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MESSA IN SUFFRAGIO DEL CARDINALE UCRAINO JOSYF SLIPYJ

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO  II

Mercoledì, 17 ottobre 1984

 

Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò!”.

1. Siamo riuniti, cari fratelli e sorelle, per offrire il sacrificio della messa in suffragio del cardinale Josyf Slipyi, quaranta giorni dopo la sua morte, secondo la tradizione liturgica delle Chiese orientali.

La parola di Cristo, riportata dal Vangelo di Matteo, sintetizza, si può dire, la lunga e travagliata esistenza dell’amato arcivescovo maggiore.

Sappiamo infatti quanto egli fu affaticato e oppresso: ma sappiamo anche che non gli venne mai meno il conforto di Cristo. Durante la sua prolungata vicissitudine di condannato e poi di esiliato, sempre gli fu di conforto e di stimolo l’affermazione del divin Maestro: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi!”.

Il cardinale Slipyi in Cristo ha trovato sempre e unicamente il ristoro per poter essere uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa.

Oggi noi lo ricordiamo con particolare affetto e preghiamo per lui; la sua memoria rimarrà indelebile negli annali della storia civile e religiosa, e non potremo mai dimenticare la sua figura ascetica e ieratica, severa e solenne; soprattutto non potremo mai dimenticare l’insegnamento che egli ha dato con l’intera sua vita.

2. Nato il 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell’arcidiocesi di Lviv, da famiglia profondamente cattolica, il cardinale Slipyi fu ordinato sacerdote nel 1917. Laureatosi in teologia a Innsbruck, venne a Roma per perfezionare la sua cultura presso l’Angelicum e l’università Gregoriana. Ritornato a Lviv nel 1922, fu professore di teologia nel seminario, fondò e redasse la rivista teologica trimestrale “Bohoslovia”, diventando poi rettore del seminario, e nel 1928 primo rettore dell’Accademia di teologia e presidente della locale società scientifico-teologica. Dedicandosi contemporaneamente all’attività pastorale, partecipò a diversi congressi unionistici e scrisse vari testi di teologia, di filosofia, di letteratura, di storia, di arte e di diritto canonico. Il 25 novembre 1939 venne eletto alla Chiesa titolare di Serra e nominato coadiutore con diritto di successione del metropolita Szeptyckyj, da cui ricevette la consacrazione episcopale e a cui succedette nel governo pastorale dell’arcidiocesi il 1° novembre 1944, assumendo anche il titolo della metropolia di Halyc e di Kamieniec.

Durante la seconda guerra mondiale dovette anche subire il duro controllo delle truppe di occupazione per difendere con amore e con forza il gregge a lui affidato.

Purtroppo, col 1945 doveva terminare il primo periodo della vita del cardinale Slipyi, quello certamente più bello e più pieno di soddisfazioni, nonostante le vicende dolorose della guerra, e iniziare il periodo della persecuzione religiosa e delle condanne. Infatti, l’11 aprile 1945, egli veniva arrestato insieme con altri quattro vescovi e condannato a 8 anni di reclusione e di lavori forzati. Cominciava così per lui il doloroso itinerario attraverso durissimi campi di prigionia, insieme con altri detenuti comuni e altri perseguitati. Trascorsi gli otto anni, venne nuovamente condannato all’esilio in Siberia, condanna che si rinnovò nel 1957 e poi nel 1962. È doloroso ricordare questo lungo calvario, che un innocente, un arcivescovo metropolita, una personalità di grande valore e responsabilità, dovette sopportare a motivo della sua fede cristiana! Ma la verità non può essere ignorata: essa rende testimonianza alla fede intrepida del cardinale Slipyi e alla vittoria finale e sicura dell’amore. Sappiamo che durante quegli anni di prigionia e di lavori forzati, egli riusciva spesso a celebrare segretamente l’Eucaristia, trovando in Cristo la forza e la gioia di soffrire con lui e per lui, per la difesa e il mantenimento della fede nel suo popolo.

