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VISITA AL PONTIFICIO SEMINARIO LOMBARDO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza S. Maria Maggiore, 13 gennaio 1985

 

1. Dopo il mio pellegrinaggio ai luoghi sacri alla memoria di San Carlo nel quarto centenario della morte, non potevo, carissimi alunni del Seminario lombardo, non venire a fare una visita anche a questo vostro istituto, che al nome di lui, oltre che a quello di Sant’Ambrogio, s’intitola. Sono lieto di ritrovarmi qui con voi, in questa cappella, nella quale ebbi la gioia di entrare agli inizi del mio servizio pastorale quale successore di Pietro. Qui ritorno in una data anche per altro motivo significativa: questo nuovo edificio, ricostruito dalle fondamenta sul luogo ove sorgeva quello eretto sotto il pontificato di Pio XI, sta per compiere i vent’anni dalla sua inaugurazione. Mi è caro sottolineare con la mia visita questa fausta ricorrenza.

Insieme con i due cardinali e vescovi qui presenti, rivolgo un cordiale saluto al rettore, monsignor Luigi Belloli, al padre spirituale e a voi tutti, carissimi alunni, che qui vi trovate per completare gli studi filosofici e teologici presso le università ecclesiastiche dell’Urbe. La vostra permanenza in Roma vi rende in qualche misura partecipi della vita che si svolge nella diocesi del Papa e vi conferisce quindi uno speciale diritto alla sua sollecitudine.

2. Le circostanze mi consentono di suggerirvi soltanto alcuni rapidi spunti di riflessione. A ispirarli sarà, com’è ovvio, la figura del grande arcivescovo milanese, che tanta orma di sé ha lasciato nella Chiesa. Il pensiero va innanzitutto alla vita di eccezionale austerità che egli condusse. Il suo biografo più autorevole, Carlo Bascapé, nel «De vita et rebus gestis Caroli» dedica (cf. per esempio, Carlo Bascapé, De vita et rebus gestis Caroli, lib. VII, capp. I-VI) numerose pagine alla descrizione delle penitenze durissime a cui egli si sottopose, specialmente negli ultimi anni.

È certo giusto osservare che San Carlo ebbe da Dio una chiamata personale, in funzione di un ruolo ecclesiale particolarissimo. Sarebbe quindi arbitrario voler vedere in ogni aspetto della sua condotta una norma valida per tutti. Ma come non riconoscere nella sua esperienza il preciso richiamo a un valore evangelico di fondo, quello della rinuncia, o, per dirla con termine classico, della “mortificazione”, valore col quale ogni generazione cristiana deve necessariamente confrontarsi? In una società come la nostra, affascinata dal mito del consumismo, questo è un discorso che può suonare ostico. Ma noi sappiamo che la mortificazione evangelica non è soffocamento di valori autenticamente umani né, tanto meno, loro sconfessione. Essa è piuttosto la condizione indispensabile per garantire all’uomo la libertà interiore che, sottraendolo alla suggestione dei beni sensibili, gli consente di realizzarsi secondo la verità del proprio essere spirituale.

3. Il secondo pensiero che San Carlo mi suggerisce riguarda il tema del vostro perfezionamento negli studi ecclesiastici. Voi sapete quanta stima il Borromeo aveva per gli studi e quanta cura egli pose per assicurarsi un clero dotto, oltre che pio. È quanto rivendica egli stesso nel Sinodo del 1568, parlando ai suoi sacerdoti: “Quod vero attinet ad studium sacrarum Litterarum Nos, quantum in Nobis fuit, nihil pene non egimus, ut vos eruditos haberemus”. E spiega: “È vostro compito istruire le menti dei fedeli sui misteri della vita cristiana e sui precetti della legge divina; qua sane ratione fiet, neglectis studiis? Vostro compito è pure di spiegare l’efficacia dei sacramenti e la loro pratica; quo id pacto fiet, neglectis studiis? Spetta a voi, infine, dirimere i casi di coscienza, quodam modo fiet, neglectis studiis?” (S. Carlo Borromeo, Orationes XII, Romae, pp. 84-85).

Nel far eco a tali ammonimenti del grande arcivescovo, mi piace ricordare che iniziatore di questo seminario fu un altro illustre membro della famiglia Borromeo, quell’Edoardo, maestro di camera di Pio IX e poi cardinale, che in quest’opera profuse tempo, sollecitudini e sostanze. La serietà del vostro impegno nella quotidiana fatica dello studio possa corrispondere alle attese di chi avviò questa istituzione e soprattutto a quelle dei vostri vescovi, che contano su di voi per un servizio qualificato nelle rispettive diocesi.

4. Chi conosce San Carlo sa bene che in cima a ogni sua preoccupazione vi fu sempre quella di coltivare in sé e negli altri un’intensa vita interiore, alimentata alla sorgente di un’assidua e fervorosa preghiera. Egli era convinto che “niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni”. Con essa, egli aggiungeva, “potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno . . . ed avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri” (Ivi, p. 136).

Mi auguro che questa convinzione di San Carlo, condivisa del resto da ogni altro santo in tutte le epoche della Chiesa, si trasfonda in ciascuno di voi e vi induca a impegnarvi per divenire veri uomini di preghiera. Vi guidi in questo cammino la Vergine santa, anima orante per eccellenza, la cui maestosa basilica, veneranda per antichità e per consenso di fedeli, sorge proprio qui accanto. Ai suoi piedi possa ciascuno di voi imparare a dialogare cuore a cuore con Dio, premessa indispensabile, questa, per aprire un dialogo apostolicamente fruttuoso con i fratelli.

Vi benedico con grande affetto.

 

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