio quadro”, posto alle spalle dell’altare (fig. 9).


fig.
9 – La Capella del Presepio, da Domenico Fontana, “Della trasportatione
dell’obelisco vaticano: et delle fabriche di nostro signore papa Sisto V fatte
dal cavallier Domenico Fontana, architetto di Sva Santità”, libro primo, Roma
1590.
(nel
riquadro rosso la Capella del Presepio nel riquadro verde il Nicchio quadro ove
furono collocate le statue di Arnolfo).
Della conformazione
originaria dell’Oratorio del Presepio, non rimane alcuna
documentazione tranne le descrizioni di Fontana e due piante che permettono di
ricostruirne la struttura architettonica nella versione tardo duecentesca: un
ambiente rettangolare di circa 2,50 metri per 3,85. La cappella doveva
riprodurre, in scala ridotta, l’ambiente edificato
dall’imperatore Costantino sul luogo della Natività a Betlemme, la
cui antica sistemazione è descritta in una delle lettere di san Girolamo. I
romani e i pellegrini fino al 1585 poterono quindi osservare, durante la solenne
messa papale della notte di Natale nella Basilica di Santa Maria Maggiore – la “Seconda
Betlemme” – una ricostruzione molto simile all’originaria Cappella della Natività, impreziosita
dalla fine del Duecento, secondo lo spirito francescano voluto da Niccolò
IV, dalle raffigurazioni del Presepe scolpite da Arnolfo. Il Vasari, nel
concludere la biografia dedicata al grande scultore e architetto fiorentino,
ricorda per ultimo il Presepe di Santa Maria Maggiore “la cappella di
marmo, dove è il presepio di Gesù Cristo, fu dell’ultime sculture di marmo che
facesse mai Arnolfo”, quasi a suggellare con la citazione di
quest’opera il più alto raggiungimento di una straordinaria carriera.
Il Presepe, il suo
restauro e una “lettura” tecnica delle sculture.
Il Presepe è
costituto da cinque sculture di marmo bianco raffiguranti: san Giuseppe,
le teste del bue e dell’asino (fig. 10), un Magio orante inginocchiato
e, in un unico blocco, le figure di due Magi stanti (fig. 11) a
queste si aggiunga la scultura di Maria con il Bimbo ( fig. 12) seduta su
un blocco di roccia. Quest’ultima è quella di maggiori
dimensioni misurando circa un metro d’altezza.

fig.10
– ARNOLFO DI CAMBIO, Presepe, 1291. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore,
Cappella Sistina (dal 1586 al 2005) (Foto dell’autore)

fig.11
– ARNOLFO DI CAMBIO, Presepe, 1291. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore,
Cappella Sistina (dal 1586 al 2005). (Foto dell’autore)

fig.12
– ARNOLFO DI CAMBIO, Presepe, 1291. Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore,
Cappella Sistina (dal 1586 al 2005). (Foto dell’autore)
Le figure, prima del
restauro, erano collocate nell’angusto “nicchio quadro” – di 1,20 metri
di lato – voluto da Fontana. Queste si presentavano quasi affastellate le une
alle altre, senza alcun legame reciproco di sguardi, con una sistemazione molto
distante da quella pensata dal loro artefice con attenti rapporti architettonico
– prospettici. Le sculture arnolfiane, pur eseguite spesso ad altorilievo – come
ad esempi gli Assetati a Perugia -, si collocano nello spazio
quasi fossero sculture a tuttotondo “modellate” con forte sensibilità per i
valori plastici ispirati ai modelli classici; la loro realizzazione, tuttavia,
segue quello che Angiola Maria Romanini ha definito il “criterio di
visibilità”: vale a dire che il maestro toscano realizzò le proprie sculture
solo nelle parti che risultano a vista e ne lavorò le superfici sino al punto in
cui l’occhio del fruitore poteva osservarle. Inoltre la loro creazione è
governata dallo studio di precisi assi visivi: l’anatomia delle figure è
deformata e i loro lineamenti non perfettamente definiti se vengono osservate da
punti di vista diversi da quelli per i quali furono ideate. Secondo la prassi
arnolfiana, quindi, anche le sculture del Presepe dovevano essere
distribuite in tutto lo spazio disponibile, appositamente creato per loro, in
stretta simbiosi tra scultura e architettura. Ricorrendo a precisi
espedienti, Arnolfo ottiene il coinvolgimento “a effetto” del visitatore, che si
trova collocato in uno spazio non separato ma condiviso con quello delle sue
sculture. L’illusione di muoversi nello stesso ambiente delle figure scolpite
giunge a coronare la sensazione di tridimensionalità dell’intero complesso
figurativo.

