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BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

QUO GRAVIORA

 

Ai Vescovi dell’Alta Renania.

Il Papa Gregorio XVI. 
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Quanto più insopportabili mali incombono sulla Chiesa Cattolica per gli empi raggiri degli avversari, tanto più determinata è l’opera che, per respingerli, devono impiegare i Romani Pontefici ai quali, posti sulla Cattedra di San Pietro, è demandata da Dio la potestà suprema di pascere, reggere e governare la stessa Chiesa. Ben comprendendo ciò, il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria, appena seppe, con sommo dolore, le molte cose sfacciatamente tentate, con sforzo coronato da successo, contro la dottrina, la divina autorità e le leggi della stessa Chiesa in codeste regioni della provincia ecclesiastica Renana, con lettere a voi mandate nel 1830, alla fine di giugno, stimolò, se ce ne fosse stato bisogno, la vostra pastorale sollecitudine a sostenere i diritti della Chiesa e a difendere la sana dottrina con ogni zelo, cosicché voi non aveste alcun dubbio nel mostrare nei confronti di coloro verso i quali fosse necessario agire, quanto si oppongano alla ragione e alla giustizia quelle decisioni pericolose che erano state, o che stavano per essere, intraprese, e impiegaste ogni sforzo e impegno nello stornarle al più presto. Sommamente attento tuttavia alle condizioni di codeste Chiese per il forte scandalo prodotto dalle novità, sollecitò da voi al più presto una risposta, sia che fosse conforme ai suoi voti per consolare il suo dolore, sia che fosse, cosa non auspicabile, diversa, per poter predisporre le decisioni che il compito dell’ufficio apostolico comporta. A loro volta queste ammonizioni e questi consigli di tanto Pontefice su un tema così importante, Venerabili Fratelli, avrebbero dovuto spronare e infiammare anche voi, come era del tutto conveniente per coloro cioè che, difensori di una porzione del governo della Chiesa, dovevano vigilare con forza per la sua difesa.

Ma il lodato Nostro Predecessore non avrebbe mai immaginato quello che, se fosse stato vivo, lo avrebbe senza dubbio violentemente sconvolto: a Noi, che poco dopo al posto suo, sebbene con meriti largamente insufficienti, siamo stati eletti, era riservato star male per le cose sopra ricordate.

Nostro malgrado e quasi resistendo Ci siamo già espressi, tuttavia non possiamo tralasciare di dire che qualcosa sia molto cambiato contro i voti di questa Santa Sede, poiché qualunque siano stati i vostri sforzi presso codesti Principi per la incolumità della Religione Cattolica, i più ignorano quale esito sia stato raggiunto e inoltre, trascorsi tre anni, ancora si attendono quelle relazioni accurate che Pio VIII di immortale memoria con tanto calore vi raccomandò. Né in verità da questo possiamo supporre che voi abbiate mancato al vostro dovere, e che alle ferite inflitte costì alla Chiesa Cattolica sia stato portato da allora qualche salutare rimedio; al contrario in seguito si sono determinate per Noi occasioni di dolore più acuto. Infatti, non solo quelle leggi che in danno della Chiesa, e contro le iniziate intese già una volta sancite tra questa Santa Sede e i Principi federati, sono pienamente in vigore, e la stessa libertà della Chiesa, che le è stata donata da Cristo, è violentemente saccheggiata e soggetta a indegna servitù, ma anche per nuovi motivi da ogni parte in codeste regioni la sua condizione si è fatta peggiore.

A Noi non è lecito, Venerabili Fratelli, considerare le cose con i vostri occhi.

Dallo stesso ambiente clericale sono sorti uomini che parlano in modo perverso, e che sostenendo sconsideratamente quella vaneggiata – come la chiamano – rigenerazione e restaurazione dei Novatori, e condannando sfacciatamente questa Sede Apostolica, tendono a tirarsi dietro dei discepoli e ad ingannare gli incauti. Perciò si strinsero in una specie di società, tengono riunioni e non nutrono dubbi per una riforma della Chiesa Cattolica da compiersi – come essi stessi affermano – in rapporto ai tempi. Un gravissimo esempio di questa sconsideratezza è stato esibito non molto tempo fa – secondo quanto Ci è stato riferito – da numerosi chierici della città di Offenburg i quali, con F.L. Mersy loro decano promotore e capo, sono arrivati al limite non solo di proporre all’Arcivescovo di Friburgo di approvare i vari punti di riforma escogitati nelle loro riunioni, e di manifestare ciò nei singoli Capitoli di campagna per indurli alla loro stessa malvagità e congiura, ma addirittura di stampare un libello ricco di molte aggiunte, con questo titolo sfrontato: «Ci sono riforme necessarie nella Chiesa cattolica?».

