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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN FILIPPO NERI IN EUROSIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

II Domenica di Quaresima, 16 febbraio 1986

 

1. “Il Signore concluse . . . un’alleanza con Abramo” (Gen 15, 18).

Mediante il tempo della Quaresima siamo chiamati in modo particolare a un’intimità col Dio dell’alleanza. Il Dio della nostra fede è Creatore e Signore dell’universo, è il Dio di infinita maestà e contemporaneamente è il Dio dell’alleanza.

“Molte volte hai offerto agli uomini la tua alleanza”, noi proclamiamo con le parole della Preghiera eucaristica IV, risalendo alte medesime origini: ai progenitori, a Noè.

L’alleanza con Abramo, di cui parla l’odierna liturgia, è nello stesso tempo un nuovo inizio per la storia del popolo di Dio: “Guarda in cielo e conta le stelle . . . Tale sarà la tua discendenza” (Gen 15, 5). Davvero essa è molta numerosa, forse una metà dell’umanità, se non di più (ebrei, musulmani, cristiani) si richiama alla discendenza spirituale di Abramo, chiamato da san Paolo padre della nostra fede (cf. Rm 4, 11).

2. Nel corso della Quaresima noi siamo chiamati a rinnovare con Dio l’alleanza, che ha avuto il suo inizio nella fede di Abramo. Questa alleanza giunge al compimento definitivo in Cristo. Il Vangelo dell’odierna domenica ne rende testimonianza in modo particolarmente eloquente. Ogni anno, in questa domenica della Quaresima, la Chiesa ci conduce sul monte Tabor. Lì, davanti agli occhi dei tre apostoli prescelti, appare tutto l’itinerario dell’alleanza che conduce da Abramo a Gesù di Nazaret, al Messia. Su questa via si trovano Mosè ed Elia, come pietre miliari dell’alleanza di Dio con la discendenza di Abramo; esse portano a colui di cui il Padre dice: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9, 35).

Egli è la pienezza: in lui Dio pronunzia definitivamente la Parola della sua rivelazione. In lui stipulerà la nuova ed eterna alleanza con l’uomo e con l’umanità.

3. Il compimento dell’alleanza, tuttavia, non avverrà sul monte Tabor, benché gli apostoli desiderassero rimanervi e costruire tre tende: una per Cristo, una per Mosè e una per Elia (cf. Lc 9, 33). Il monte Tabor è soltanto il luogo del preannunzio. Il luogo dell’alleanza sarà invece un altro monte. Su di esso Cristo non sarà “glorificato” nella trasfigurazione, ma sarà “glorificato” nel massimo abbassamento.

E allora Dio, che conclude l’alleanza con Abramo, rivela se stesso fino in fondo. La discendenza di Abramo, nata mediante la fede, verrà accolta dalla parola e dalla potenza dell’alleanza nel sangue dell’Agnello di Dio: tale alleanza durerà fino alla fine del mondo.

4. Nel tempo di Quaresima la Chiesa, guidandoci al monte della Trasfigurazione, ci prepara al monte della Crocifissione. Infatti nella Crocifissione di Cristo deve realizzarsi la Trasfigurazione, alla quale tutti siamo chiamati dalla parola e dall’amore del Dio dell’alleanza.

Questa chiamata risale ai tempi di Abramo; tuttavia si chiarisce gradualmente, gradualmente si attua nella storia della salvezza. Nella croce di Cristo essa ottiene la sua piena luce e la sua realizzazione definitiva. Infatti Cristo è risorto nello stesso luogo in cui era stato crocifisso. Ciò che gli apostoli avevano visto di sfuggita sul monte Tabor, è diventato una realtà permanente della nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità.

5. Questa è la realtà pasquale. Nel tempo di Quaresima siamo chiamati in modo particolare ad entrare nella realtà pasquale. Essa è tutta in Cristo. Nello stesso tempo è tutta per noi. Deve abbracciarci così come la nube avvolse Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte della Trasfigurazione (cf. Lc 9, 34). La parola definitiva del Dio dell’alleanza è proprio questa luce: la realtà pasquale che è destinata e offerta totalmente all’uomo.

6. In essa è contenuta la realizzazione definitiva della verità circa la terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza. Questa terra divenne, per molte generazioni, patria del popolo dell’antica alleanza.

Tuttavia il Dio dell’alleanza non racchiude la sua promessa in nessuna singola patria terrestre. In nessun’abitazione temporale. E nessuna condizione temporale dell’esistenza umana può realizzare la promessa di Dio nei riguardi di coloro che, insieme con Cristo sono stati avvolti dal mistero pasquale.

Ecco, che cosa scrive Paolo: “[Fratelli,] la nostra patria . . . è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3, 20-21).

7. Siamo dunque chiamati all’intimità col Dio dell’alleanza secondo tutta l’ampiezza della sua promessa: fino in fondo, fino al compimento definitivo. Siamo chiamati a vivere nella prospettiva di questa fede che, forse, Abramo non conosceva ancora, ma che si è pienamente dischiusa a noi in Cristo crocifisso e risorto.

Forse nessuna delle domeniche di Quaresima quanto quella odierna ci svela così a fondo questa prospettiva. Essa esige anche da noi, per così dire, una particolare tensione a vedere con gli occhi della fede: “credo la remissione dei peccati, credo la risurrezione della carne, credo la vita eterna”. Solo così trovano piena e definitiva realizzazione le parole pronunziate sul monte Tabor: “Maestro, è bello per noi stare qui” (Lc 9, 33).