fig.13
– ARNOLFO DI CAMBIO, I due Magi stanti durante le operazioni di smuratura
nel 2005. (Foto dell’autore)
Con queste premesse è
stato eseguita, durante il restauro, l’analisi filologica delle cinque
sculture e la lettura analitica delle tracce di lavorazione, quale strumento
d’indagine che ha permesso di indagare quale avrebbe potuto essere l’originaria
collocazione delle sculture e restituire, almeno parzialmente, le suggestioni
suscitate dal gruppo originario. Numerose sono state negli anni, da parte degli
studiosi, le possibili “ricostruzioni” del Presepe in base a rimandi ad
opere coeve in pittura o in mosaico. L’analisi diretta delle opere in ogni
singolo dettaglio- come ad esempio il retro delle sculture ma anche alcuni lati
murati o troppo accostati alle pareti -è stata però possibile solo grazie alla
smuratura delle cinque sculture (fig. 13). Le opere sono quindi apparse in tutta
la loro complessità scultorea in base al “criterio di visibilità” ma
anche quale risultanza di alcune drammatiche rilavorazioni che ne hanno per
sempre alterato la conformazione originale. Interventi probabilmente eseguiti in
occasione della loro collocazione nel “nicchio quadro” ideato da Fontana nel
1586.


fig.14- 15 – ARNOLFO DI CAMBIO, San Giuseppe. (Foto Daniel Cilia)
A sinistra, come un
pilastro che si emerge dalla parete, si staglia San Giuseppe, (figg. 14 –
15) scolpito ad altissimo rilievo in un blocco parallelepipedo. Il volto solenne
è incorniciato da una corta barba mentre il corpo è racchiuso in un mantello,
dalle pieghe che cadono solide perfettamente perpendicolari, con le spalle
leggermente incurvate e le mani incrociate sul bastone, elemento non secondario
ma fulcro di tutta la raffigurazione. L’analisi dell’opera indica che il punto
di visione prescelto dallo scultore è quello frontale e quello diagonale,
segnato dal bastone, mentre tutto il lato sinistro della figura è stato eseguito
per essere osservato solo parzialmente al punto che lo scalpello lascia i volumi
appena abbozzati.

fig.16
– ARNOLFO DI CAMBIO, Il Bue e l’Asino durante le operazioni di smuratura.
(Foto dell’autore)
La rimozione dal muro
della nicchia del Bue e l’Asino (fig. 16) ha messo in evidenza la
mangiatoia, sino alla smuratura del blocco assolutamente sconosciuta. La visione
di profilo – dal lato del bue – è sicuramente quella scelta dall’artista,
sebbene anche una visione diagonale, suggerita dalla perfetta angolatura della
linea di giunzione dei due animali, soddisfi pienamente le regole prospettiche
(figg. 17 – 18). Il gruppo doveva originariamente avere una lastra di fondo,
come nel caso del San Giuseppe, rimossa con un lavoro malamente eseguito
con la subbia che ha profondamente inciso il marmo, alterandone le dimensioni e
la percezione.

fig.
17 – ARNOLFO DI CAMBIO, Il Bue e l’Asino. (Foto Daniel Cilia)

fig.
18 – ARNOLFO DI CAMBIO, Il Bue e l’Asino. (Foto Daniel Cilia)

fig.
19 – ARNOLFO DI CAMBIO, Magio orante. (Foto Daniel Cilia)
Il Magio orante ha
i fluenti capelli posati sull’abito sacerdotale, è in ginocchio, in adorazione,
volgendo le spalle allo spettatore (FIG. 20). La sua figura è immobile ma
vibrante, le mani bloccate nel gesto di preghiera e la testa sollevata in uno
sguardo rivolto al centro della scena. La statua costituisce nel Presepe il
caso più evidente della prassi di Arnolfo nel realizzare le sue sculture: non è
scolpita sul lato destro (quello nascosto alla vista), e appare correttamente
leggibile solo da precisi punti di vista, deformandosi se visto da una diversa
angolazione. Anche in questo caso fu rimossa la lastra di fondo danneggiando
alcuni dettagli del panneggio e modificando i volumi della spalla destra della
figura. Le superfici, specie quelle del volto, sono fortemente deteriorare da un
accentuato processo di decoesione del marmo
I due Magi stanti (fig.
20) sono scolpiti in una unica lastra e si stagliano su un fondale dipinto a
girali vegetali.