Volesse il cielo che quello che i chierici di Offenburg pubblicamente e apertamente hanno fatto, azzuffandosi sulla Religione, altri della diocesi di Friburgo e delle rimanenti diocesi di codesta provincia ecclesiastica non avessero incominciato a fare! Magari l’infame ribellione dei Novatori avesse trovato sviluppo solo tra i confini di quella città! In verità ha raggiunto quasi tutte codeste regioni e principalmente la diocesi di Rottenburg, e si è diffusa anche oltre la provincia ecclesiastica Renana, come da tempo abbiamo appreso e con afflizione spesso ricordiamo.

Con quali erronei principi gli uomini sopraddetti e i loro partigiani si sostengano, e da dove abbia origine il capriccio che li muove verso cose da rinnovare nella Chiesa, voi, Venerabili Fratelli, certamente non ignorate. Tuttavia non stimiamo del tutto superfluo indagare più profondamente e con semplicità e chiarezza sviluppare alcune di queste realtà. Già da tempo e in lungo e in largo è andata crescendo e si è diffusa per codeste regioni la falsissima e crescente opinione dell’empio e assurdo sistema della non-differenza delle religioni: opinione la quale asserisce che la Religione cattolica possa un giorno avere fine. E benché i promotori di siffatta fantasiosa opinione abbiano paura di adattare alle verità della Fede la vantata possibilità di perfezionamento, la portano avanti nella Chiesa per l’amministrazione esterna e per la disciplina. E al fine di conciliare la Fede al proprio errore, a torto certamente e non senza dolo, usurpano l’autorità di teologi cattolici che, senza distinzione, insegnano come ci sia separazione tra la dottrina della Chiesa e la disciplina, e che questa sia soggetta a mutazione, e l’altra rimanga inalterata in perpetuo senza alcun mutamento. Una volta posto ciò, affermano che nella stessa disciplina odierna della Chiesa, nel governo e nella forma del culto esterno, senza dubbio ci sono molte cose che non sono adatte all’indole del nostro tempo, e che bisognerebbe cambiare quanto è nocivo all’incremento e al benessere della Religione Cattolica, senza che da ciò patisca danno la dottrina sulla fede e la morale. E così, mostrando zelo per la Religione, mettendo avanti un modello di pietà, fanno passare le novità, preparano le riforme, fingono la rinascita della Chiesa. E che i Novatori usino di codesti principi, oltre che da molte pubblicazioni sparse soprattutto in Germania, nelle quali le stesse cose sono sviluppate e difese, era abbastanza noto; ora palesemente è manifesto dal libello stampato ad Offenburg, e principalmente da quanto il predetto F. L. Mersy raccolse nel sedizioso convegno svoltosi colà e pubblicò ristampando lo stesso libro. E mentre vergognosamente si perdono nei loro pensieri, mettono insieme, tra loro, errori che sono stati condannati dalla Chiesa con la Costituzione Auctorem fidei edita dal Nostro Predecessore Pio VI di santa memoria, il 28 agosto 1794. Dicono che coloro che sono stati condannati con la proposizione 78 vogliono assolutamente proteggere e restaurare la sana dottrina, non colpirla: ma o non capiscono o fingono astutamente di non capire.

In realtà, mentre si adoperano per cambiare indiscriminatamente ogni aspetto esteriore della Chiesa, non espongono forse a mutazione anche quei paragrafi della disciplina che hanno il fondamento nello stesso diritto divino, e che sono uniti strettamente alla dottrina della fede, e che fanno della regola della fede la regola dell’agire?

