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VISITA PASTORALE IN SARDEGNA

LITURGIA DELLA PAROLA CON I FEDELI DELLA DIOCESI DI NUORO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 19 ottobre 1985

 

1. “Chi non ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è amore”. “Chi sta nell’amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 8. 16).

Con queste parole, che vanno al cuore del programma di questo nostro incontro, io saluto tutti voi, fedeli della diocesi di Nuoro. Saluto il vostro vescovo, monsignor Giovanni Melis, e tutti gli altri vescovi della regione sarda che si trovano qui. Saluto i sacerdoti, pastori delle vostre comunità e testimoni della carità di Cristo nelle parrocchie vicine e lontane, disperse sui monti della Barbagia. Saluto le autorità civili, il signor prefetto e il signor sindaco, che ha ricordato le vostre grandi tradizioni religiose e culturali e che ha avuto per me parole tanto cordiali e ospitali. Saluto l’intera popolazione della città e della diocesi, rivolgendo un particolare pensiero alle varie categorie di persone, fra le quali voglio ricordare quanti si dedicano alla pastorizia. So che i pastori sono qui numerosi: essi sono i rappresentanti tipici di una parte della popolazione rurale dell’isola. Li saluto con simpatia, auspicando che sappiano attingere dalla fede luce e conforto, e che il loro impegno per migliorare le condizioni di vita sia coronato da successo. Saluto inoltre gli agricoltori e tutti gli altri lavoratori, assicurando che sono loro vicino e faccio voti di ogni bene per le loro famiglie.

Saluto specialmente tutti voi che avete cantato, recitato, danzato con i vostri splendidi costumi tradizionali, e che avete pregato.

Vi saluto e vi ringrazio per i magnifici doni simbolici: in essi si esprime, insieme con la feracità della vostra terra e il fine gusto artistico del vostro animo, la generosità di un lavoro svolto in condizioni spesso difficili e precarie. È un gesto che apprezzo molto e nel quale vedo una significativa manifestazione di quella proverbiale ospitalità che distingue il popolo sardo.

Mi sono unito intimamente alla preghiera che con tanto fervore è sgorgata dai vostri cuori. Vorrei conoscere meglio la vostra lingua sarda per potermi sintonizzare anche verbalmente con le vostre voci, e invocare da Dio con tutta la passione dell’animo il dono di quella civiltà dell’amore, di cui il mondo sente oggi l’urgente bisogno. Questo è, infatti, il tema della nostra riunione: Salvati e riconciliati, testimoni di pacificazione, per costruire la civiltà dell’amore.

2. La civiltà dell’amore nasce da Dio, perché Dio è amore, e in Cristo questo amore, che è Dio “è apparso fra di noi”. È un amore, quello di Dio, che ha rivelato la sua dimensione infinita nel dono senza riserve del Crocifisso, del Figlio di Dio che s’è sacrificato per noi, immolandosi sul Calvario. È perciò dal cuore squarciato di Cristo crocifisso che sgorga la civiltà dell’amore. Nel santuario di quel cuore Dio si è chinato sull’uomo e gli ha fatto dono della sua misericordia, rendendolo capace di aprirsi a sua volta nella misericordia e nel perdono ai propri fratelli.

Perciò chi non accetta l’amore, chi non crede all’amore, non crede in Dio. Ma al tempo stesso, chi non conosce Dio, chi non crede in lui, non può credere all’amore né conoscere o desiderare la civiltà dell’amore.

3. Questo messaggio è risonato nella vostra terra da tempi lontani.

Come ha ricordato il vostro vescovo, fu sotto il pontificato di San Gregorio Magno che i barbaricini ricevettero l’annuncio di Cristo e del Vangelo. Popolo forte, abituato a resistere ad ogni invasore, il barbaricino si lasciò conquistare dalla parola di missionari armati solo della croce di Cristo. Fatto significativo e meritevole di essere sottolineato: i vostri antenati, che resistettero a testa alta a chi voleva soggiogarli con la forza delle armi, spalancarono spontaneamente a Cristo le porte delle loro città e dei loro cuori, conquistati dalla forza del suo messaggio di amore. Da allora nella vostra terra la fede ha messo salde radici, dando origine a una realtà sociale vivacemente tesa verso l’attuazione sempre più piena delle esigenze sante dell’amore.

Anche oggi anime meravigliose attestano questa forza della carità. Pensiamo alla beata Maria Gabriella Sagheddu e alla serva di Dio Antonia Mesina: figure eccelse, i cui esempi contrastano, quasi in un duro confronto tra due culture diverse, con le forze del male, della violenza, della vendetta, del sopruso. È doveroso riconoscere che il Signore ha diffuso in mezzo a voi, mediante la predicazione del cristianesimo, doni singolari di bontà, e che in forza del messaggio evangelico si sono sviluppate tra di voi tradizioni di sincerità, di fierezza, di rettitudine, che costituiscono ormai un patrimonio caratteristico di questa terra. I sardi si distinguono per l’attaccamento alla famiglia, la fedeltà alla parola data, il senso profondo della giustizia, il gusto dell’ospitalità, l’amore alla propria terra, unito a doti di intelligenza, di intuito, di coraggio. Questo è il volto più autentico della gente sarda; ed è un dono grande di Dio, un fondamento prezioso per la civiltà dell’amore.

