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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(8-14 GIUGNO 1987)

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CON IL
MONDO DELLA CULTURA E DELL’ARTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Chiesa della Santa Croce (Varsavia) - Sabato, 13 giugno 1987

 

Cari Signori e Signore! Egregi fratelli e sorelle!

1. Permettetemi di ricollegarmi subito alla prima parola della lettura degli Atti degli Apostoli, scelta per il nostro odierno incontro: “Erano assidui . . .” (At 2, 42).

Gli Atti parlano della prima comunità cristiana, formatasi a Gerusalemme dopo il giorno di Pentecoste, intorno agli apostoli che proprio quel giorno avevano ricevuto lo Spirito Santo: lo Spirito di verità - il Paraclito.

Desidero riferire questa parola, che testimonia, a noi qui riuniti, gli inizi storici della chiesa. A tutti coloro che sono assidui in una “comunità” come quella, la cui caratteristica è “l’insegnamento degli apostoli . . . la frazione del pane . . . la preghiera” (cf. At 2, 42).

Contemporaneamente però questo vostro “essere assidui nella comunità” della Chiesa, Uomini di cultura, rappresentanti degli ambienti di creatività culturale, artisti, acquista una particolare importanza. Penso a voi, qui riuniti - ma penso anche a tutti coloro che appartengono alla stessa comunità sia in terra polacca, che fuori dei suoi confini: una grande comunità di persone che “essendo assidue” accanto ad un multiforme banco di creatività, servono alla “persistenza” e alla sopravvivenza della Nazione. La Nazione infatti persiste nella propria identità spirituale tramite la propria cultura. Questa verità nella nostra storia ha avuto diverse volte una particolare eloquenza. Basti ricordare le spartizioni, il secolo XIX; la lotta mortale per la sopravvivenza della Nazione - e su questo sfondo uno sviluppo prima sconosciuto della cultura polacca per mezzo delle opere dei poeti-vaticinatori di Chopin, il cui cuore riposa a questo tempio, i maestri dello scalpello e del pennello. In questo posto ricordiamo in modo particolare Karol Szymanowski di cui quest’anno celebriamo il cinquantesimo anniversario della morte.

2. Vivo costantemente con piena coscienza di questa verità. Sin dagli anni dell’infanzia. Quando mi è stato dato di parlare davanti ai rappresentanti di molte nazioni del mondo all’UNESCO, a Parigi (giugno 1980), ho espresso questa consapevolezza in modo fortemente vissuto e ponderato, ed insieme del tutto spontaneo. Cito: “La Nazione è in effetti la grande comunità degli uomini che sono uniti per diversi legami, ma soprattutto, dalla cultura. La Nazione esiste “mediante” la cultura e “per” la cultura . . . Io sono figlio di una Nazione che ha vissuto le più grandi esperienze della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua identità ed ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua cultura. Questa cultura si è rivelata all’occorrenza d’una potenza più grande che tutte le altre forze. Quello che io dico qui in ordine al diritto della Nazione al fondamento della sua cultura e del suo avvenire, non è l’eco di alcun “nazionalismo”, ma si tratta sempre di un elemento stabile dell’esperienza umana e delle prospettive umane dello sviluppo dell’uomo. Esiste una sovranità fondamentale della società che si manifesta nella cultura della Nazione. Si tratta della sovranità per la quale, allo stesso tempo, l’uomo è supremamente sovrano” (Ioannis Pauli PP. II, Discorso all’UNESCO, 2 giu. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 1647s.).

3. Esprimo dunque la gioia che durante questo mio pellegrinaggio in Patria, mi viene dato di incontrarmi con l’ambiente degli uomini della cultura, dell’arte, della multiforme e molteplice creatività artistica.

Adam Chmielowski, il beato frà Albert, disse: “l’essenza dell’arte è l’anima che si esprime nello stile”.

Ognuno di voi rende una particolare testimonianza all’uomo: a ciò che è la giusta dimensione della sua esistenza. “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt 4, 4). Anche se ci rendiamo conto di quanto siano importanti i problemi del pane, quanto dipenda da essi, nella vita dell’intera umanità e di tutte le nazioni - nella vita delle singole persone e famiglie - queste parole di Cristo ci convincono: “non di solo pane”. Non di solo pane.

L’uomo ha ancora un’altra dimensione dei bisogni, e un’altra dimensione delle possibilità. La sua esistenza viene determinata dall’intimo rapporto con la verità, il bene e il bello. L’essenziale per una persona umana è la trascendenza - e ciò che essa comporta: un’altra fame.

La fame dello spirito umano. Perciò Cristo dice (e ricordiamo che lo disse al demonio mentre era tentato): “non di solo pane . . . ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4).

I bisogni umani si uniscono alla dimensione del verbo - Logos - e dunque della verità. Essi si uniscono anche con la dimensione dell’Ethos: e dunque della libertà guidata dalla verità. La fame della libertà viene saziata definitivamente per mezzo dell’amore!