Inoltre non si accingono forse a umanizzare la Chiesa, umiliando palesemente la sua infallibile autorità e la divina volontà che la regge, dacché è venuta calando la sua presente disciplina sottomessa all’oscuramento di tali e tante contrarietà? Inoltre, pensano tante cose inutili mentre fingono di tenere a freno le sciagure contro l’incolumità della stessa Religione Cattolica. In realtà che cos’è questo, che uomini privati rivendichino per sé ciò che è peculiare e proprio del solo Romano Pontefice?

Concesso infatti che si tratti di quei capitoli di disciplina che hanno valore in tutta la Chiesa, ma che essendo di libera istituzione ecclesiastica possono subire cambiamenti, tuttavia il potere di giudicare sulla necessità del cambiamento in ragione delle diverse circostanze deve essere di competenza soltanto del Romano Pontefice che Cristo ha posto a capo di tutta la Chiesa, così come scrive San Gelasio: «Mantenere in equilibrio i decreti dei canoni, soppesare gl’insegnamenti dei predecessori, affinché quello che la necessità dei tempi richiede per rinnovare le chiese che si rilassano, sia disposto usando la dovuta accortezza».

Di questi principi a cui si appoggiano i Riformatori, voi assaggiate la falsità, o Venerabili Fratelli, e dispiace intrattenervi con un lungo discorso per condannare le empie accuse di coloro che aggiungono l’audacia all’errore, e che, con la consueta sfrontatezza, familiare a uomini di tal genere, si scagliano contro questa Santa Sede quasi che essa fosse troppo attaccata al passato, impreparata a conoscere le caratteristiche del nostro tempo, incapace di vedere in mezzo alla luce delle nuove conoscenze, non sufficientemente attrezzata per distinguere le cose che costituiscono l’essenza della Religione da quelle che rispecchiano soltanto la forma esterna: essa alimenta la superstizione, favorisce gli abusi e si comporta in modo tale che non si consiglia mai, pur nel variare dei tempi, per il bene della stessa Chiesa Cattolica. A che pro, dunque, tutto questo? Certamente affinché la Santissima Cattedra di Pietro, in cui Cristo ha posto il fondamento della sua Chiesa, sia oggetto di gelosie, la sua divina autorità sia sottoposta all’odio dei popoli, e sia spezzato il vincolo delle altre Chiese con lei.

Quindi, non avendo speranza di ottenere questo in futuro dalla stessa Sede Apostolica, considerando il potere delle vostre fraternità, asseriscono che la Chiesa è come una patria – come essi la chiamano – che deve essere governata con proprie leggi, e arrivano anche al punto di attribuire ai singoli pastori delle Chiese particolari la libera facoltà di rimuovere e abrogare le leggi della Chiesa universale, se ciò è richiesto dalla utilità delle loro diocesi. Che altro? Comprendendo che nemmeno presso di voi possono ottenere qualcosa, tentano di emancipare gli stessi sacerdoti dalla dovuta sottomissione ai vescovi, non avendo paura di concedere loro il diritto di amministrare le diocesi.

D’altra parte, è del tutto evidente, per tutti costoro, che la gerarchia ecclesiastica costituita per divino ordinamento e definita verità di fede dai Padri del Tridentino, è stata capovolta, e sono stati reintrodotti gli errori delle proposizioni 6, 7, 8 e 9 espressamente proscritti dalla predetta Costituzione dogmatica Auctorem fidei. Perciò riguardano anche i chierici di Offenburg le dottrine condannate, specialmente quelle che sono inserite nelle aggiunte apparse nel libello edito la seconda volta, come appare a prima vista, cosicché non rimane posto per il dubbio. Ma adesso sono bene evidenziati molti altri errori, e non pochi enumerati singolarmente, che quello stesso opuscolo fa scaturire da ogni parte.

E qui in primo luogo ecco gli errori che i fautori dell’esiziale complotto esprimono contro il celibato dei chierici, la cui legge non osano apertamente contestare come fanno altri, ma che tuttavia audacemente non meno che falsamente continuano a minare. Coerentemente perciò, vogliono che i chierici incapaci di serbare il celibato, e i cui costumi sono appunto corrotti e depravati al punto da non mostrare alcuna speranza di correzione, siano abbassati allo stato laicale, affinché possano procacciarsi nozze valide anche per la Chiesa; ciò non si accorda certo con il pensiero dei Padri Tridentini . Senza dubbio non Ci sfugge con quali artifici tentino di piegare ad un senso irregolare la dottrina del Concilio Ecumenico.