Nel 1963, finalmente, giungeva per l’arcivescovo Slipyi il giorno insperato della liberazione. Come è noto, Giovanni XXIII riuscì ad ottenere la sua scarcerazione, e il 9 febbraio 1963 l’arcivescovo Josyf Slipyi arrivava a Roma, accolto con grande affetto. Citando l’Imitazione di Cristo, così gli disse allora il mio predecessore Giovanni XXIII nel commovente primo incontro: “Felix hora quando Iesus vocat de lacrimis ad gaudium spiritus!” (Imitazione di Cristo, L. II, cap. VIII). Incominciava così il terzo periodo della vita dell’arcivescovo di Lviv, lontano dalla sua patria e dalla sua diocesi, ma sempre ardente di zelo per la Chiesa per i suoi compatrioti sparsi nel mondo. Il 23 dicembre del medesimo anno, il papa Paolo VI lo nominava arcivescovo maggiore, qualifica che gli conferiva diritti e privilegi simili a quelli dei patriarchi (cf. Orientalium Ecclesiarum, 10). Lo nominava inoltre membro della Sacra congregazione per le Chiese orientali e, nel Concistoro del 22 febbraio 1965, lo inseriva nel Collegio cardinalizio.

In questo ultimo tratto della sua esistenza, il cardinale Slipyi mantenne il suo fervore e il suo dinamismo pastorale: partecipò attivamente al Concilio Vaticano II; visitò i vari gruppi di cattolici ucraini sparsi in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia; curò la scienza teologica fondando il Centro degli studi superiori di San Clemente, per mantenere viva ed efficace la gloriosa tradizione religiosa e culturale della sua gente; nel marzo del 1980 partecipò ai lavori del Sinodo dei vescovi ucraini cattolici.

In questa memoria funebre del compianto cardinale Slipyi era necessario tracciare almeno in sintesi le tappe principali della sua vita, anche se la drammatica vicenda della sua esistenza terrena, colma di impressionanti avvenimenti, rimane nascosta nel segreto di Dio. Come ho detto a Winnipeg, nella cattedrale di san Vladimiro e santa Olga: “Nel periodo di difficoltà per la Chiesa cattolica ucraina, egli provò notevoli sofferenze e patimenti; ma non è crollato; anzi, come un eroe ha resistito con dignità”.

3. Dall’esempio della sua vita ci proviene un messaggio, che può servire per noi, ancora pellegrinanti per le vie del mondo, e per la Chiesa intera; e la parola di Dio proposta dalle dense letture della liturgia ce ne indica il contenuto e l’applicazione.

La sofferenza dei martiri, dei perseguitati, degli esiliati, degli emarginati mette in drammatica evidenza che il quadro della storia umana è quasi sempre sconvolto e tormentato. San Paolo afferma che addirittura la creazione stessa - sottomessa alla caducità - geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto, e nutre la speranza di essere pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Ma soprattutto noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando la manifestazione gloriosa dei figli di Dio (cf. Rm 8, 10-23). Tali parole ci fanno comprendere la realtà di una rottura iniziale, di un rifiuto - il “peccato originale” - che nelle prime due creature razionali ha travolto la stessa natura umana, sicché non sarà mai possibile estirpare totalmente dal mondo la zizzania del male e tutte le spine del dolore.

Ma nella speranza siamo stati salvati! È lo Spirito stesso che intercede per noi con gemiti inesprimibili (cf. Rm 8, 26-27) e ci fa comprendere che esiste un “progetto provvidenziale di salvezza”: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che si è incarnato per salvarci e si è sottoposto alla passione e alla morte in croce per assumere le nostre colpe e ridare così all’umanità la vita soprannaturale. Nel centro della storia umana, che è “storia della salvezza”, si erge la croce del Calvario e risuonano le parole di Cristo: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20). “Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia!” (cf. Mt 5, 11).

Queste sono le virtù essenziali - fermamente credute dal cardinale Slipyi, convinto che, come scriveva san Paolo, “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18) - le quali contengono anche il suo fondamentale messaggio con cui ci esorta ad avere una rigorosa fede in Cristo: una fede illuminata, ma semplice e confidente, che accetta il mistero, come logica conseguenza della rivelazione divina; una fede coraggiosa e dinamica, ma anche mite e serena, perché, dice Gesù, “il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Mt 11,30); una fede che può soffrire e gemere, ma che non crolla, perché è sicura che grande è la ricompensa nei cieli (cf. Mt 5,12).

Cari fratelli e sorelle.

Offrendo il santo sacrificio per il cardinale Josyf Slipyi, noi preghiamo il Signore per lui, meditando sulla sua eroica fede; invochiamo la Vergine Maria, per i cristiani perseguitati nell’attuale società, per i nostri fratelli ucraini residenti nella loro nazione e sparsi per il mondo, per l’intera umanità, affinché ognuno possa sentire nell’itinerario della propria esistenza le parole soavi e rassicuranti di Cristo redentore: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò!”.

 

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