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ENCICLICA
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

LE ARMI VALOROSE

 

Il Papa Gregorio XVI. 
Ai suoi dilettissimi sudditi delle quattro Legazioni.

Le armi valorose che Noi invocammo dal sempre pio ed augusto monarca austriaco Francesco I per ricondurre fra voi quella tranquillità, quell’ordine e quella calma, che le passate perturbazioni vi avevano involato, si ritirano ora da codeste province nella certezza che i traviati, finalmente disingannati, si riuniscano anch’essi a coloro che formano la maggior parte di codeste popolazioni, e tutti, concordemente calcando le vie che la Religione dei padri loro, i doveri di sudditanza, gli stimoli dell’onore hanno segnato, concorrano tutti indistintamente ed efficacemente a conseguire quelle prosperità che soltanto una sana morale può procurare e che la civile concordia ed un vero amore di pace possono consolidare.

Voi le vedeste queste armi vittoriose, come seppero darvi prove di valore non meno che di esemplare moderazione. Esse entrarono fra di voi come amiche, e tali si sono mostrate costantemente. Esse vennero per sollevare l’oppresso e per contenere gli oppressori, né hanno neppure per un istante smentito la generosa loro missione. Esse hanno pienamente corrisposto sia al bisogno stringente di chi le chiamò a comprimere gl’impeti di una furiosa tempesta, sia agli ordini augusti del loro signore, cui null’altro stava a cuore che ricondurre i figli al loro padre, ridonando la quiete ai domini della madre comune, la Santa Chiesa Romana. Esse insomma si ritirano dai Nostri Stati con la certezza di avervi risparmiato mali gravissimi, e con la fondata lusinga che sappiate ora voi stessi prevenirne il più funesto ritorno.

È a quest’oggetto che non vogliamo in tal momento rimanerci in silenzio, e non aprirvi di nuovo il Nostro cuore. Forti Noi nei sacri diritti di questa Santa Sede, nonché nelle solenni ed a voi non ignote garanzie rinnovateci in questo incontro dalle alte potenze di Europa, dovremmo parlarvi più da Sovrano che da Padre; ma il linguaggio di quello lo riserbiamo alla circostanza in cui infaustamente si tentassero nuovi disordini, e nuovi traviamenti insorgessero a turbare la pubblica o la privata tranquillità: e vogliamo, per ora, che i Nostri figli tornino ad ascoltare le sole voci di Padre. Noi fummo addolorati, e fortemente addolorati dalle tristissime passate vicende, e sa Iddio Ottimo Massimo se, più del dolore che soffrivamo, si straziava il Nostro cuore all’idea di essere un giorno costretti ad adoperare la spada della giustizia. E poiché Egli medesimo, come speriamo, Ci ha aperto la via delle misericordie, con vero giubilo dell’animo Nostro vogliamo annunciarvi Noi stessi che nulla più desideriamo quanto il poterci dimenticare del passato. Sappia ognuno, e Noi lo ripetiamo con effusione di paterna tenerezza, che chi demeritò tra voi la Nostra grazia potrà recuperarla se darà prove non dubbie del proprio ravvedimento. L’amore scambievole, ma vero, ma permanente vi riunisca tutti, e tutti formino una sola famiglia, e faccia l’Onnipotente che altra distinzione non si vegga d’ora innanzi fra voi, che quella risultante dai gradi maggiori nella virtù, nella fedeltà, nella obbedienza. A questo aspiri ciascuno, e di questo si vantino le patrie vostre, che lo contino a gloria, e per risultato ne abbiano la tranquillità vera e durevole innanzi alla Religione e alla società.

Riconfortati Noi in così bella speranza, Ci andremo indefessamente occupando del vostro bene. In mezzo alle afflizioni ed alle angustie che Ci danno tanta amarezza da quando fummo assunti al Pontificato, è stato questo ancora un oggetto delle Nostre sollecitudini, e lo avete veduto in effetto. Esso diverrà a Noi caro principalmente, se non dovremo combattere nuove ed infauste perturbazioni, e con esse quei molti disastri che ne sarebbero l’immancabile conseguenza.

È in questi sentimenti che con fiducia abbiamo dilatato su voi il Nostro cuore, e che imploriamo su tutti voi dal Padre delle consolazioni la pienezza della vera felicità con l’Apostolica Benedizione.

Dato dal Nostro palazzo apostolico Quirinale, il 12 luglio 1831.



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