Così pensano di accordarsi al parere di Trento dicendo che uno che fu una volta sacerdote, non può di propria volontà tornare di nuovo ad essere laico, ma che lo può tuttavia per l’autorità della Chiesa, intendendo sotto il nome di Chiesa i singoli vescovi, ai quali concedono il potere di ridurre i chierici allo stato laicale. Infatti affermano che il carattere che è impresso nell’Ordine, e poi dal Concilio dichiarato indelebile, vuol dire che il Sacramento dell’Ordine non può essere ripetuto, non che il sacerdote non possa tornare laico nel modo predetto; infine non tremano ad annoverare lo stesso carattere tra le opinioni ormai sorpassate degli Scolastici. Mentre inventano tali cose, cos’altro in effetti fanno nascere se non – come di per sé è evidente – accumulare errori su errori, ironizzando oscenamente contro il genuino senso dei decreti Tridentini mantenuto dalla Chiesa?

Né sono meno lontani dalla vera dottrina quando parlano in modo molto imprudente della virtù e della pratica delle indulgenze. In realtà, o propongono senza dubbi, o insinuano tra molte ambiguità che le indulgenze non possono in alcun modo essere attribuite alle pene temporali che restano da espiare a causa del peccato sia in questa vita sia nell’altra, e che fino al secolo XI non erano altro se non la remissione delle pene canoniche da assolvere presso la Chiesa, e che per la prima volta in occasione delle guerre sante furono assoggettate al potere delle Chiavi quelle pene che da Dio sono irrogate al peccatore. Da qui è resa evidente la grave depravazione della disciplina ecclesiastica che riposa sul tesoro dei meriti di Cristo e delle opere dei Santi: dottrina che, sconosciuta nei secoli antichi, è stata inventata dal Romano Pontefice Clemente V. Infine, per omettere il resto, le indulgenze sono da ammettere al presente nella Chiesa al solo fine di richiamare alla mente le antiche pene canoniche e di indurre i peccatori alla penitenza. Cos’è questo se non richiamare le proposizioni 17 e 19 di Lutero, la 6 di Pietro da Osma, la 60 di Baio, e infine la 40, 41, 42 condannate dalla citata Costituzione Auctorem fidei, e in modo sfacciato restaurare i loro antichi errori?

Quanto in verità è da lamentarsi questa cieca temerarietà degli uomini, che vogliono riformare dalle radici la santissima istituzione della Penitenza, criticano ingiuriosamente la Chiesa, e l’accusano di errore, quasi che, comandando la confessione annua, concedendo a certe condizioni le indulgenze per muovere alla confessione, permettendo la Messa privata e le celebrazioni quotidiane, abbia indebolito quell’istituto tanto salutare e gli abbia sottratto virtù ed efficacia. Quindi la Chiesa, che è la colonna e il sostegno della verità, e che si trova nel tempo ad essere ammaestrata dallo Spirito su ogni e qualsiasi verità, potrà comandare, concedere e permettere che essi degradino tutto a rovina delle anime, e a vergogna e pregiudizio del Sacramento istituito da Cristo? «Non sarà piuttosto affetto da stranissima pazzia, come diceva Sant’Agostino, chi frequenta per tutto il mondo la Chiesa universale, senza fare altro che mettere tutto in discussione?». Incarichiamo codesti Novatori, che manifestano tanto zelo nel promuovere la vera pietà del popolo, e stiamo a vedere se, diminuita o piuttosto tolta del tutto la frequenza ai Sacramenti, la Religione non languisca a poco a poco e alla fine non rovini totalmente.

Troppo lungo sarebbe, Venerabili Fratelli, tener dietro alle moltissime, erronee opinioni dei Novatori, sia sulla offerta delle Messe, che pretendono di abolire, sia sulla prassi di celebrare più sacrifici per lo stesso defunto, che fanno passare come contraria alla dottrina della Chiesa sull’infinito valore del sacrificio della nuova legge, sia sul nuovo libro dei riti scritto in lingua volgare, che pensano più adatta all’esigenza della nostra epoca, sia infine sulle pie associazioni, sulle preghiere pubbliche, sui sacri pellegrinaggi, che in diverso modo disapprovano.