fig.
20 – ARNOLFO DI CAMBIO, I due Magi stanti. (Foto Daniel Cilia)
Sono raffigurati in un
serrato dialogo tra loro ed abbigliati con vesti riccamente decorate. Il
restauro ha evidenziato alcuni frammenti di policromia originale, recuperati
nella parte bassa delle figure, in zone particolarmente protette; bisogna
infatti ricordare che le figure erano originariamente totalmente dipinte e
dorate, come ad esempio la barba ed i capelli di San Giuseppe. Il loro
punto di vista è nettamente frontale. Anche in questo caso il blocco di marmo fu
rilavorato, probabilmente nel 1585, per assottigliare lo spesso della lastra del
fondo, rimuovendo grosse scaglie di pietra e così come attestato anche sui due
lati della scena, riducendone le dimensioni, asportando alcuni dettagli dei
panneggi.

Fig.
21 – PIETRO PAOLO OLIVIERI o GIOVANNI ANTONIO PARACCA, detto IL VALSOLDO (?),
Maria con il Bimbo.
(Foto
Daniel Cilia)
Una novità di ancora
maggiore importanza è emersa durante i lavori di smuratura della
statua raffigurante Maria con il Bimbo addossata alla parete di fondo
della nicchia che ospita il Presepe. Quella che oggi osserviamo è da
tutti ritenuta una statua tardo-cinquecentesca (fig. 21) a sostituzione della
perduta opera di Arnolfo. La scultura è attribuita a Pietro Paolo Olivieri o
a Giovanni Antonio Paracca, detto il Valsoldo, entrambi impegnati nella
realizzazione del monumento funebre di Sisto V. Nulla è noto circa la statua
originaria che molti studiosi ipotizzano essere stata una figura sdraiata di
puerpera; non esistono, altresì, documenti che fanno cenno a tale sostituzione
nella fine del XVI secolo. Il manufatto è stato molto spesso ignorato negli
studi del Presepe in quanto non coevo alle altre opere arnolfiane.
Le operazioni effettuate
per predisporre l’opera agli interventi di conservazione hanno permesso anche in
questo caso di recuperare numerosi dati tecnici, alcuni dei quali non potevano
essere precedentemente rilevati: proprio a partire da questi è stato possibile
avanzare alcune ipotesi che potranno costituire la base per ulteriori
approfondimenti e studi. Prima tra tutte, si è notato che molta parte dei
volti, parte dell’incarnato del Bimbo e il voluminoso panneggio sul fronte della
figura di Maria presentano una lucidatura del marmo − operazione mai riscontrata
sulle altre sculture − che annulla i segni dei fenomeni di disgregazione della
pietra, presenti invece su molta parte della superficie della scultura così
come, in modo più evidente, su tutti gli altri personaggi del Presepe, specie
nel caso del magio orante (fig 22).

fig.22
– ARNOLFO DI CAMBIO, Magio orante, particolare della decoesione del
marmo. (Foto Daniel Cilia)

fig.
23 – Particolare del volto del Bimbo. (Foto Daniel Cilia)
I due volti, inoltre,
presentano il profilo quasi schiacciato e una inusuale resa anatomica dei nasi −
quasi deforme e privo di volume nel caso del Bimbo (fig. 23) − con le narici
esageratamente evidenziate. Tali zone, considerate le parti più rilevanti
dell’intera figurazione, appaiono quali frutto di una “rilavorazione” della
pietra, a causa dello sfaldamento delle superfici, che ha rimosso in modo
uniforme uno strato superficiale, al fine di restituire leggibilità e dignità
alle parti più rilevanti dell’intera raffigurazione.

