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SOLENNE CONCELEBRAZIONE IN OCCASIONE DEL
VENTENNIO DELLA «SACROSANCTUM CONCILIUM»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 28 ottobre 1984

 

1. “Padre veramente santo . . .”. Professiamo questa santità prendendo in prestito le parole di Isaia profeta, evangelista dell’antica alleanza: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6, 3).

Professiamo la santità di Dio, nella quale si esprime tutta la sua sostanza: la divinità che nessuna creatura può scrutare e che, al tempo stesso, attira tutto a sé con la sua santità.

“Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura”.

Ogni creatura proclama la gloria di Dio per il fatto di essere, per ciò che in se stessa è, per il fatto di vivere e di operare. In mezzo al mondo degli esseri visibili, solo l’uomo è chiamato a diventare la voce delle creature, assumendo l’“opus gloriae Dei”.

2. Da questa vocazione dell’uomo nel mondo visibile prende inizio la sacra liturgia della Chiesa.

Oggi ricordiamo un importante avvenimento di venti anni fa, allorché il Concilio Vaticano II proclamò la costituzione Sacrosanctum Concilium, il suo primo documento, dedicato appunto alla sacra liturgia. E non possiamo farlo meglio che riportando le memorabili parole pronunziate in quella circostanza dal nostro venerato predecessore Paolo VI:

“. . . Uno dei temi [del Concilio] - il primo esaminato e il primo, in un certo senso, nell’eccellenza intrinseca e nell’importanza per la vita della Chiesa - quello sulla sacra liturgia, è stato felicemente concluso, ed è oggi da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera, prima nostra obbligazione; la liturgia, prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, con noi credente e orante, e primo invito al mondo perché sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza liberatrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo Signore e nello Spirito Santo” (AAS 56 [1964] 34).

3. Proprio in relazione a questo avvenimento, oggi sono riuniti attorno a quest’altare, insieme col Vescovo di Roma, i responsabili della Congregazione per il culto divino, insieme con numerosi rappresentanti degli episcopati di tutto il mondo, di coloro cioè ai quali è affidata l’attuazione concreta e vitale della sacra liturgia in mezzo al popolo di Dio delle singole nazioni, lingue e culture, in cui il popolo stesso si articola e si esprime.

Mediante la vostra partecipazione, cari fratelli, acquistano una particolare eloquenza le parole, con cui - adorando Dio - lo ringraziamo perché “continua a radunare attorno a sé un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al suo nome il sacrificio perfetto”. Così infatti diciamo nella Preghiera Eucaristica III.

Tali parole della preghiera eucaristica, che oggi pronunziamo qui in latino, nella lingua comune della Chiesa, sono ripetute in tanti luoghi della terra, in numerose lingue diverse, con le quali gli abitanti dei singoli Paesi esprimono e professano coscientemente la loro fede nel mistero cristiano e nell’Eucaristia, che di tale mistero è il culmine e la fonte.

Proprio per questo il Concilio ha introdotto nella liturgia le lingue dei singoli popoli e di tutte le nazioni: perché “ogni creatura” e coralmente l’intera umanità lodi ed esalti la santità di Dio secondo la ricchezza propria di ogni creatura.

4. In queste diverse lingue è celebrata l’Eucaristia. In queste diverse lingue i sacerdoti nell’assemblea eucaristica ripetono le parole sante pronunziate da Cristo Signore nel Cenacolo, in forza delle quali, sotto l’azione dello Spirito, si compie la transustanziazione: “Prendete e mangiatene tutti: Questo è il mio corpo . . .”. “Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue . . .”.

Queste parole suonano in diversi modi sulle labbra dei sacerdoti, ma in ogni lingua sono le stesse. E il miracolo eucaristico si compie, con la loro potenza, nello stesso modo.

E l’assemblea riunita dei credenti saluta nello stesso mondo “colui che viene nel nome del Signore . . .”; nello stesso modo annunzia la morte di Cristo, proclama la sua risurrezione e attende la sua venuta nella gloria.

5. Con le parole sacramentali di Cristo e con i riti che le accompagnano, ci troviamo infatti al centro della sacra liturgia e al suo apice. “Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo, fai vivere e santifichi l’universo”.

Il sacerdote celebra l’Eucaristia, operando in nome di Cristo, “in persona Christi”.

Cristo opera nella potenza dello Spirito Santo, consolatore [Paracleto].

Ecco, sul pane e sul vino, che (secondo la tradizione di Melchisedek) esprimono tutta l’offerta del popolo riunito intorno all’altare, il sacerdote invoca con umiltà lo Spirito Santo:

“. . . manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio . . .”.

6. Così si attua la divina economia della santificazione e della salvezza mediante il sacrificio sacramentale del corpo e del sangue di colui che “in forza dello Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” (Eb 9, 14). Tutta la tradizione orientale e occidentale, ivi compresa l’intera Ortodossia, è significativamente concorde nel sottolineare questo richiamo epicletico, sia pure con accentuazione e collocazione diversa nella tematica fondamentale unitaria e concorde della preghiera eucaristica.

7. Così dunque, nella potenza dello Spirito Santo, raggiunge via via il suo compimento la divina economia della salvezza.

“Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo”.

La Chiesa si sente, in modo particolare nella celebrazione eucaristica, popolo di Dio radunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, come si esprime san Cipriano, e l’eucologia del messale opportunamente riafferma («Super oblata» nella messa pro Ecclesia universali);

- popolo riconciliato con Dio: (“Riconosci, nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione”).

Questo popolo desidera diventare in Cristo sempre più “un solo corpo e un solo spirito”.

E lo Spirito Santo, che è lo stesso Spirito di Cristo, fa di lui un sacrificio perenne gradito a Dio, perché possa ottenere l’eredità dell’elezione e della vocazione alla partecipazione alla santità di Dio, insieme con la Madre di Dio e con tutti i santi.

8. Ricordando i vivi e i defunti, questo popolo, che nell’Eucaristia “diventa” - per così dire - nella misura più grande, Chiesa, conclude la grande preghiera unendosi spiritualmente, con la bocca del sacerdote, alla dossologia finale pronunziata dal sacerdote:

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, / a te, Dio Padre onnipotente, / nell’unità dello Spirito Santo / ogni onore e gloria, / per tutti i secoli dei secoli”; e proclamando, poi, in una coralità piena di fede e di amore, il suo “Amen” di partecipazione e di assenso.

L’Eucaristia “raggiunge” così le altezze insondabili del mistero trinitario, alla cui gloria la liturgia canta il suo inno più sublime, e l’Eucaristia offre l’espressione più viva ed efficace del “sacrificium laudis”, a cui tutta la “plebs sancta” è poi invitata a partecipare in realtà sacramentale nella santa comunione. Cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio!

Cari fratelli e sorelle in Gesù Cristo, che, dappertutto, sulla terra partecipate, secondo il vostro ordine e grado, all’Eucaristia: vivano sempre in voi e costantemente maturino i frutti della sacra liturgia!

Essa è la ricchezza sostanziale della Chiesa.

Mediante la liturgia Cristo è particolarmente l’Emmanuele, il Dio-con-noi, che con noi prega, per noi agisce e per mezzo nostro continua a operare nel mondo intero.

Apriamo il cuore a questa azione divina, cooperiamo con essa, secondo la grazia che ci viene offerta. “Il corpo e il sangue di Cristo . . . siano per noi cibo di vita eterna”.

 

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