È sufficiente accennare che opinioni di questo tenore non emanano che da puzzolentissimo fonte, né derivano da altri principi, se non da quelli che già in passato nella summenzionata Costituzione Auctorem fidei, principalmente nelle proposizioni 30, 33, 66 e 78, furono condannati con solenne giudizio della Chiesa.

Queste cose, Venerabili Fratelli, seguendo l’esempio adottato in circostanze simili dai Nostri Predecessori, abbiamo ritenuto di dovere esporre, come il ruolo del Nostro dovere apostolico sembrava postulare, principalmente attenti a che, per gli errori evidenti di codesti uomini, la sconveniente smania non porti ad introdurre nella Chiesa tali novità. Del resto anche a voi è facile immaginare da quante angustie sia oppresso il Nostro cuore per le tante disgrazie in cui è immersa la Religione Cattolica in questi tempi. Gemiamo per l’intemerata sposa dell’immacolato Agnello Gesù Cristo, vessata dall’assalto di nemici esterni ed interni, da mali da cui lei stessa era oppressa, ridotta costì già da tempo in vergognosa schiavitù, e piangiamo lacrime ininterrotte che sia accaduto che la Chiesa abbia a patire per dei figli che si sono staccati vergognosamente dal suo seno e propagano il falso su di lei.

Tuttavia, lungi da Noi il perderci d’animo; lungi da Noi chiudere l’Apostolica voce di fronte a tante gravi necessità della realtà cattolica; lungi da Noi permettere che il gregge del Signore diventi oggetto di rapina, o che le pecore di Cristo diventino cibo per tutte le bestie dei campi, come fossimo privati della forza, del giudizio e della virtù dello Spirito di Dio, o come fossimo cani muti incapaci di abbaiare. E così, Venerabili Fratelli, vi vogliamo persuasi che Noi siamo preparati nell’animo, e che nulla sarà omesso da Noi fino a che la Chiesa Cattolica sia restituita all’antica libertà, che le compete totalmente per la sua divina costituzione, e sia chiusa la bocca di coloro che dicono iniquità.

In verità non possiamo non raccomandarvi, per zelo di Religione, la vostra costanza e la vostra energia, ed esortarvi vivamente affinché attendiate alla causa della Chiesa in comunione con lo Spirito di Dio. A voi infatti, che siete partecipi della sollecitudine la cui pienezza Ci è stata commessa, appartiene il sommo compito di custodire il santissimo deposito della Fede e della sacra dottrina, di respingere lontano dalla Chiesa ogni novità empia, e di affaticarvi con tutto l’ardore contro coloro che tentano di spezzare i diritti di questa Santa Sede. Estraete dunque la spada dello Spirito che è la Parola di Dio; predicate, come con tanta forza vi impone l’Apostolo Paolo nella persona del discepolo Timoteo; insistete in modo opportuno e importuno, spiegate, scongiurate, riprendete con ogni pazienza e dottrina. Niente vi tenga lontano da ciò, perché dovete esporre voi stessi ad ogni rischio per la gloria di Dio, per la tutela della Chiesa, per la salvezza delle anime affidate alla vostra cura. Ripensate a Colui che sostenne una tale controversia dai peccatori contro di Lui. Perché se temete l’audacia dei perversi, è già finita per la saldezza dell’episcopato e per la sublime e divina potestà di governare la Chiesa.

Naturalmente esistono altri motivi importanti per risollevare in breve tempo, meditando ai piedi del Signore, voi e i pesanti impegni del vostro ufficio dal durissimo giudizio che incombe su tutti quelli che governano, ma soprattutto sugli esploratori della casa d’Israele. Ad ogni modo, Noi confidiamo che in futuro voi vi metterete in marcia con zelo per prestare aiuto alle forze della Religione Cattolica e per difenderla dalle empie insidie dei nemici, in modo da essere pronti a portare aiuto anche a coloro per cui vi abbiamo scritto.

Animati e confortati da questa speranza, impartiamo a voi, ai popoli affidati alla vostra Fede, con animo amorevole, l’Apostolica Benedizione, auspice di tutti i beni.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 4 ottobre 1833, anno terzo del Nostro Pontificato.



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