Fig.
24 – Il retro della statua Maria con il Bimbo. (Foto Daniel Cilia)
Accanto a questa prima
notazione è stato possibile rilevare altri dati in grado di fornire elementi di
riflessione sulla genesi e la vita del manufatto in esame, che attendono
comunque di essere sottoposti al vaglio di ulteriori ricerche e riflessioni. La
statua, infatti, finalmente visibile nella sua interezza, ha immediatamente
mostrato alcune particolarità piuttosto inusuali come i sommari segni di
lavorazione quali i solchi di subbia che compaiono sul fronte sulla roccia sulla
quale la Vergine è assisa: profondi tagli assenti sui lati, specie nelle zone
più protette, ma soprattutto totalmente assenti sulla superficie del retro. Tale
zona non a vista e destinata ad essere murata per secoli nel “nicchio quadro”
mostra incongruente, la superficie del blocco regolarizzata e lisciata grazie ad
una lavorazione molto più attenta e meticolosa (fig. 24).
Stridente appare il
contrasto in entrambe le figure tra il lato frontale dell’immagine, dai volumi
particolarmente arrotondati e morbidi, e il dorso, dalla plastica molto lineare
e quasi rigida. Un’analoga sproporzione si coglie, sebbene in modo meno
appariscente e solo grazie ad una visione laterale, impossibile prima dello
spostamento, nella figura di Maria, non equilibrata nella relazione tra il busto
e le gambe, troppo lunghe e sporgenti per la postura delle ginocchia molto
prominenti. Altrettanto inusuale è la resa plastica delle proporzioni del Bimbo
che presenta nella realizzazione degli arti inferiori alcuni errori, come la
totale incongruità tra le dimensioni dei polpacci e quelle delle cosce; queste
ultime appaiono troppo corte e quasi compresse, specie nel caso di quella
destra, protesa in avanti. Sommaria è l’esecuzione dei piedi della Vergine,
rivestiti da calzature a punta simili a quelle indossate dalle altre figure
arnolfiane, risultando estremamente piccoli e totalmente privi di volume, quello
destro addirittura quasi solo abbozzato per mezzo di un’incisione perimetrale
che lo separa dalla roccia circostante.

fig.
25 – Particolare del panneggio del ventre di Maria. (Foto Daniel Cilia)
Accanto a queste
considerazioni teoricamente giustificabili quali scelte di carattere prettamente
stilistico, altre osservazioni rendono l’opera in esame del tutto inusuale per
essere un manufatto di fine Cinquecento. Osservando il panneggio di Maria nella
zona frontale al disotto della cintola, è possibile notare che questo venne
realizzato con piccole e sottili pieghe verticali che s’interrompono
drasticamente con un risvolto orizzontale del tessuto che non evidenzia la
sovrabbondanza del tessuto sul ventre arrotondato, quanto piuttosto, scava il
marmo sottolivello, rispetto al panno della veste e delle carni sottostanti
(fig. 25).

fig.
26 – Particolare del panneggio del retro di Maria. (Foto Daniel Cilia)
La resa scultorea di tali
semplici pieghe verticali che si dipartono dalla cintola, appare invece
particolarmente interessante in quanto si ritrova in altre zone della figura,
specie sui fianchi, sotto le braccia e più in generale in tutte le parti più
protette ma soprattutto si osserva nella realizzazione del panneggio sul retro
della figura di Maria, per secoli murata e nascosta alla vista (fig. 26). Il
dorso è infatti tutto realizzato con la stessa semplice trattazione dei panni
che cadono in un fascio di pieghe verticali che dipartono dalla cintola e
scendono sino alla roccia, adagiandosi in piccoli risvolti e rimborsi. Un nitore
scultoreo che interessa anche la zona delle spalle con poche geometriche
piegature dei panni che scendono alla cintola con semplici rigonfiamenti.
La pulitura in fase di
restauro dai residui di intonaco della nicchia cinquecentesca ha evidenziato
come la superficie marmorea dell’intera zona retrostante del manufatto in esame
− il dorso della Vergine così come la roccia sulla quale è seduta − sia
interessata da una patinatura dal naturale caldo colore ambrato che non cela,
anzi mette in rilievo una tecnica di finitura del marmo che molto dissimile da
quella utilizzata per i ricchi risvolti dei panneggi eseguiti sul fronte della
figura nella zona delle gambe e sul petto. Si leggono particolarmente bene
infatti, specie sui fianchi e sul retro, i minuti segni di regolarizzazione
delle superfici con strumenti totalmente dissimili da quelli impiegati per
l’operazione di levigatura e parziale lucidatura del lato frontale.
La cura con la quale
venne tratto il marmo sul retro del blocco di roccia ove Maria è seduta, appare
molto simile a quella riservata alla lastra di fondo del San Giuseppe,
altrettanto attentamente regolarizzato e spianato, ma anche alla lavorazione
nelle superfici di appoggio delle cinque sculture, visibile solo durante le fasi
di trasporto. Assonanze che denunciando un diverso trattamento del retro della
figura di Maria rispetto al fronte, si riscontrano in modo più evidente, anche
nella resa dei panneggi accostabili a quelli del Magio orante (fig. 27)
che permettono di ipotizzare che la scultura di Maria non sia un’opera
cinquecentesca ma una scultura più antica sottoposta ad un processo di
modernizzazione con la parziale rilavorazione del fronte.