Tuttavia il monte Tabor costituisce soltanto un lontano preannunzio. Bisogna scendere di là e passare attraverso un altro monte, il monte della croce e della risurrezione. Su questo monte comincerà a realizzarsi definitivamente la “terra promessa”. Infatti il salmista dice: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi” (Sal 27 [26], 13).

8. Oggi mi è dato, come Vescovo di Roma, di meditare queste prospettive definitive della nostra fede, iscritte nelle parole della liturgia quaresimale, insieme con voi, cari fratelli e sorelle della parrocchia di San Filippo Neri.

Desidero salutare cordialmente, a questo punto, tutti i presenti: il cardinale vicario, il vescovo del settore, i religiosi dediti alla cura di questa parrocchia, le religiose che lavorano nel medesimo territorio, il Consiglio pastorale, i catechisti, i vari gruppi, le famiglie, i giovani, gli anziani, i malati, i lavoratori, tutti i credenti e tutti i cittadini romani che abitano nel territorio della parrocchia. Salute e gioia a voi tutti da Dio nostro Padre, da quel Dio di misericordia che sempre è disposto a rinnovare con noi la sua alleanza, sempre che noi l’accogliamo con cuore sincero e contrito!

La vostra parrocchia, cari fratelli e sorelle, è da tanti anni curata da alcuni generosi sacerdoti figli di quel grande santo, così simpatico e umano, che fu san Filippo Neri, la cui vita fu totalmente dedicata all’educazione della gioventù, soprattutto quella più bisognosa ed esposta ai pericoli.

E quanto bisogno c’è ancor oggi, anche nella nostra Roma di seguire - seppure aggiornandolo - l’esempio di questo apostolo della gioventù! I vostri sacerdoti sono tanto benemeriti nell’aver profuso lunghi anni di lavoro e di fatiche al servizio della gioventù. Ma anche per questa parrocchia, dobbiamo ripetere le parole di Gesù: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Preghiamo, dunque, perché il Signore mandi sempre nuovi operai anche nella “messe” di questa parrocchia!

9. Desidero esprimere in modo speciale il mio compiacimento per il lavoro svolto dagli Istituti di formazione cattolica presenti in questo territorio: oltre all’Oratorio dei Padri di san Filippo, all’Istituto “Maria Adelaide”, al “Cesare Baronio” e alla Scuola delle Suore Giapponesi, vera speranza, queste ultime, per la loro dedizione e il loro slancio giovanile, coi quali hanno accettato di lasciare la loro patria lontana per venire a servire la Chiesa romana.

Anche in questa circostanza vi ricordo la grande importanza di un impegno serio e generoso nella scuola cattolica e in generale nell’assistenza amorosa alla gioventù, oggi talvolta trascurata dalle stesse famiglie. Il fenomeno della devianza minorile, purtroppo presente anche qui nonostante gli sforzi per impedirlo, ci deve far ricordare anche la permanente necessità di un intenso impegno di promozione dei valori morali della famiglia e di una sana concezione dell’amore tra l’uomo e la donna.

Ora, voglio rivolgermi a voi presenti qui, in chiesa. Prima ho incontrato i ragazzi nell’oratorio. Ora incontro questa fascia della comunità parrocchiale più anziana. Vi saluto cordialmente. Esprimo la mia stima, il mio amore per ciascuno di voi, per le persone che sono a voi care, per le vostre famiglie. Devo congratularmi con voi per questa bella chiesa che avete qui, nella parrocchia di San Filippo Neri. Devo ringraziare le generazioni precedenti che hanno tanto ben curato la consistenza non solamente interna ma anche esterna di questa comunità parrocchiale.

10. Siamo il popolo di Dio della nuova alleanza: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”, proclama il salmista (Sal 27 [26], 1). Il Signore è nostra luce e nostra salvezza. Siamo chiamati all’intimità con il Dio dell’alleanza. Proprio di lui dice il nostro cuore: “Cercate il suo volto” (Sal 27 [26], 8). Proprio lui è la mia luce e la mia salvezza. Lui, il Dio dell’alleanza, e raccoglie sempre di nuovo nel cuore del mistero pasquale di Gesù Cristo: “di chi avrò paura?” chiede il salmista. Ebbene, in questo mistero salvifico, il Signore si rivela come “difesa della mia vita”, della vita che non può esserci tolta da nessuno. Quindi: “di chi avrò timore?” (Sal 27 [26], 1). Di chi?

L’Apostolo scrive: “molti . . . si comportano da nemici della croce di Cristo” (Fil 3, 18). Ecco l’unico motivo di timore: ci si può separare dalla croce di Cristo, si può perfino diventare suoi nemici.

La Quaresima è quindi anche una chiamata a liberarsi da questa ostilità. Vi può essere ostilità, vi può essere indifferenza, vi può essere estraneità. Bisogna superare tutto questo, liberarsene. Al fondo di tutte le vicende umane e di tutte le esperienze della nostra esistenza, ci aspetta la croce di Cristo quale segno salvifico: è il segno di quel Dio che è il Dio dell’alleanza.

Vorrei richiamare tutti, in questa seconda domenica di Quaresima, ad avere grande fiducia in quel segno nel quale Cristo ha vinto la morte e ha restituito la vita a tutti noi: la vita eterna.

 

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