Ora, voi vi proponete di portare avanti l’edificazione di questa civiltà e volete realizzarla pienamente, nonostante le difficoltà che si frappongono su questo arduo cammino. Non è il caso che mi soffermi a descrivere tali difficoltà. Basti accennare soltanto alla vendetta, al ricatto, al danneggiamento dei beni, all’aggressione, al sequestro, Ho saputo che tuttora un vostro fratello, il signor Gigino Devoto, è nelle mani di sequestratori. Chiedo e supplico, in nome di Dio, che egli sia restituito vivo e incolume alla sua famiglia, all’affetto dei suoi cari, al suo lavoro. In pari tempo assicuro una particolare preghiera per lui e per i suoi familiari in ansia.

È necessario che ciascuno si impegni a testimoniare tangibilmente che le forze dell’amore sono tra voi più gagliarde di quelle che all’amore si oppongono. Voi “conoscete Dio” e per questo dovete trovare i modi concreti per incarnare la potenza del suo amore. Voi potete dare vigore alle tradizioni culturali più positive del vostro mondo di pastori, di contadini, di operai. Voi potete ancora rivelare il vostro stile di vita cristiano in tutte le terre in cui migrate, rimanendo ben saldi nelle tradizioni sane, sicure, religiose della vostra isola e della vostra famiglia.

4. Si tratta di un compito non facile, che incontra resistenza e ostacoli nella complessità stessa del cuore umano, lacerato spesso da drammatiche contraddizioni, alla cui radice sta la realtà oscura del peccato.

“Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio - annotavo nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia - anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti”. E aggiungevo: “Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato. È una legge e un fatto oggettivo, che hanno riscontro in tanti momenti della psicologia umana e della vita spirituale, come pure nella realtà della vita sociale, dov’è facile osservare le ripercussioni e i segni del disordine interiore” (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 15).

Anche in questa bellissima isola non mancano i segni dolorosi dell’interiore disordine dell’uomo. Nel tessuto sociale vi sono lacerazioni antiche e recenti, che producono disagi e sofferenze in larghi strati della comunità. E queste sofferenze sono tanto più acute quanto più sembrano ineluttabili, perché radicate in consuetudini ancestrali, in una sorta di antica cultura di violenza e di morte. Sono situazioni che possono arrivare persino ad offuscare il giudizio morale, riducendo la forza della libertà vera della coscienza.

Ma il cristiano non si arrende di fronte a tali ostacoli. Nel Vangelo egli ha il punto di riferimento sicuro, dal quale attingere la risposta agli interrogativi che via via l’esperienza gli pone. Nella parola di Cristo egli può trovare la luce e la forza necessarie per smascherare il male che s’annida nelle pieghe di consuetudini inveterate, e vincerlo.

Carissimi fratelli e sorelle, anche se l’uomo è sempre tentato a fare di se stesso l’unico centro di ogni interesse e di ogni legge, noi non vogliamo consentire per questo che egli divenga e rimanga egoista, fragile, feroce. La comunità credente deve sentirsi impegnata a colmare la povertà di certi costumi sociali con la ricchezza della verità che viene da Dio, e con la forza dell’amore, che lo Spirito di Dio diffonde nel cuore dei credenti (cf. Rm 5, 5). Il peso negativo della cultura della violenza si vince con la forza della carità, con la tenace e costante proposta della civiltà dell’amore.

5. Abbiate quindi fiducia, miei cari, perché questa è la strada di Cristo, la via già percorsa da lui. Essa è anche la via che sta nel più profondo desiderio del cuore di ogni uomo. “Gli uomini, in fondo, quando non sono coscientemente fuorvianti nel pensiero e nel costume, sono spesso più buoni di quanto non appaiono, più infelici che cattivi; più illusi che ostinati; più bisognosi di verità e di amore che di abbandono e di rifiuto” (Insegnamenti di Paolo VI, IX [1971] 539), più desiderosi della civiltà dell’amore che di quella dell’odio.

Voi che amate, riuscirete a scoprire le vie della carità, le strade per riavvicinare ogni uomo alla perenne fonte dell’amore che è Cristo crocifisso.

A tutti dico: credete alla forza dell’amore, della carità di Dio e operate con tutte le forze per costruire, col suo aiuto, il regno del suo amore.

Per questo a tutti voi, che siete qui, a coloro che ci seguono da lontano in questa riunione di preghiera e di amicizia, a tutti quelli che per qualsiasi ragione soffrono, a quelli che subiscono il peso di situazioni difficili e dolorose, ai responsabili del bene pubblico, ai giovani, alle famiglie, agli emigrati che da altre terre pensano ora a noi, io rinnovo l’incoraggiamento a sperare e ad operare, fidando nella costante presenza amica di Cristo, nel cui nome, come anche in quello della madre sua e nostra, la vergine Maria, a tutti imparto una larga, affettuosa, confortatrice benedizione apostolica.

 

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