fig.
27 Confronto tra la lavorazione dei panneggi nelle statue dei Maria e del
Magio Orante. (Foto Daniel Cilia)
Resta da chiarire per
quale ragione il panneggio sul retro della figura di Maria fu scolpito con cura:
una lavorazione che non segue il “criterio di visibilità“ arnolfiano così come
non appare necessario nella realizzazione tardo cinquecentesca dovendo murare le
scultura nel “nicchio quadro“. Unica possibile ipotesi è che la figura
della Madre di Dio, nella sua versione medievale, fosse isolata al centro di uno
spazio attorno al quale erano posizionate le altre statue.
Per la prima volta in
occasione dell’esposizione “Is Born” è possibile osservare le cinque
sculture, poste al centro della grande “Sala dei Papi“, al fine di
apprezzare oltre ai numerosi dettagli tecnici qui brevemente accennati anche, e
soprattutto, ogni dettaglio scultoreo della magistrale capacità di Arnolfo (fig.
28).

fig.
28 – Allestimento in occasione della mostra “Is Born”. (Foto dell’autore)
Si tratta di una proposta
di studio e di verifica di quanto già indicato a seguito del restauro nel 2005
che presenta le suggestioni e i limiti di un lavoro in fieri, nell’attesa
di essere sottoposta al vaglio di un supplemento d’indagine che possa giovarsi
di ulteriori raffronti e pareri e che si svolga in tempi e luoghi opportuni,
anche grazie a specifiche indagini scientifiche in corso di realizzazione.

Fig.
29 – ARNOLFO DI CAMBIO, Magio orante. (Foto Daniel Cilia)
La ricomposizione del Presepe nell’attuale
allestimento è pertanto proposta sulla base delle caratteristiche tecniche e
formali delle sculture superstiti, sfruttando quanto acquisito sulla tecnica
scultorea di Arnolfo, pur nella consapevolezza che le opere dovevano appare
nella loro forma originale diverse da quanto a noi giunto. Una considerazione
che condiziona ogni possibile ipotesi ricostruttiva e suggerisce di considerare
le cinque sculture semplicemente per ciò che sono: rare e preziose attestazioni
un contesto figurativo del quale nulla è noto, così come altrettanto sconosciuta
è la conformazione dell’Oratorio del Presepe medievale nel quale erano
collocate. La scultura di Maria con il Bimbo, quindi, posta al centro
della teca, che simula l’altare originale, in un silenzioso dialogo di sguardi
tra Giuseppe e il Magio Orante, su una perfetta linea diagonale
(fig. 29) che li unisce e suggerisce nella figura del Bimbo il fulcro di
tutta la composizione. I due Magi stanti, a destra dell’orante, sono in
posizione frontale. Il bue e l’asino sono posizionati sul lato sinistro,
con un’inclinazione diagonale che suggerisce una fuga prospettica, da mettere in
relazione la figura di Magio Orante, anch’essa leggermente diagonale; il bue con
il mite sguardo rivolto all’osservatore suggerendo invito ad entrare la realtà
del Presepe. Nel nuovo allestimento la figura chiave della scena è
tuttavia Magio orante in ginocchio, grazie al quale è possibile evocare
lo sfondamento prospettico inteso da Arnolfo in modo che i fedeli diventino
inequivocabilmente parte integrante della “Sacra Rappresentazione” dell’incarnazione
del Cristo.
1 La
mostra “Is born” è stata cura di Lucia Calzona, Simone Ferrari e Sante Guido,
per iniziativa di monsignor Luigi Veturi, Prefetto del Museo Liberiano e
promossa per volontà dell’arciprete della Basilica Liberiana Stanislaw cardinal
Rilko.
Per
ragioni di brevità le pagine seguenti sono una rielaborazione di quanto edito in
una breve guida date alle stampe in occasione del restauro realizzato
nell’autunno del 2005 e dello spostamento del Presepe nel Museo
Liberiano; si rimanda quindi a: Sante Guido, Il Presepe della Basilica di
Santa Maria Maggiore di Arnolfo di Cambio (1291), Città del Vaticano 2005.
Questo testo è inoltre già apparso a firma di Sante Guido e Giuseppe Mantella
sulla rivista Aboutartonline
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