Il pane . . . e la Parola. Economia e Cultura. Esse forse si escludono? Si combattono reciprocamente? No, semplicemente si completano. Tuttavia dalla posizione della pienezza dell’uomo bisogna, che anche l’economia partecipi alla cultura. Che le sia essenzialmente subordinata. Questo infatti significa: il primato di ciò che è più profondamente umano.

Parlando agli scrittori, un anno prima di morire, il Primate Wyszynski disse: “La parola, che è un dono di Dio, deve essere piena di sole e curativa. Oltre venti anni fa si è tenuto a Jasna Gora il primo convegno del dopoguerra degli scrittori cattolici. Dovevo parlare loro. Davanti agli occhi mi si presentò in modo chiaro l’immagine di Lazzaro, giacente alla porta di una grande residenza, dove un ricco, vestito di bisso, banchettava lautamente.

Quest’uomo povero, coperto di piaghe, moriva di fame poiché non gli avevano dato niente dalla tavola del ricco, solamente i cani leccavano le piaghe di Lazzaro. Mi era venuta con insistenza nella mente allora quest’analogia, tanto adatta ai creatori della cultura, agli scrittori: questo è un compito nobile e terapeutico - lambire le ferite dell’uomo sconfitto, curare la nazione, curare gli uomini” (Card. S. Wyszynski, Discorso agli scrittori e ai letterati nella chiesa ai S. Anna, 15 marzo 1980, in “Bollettino Stampa dell’Episcopato Polacco”, 14-80–605, p. 4).

4. Leggiamo della prima comunità raccolta intorno agli apostoli, che “spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore” (At 2, 46).

Il nostro incontro ha luogo nell’ambito del Congresso Eucaristico che quest’anno si svolge in Polonia.

L’Eucaristia costituisce il centro di questa comunità che si raccoglie accanto agli apostoli. L’Eucaristia è il memoriale della morte e della risurrezione di Cristo. Proclama e rinnova la sua prima venuta redentrice - ed annunzia quella seconda: definitiva.

L’Eucaristia è il santissimo Sacramento della nostra fede. I Pastori della Chiesa in Polonia desiderano che tutti coloro che appartengono alla comunità di questa Chiesa, rinnovino in sè la coscienza dell’Eucaristia. Indicano a questo scopo le parole che in modo particolare esprimono la profondità della realtà sacramentale eucaristica. Esse parlano dell’amore: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1).

Cristo sazia la più profonda fame dell’essere umano. Proprio così è la fame dell’amore. Ed Egli è colui che “amò sino alla fine”.

5. La comunità raccolta accanto agli apostoli, assidua “nella frazione del pane”, cerca allo stesso tempo di guardare se stessa, la propria vita e vocazione, alla luce di queste parole su Cristo. E contemporaneamente parlano dell’Eucaristia.

È sufficiente solo riceverla? La Eucaristia è il cibo - dunque bisogna vivere di essa. Lo spirito umano vive della verità e dell’amore. Da qui nasce anche il bisogno della bellezza. Disse il poeta: “Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore” (C. Norwid, Promethidion, Bogumil, v. 109).

E questo è l’amore creativo. L’amore che elargisce l’ispirazione. Provvede i motivi più profondi nell’attività creativa dell’uomo.

Come lontano va qui Norwid, mentre dice: “Poiché la bellezza è per incantare il lavoro - il lavoro, Per risorgere” (Ivi, v 185-186).

Come lontano va il nostro “quarto poeta vaticinatore”! È difficile resistere alla convinzione, che con queste parole egli è diventato uno dei precursori del Vaticanum II e del suo ricco insegnamento. Sapeva leggere così profondamente il mistero pasquale di Cristo. Tradurlo con tanta precisione nel linguaggio della vita e della vocazione cristiana. Il rapporto tra bellezza - lavoro - risurrezione: il midollo stesso dell’“esse et operari” cristiano.

6. “Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore”.

La vostra vocazione, cari fratelli e sorelle, è la bellezza. Creare oggetti belli. Trarre la bellezza nella molteplice materia della creatività umana: nella materia delle parole e dei suoni, nella materia dei colori e delle tonalità, nella materia dei blocchi scultorei o architettonici, nella materia dei gesti con cui si esprime e parla questa particolarissima materia del mondo visibile quale è il corpo umano.

“Che cosa sai della bellezza? . . . È la forma dell’amore”.

E dunque, non rimane essa in un intimo e reale rapporto con colui, che amò sino alla fine? Che ha rivelato la definitiva misura dello amore nella storia dell’uomo e del mondo? Una misura definitiva: redentrice e salvifica? E dunque: la bellezza che è la vostra vocazione, la vostra fatica e il dolore creativo della vostra vita - non rimane esso in una nascosta, ma non meno reale unione con il Sacramento di questo amore di Cristo? Con l’Eucaristia?

7. Si sente che negli ultimi anni gli uomini di cultura, i creatori e gli artisti in Polonia, hanno ritrovato in un grado prima sconosciuto, il legame con la Chiesa. Ne sono molto lieto. Ringrazio per questo lo Spirito Santo e la Madre del bell’amore.

Questo fenomeno si fa sentire in diversi modi. Basti menzionare per esempio le “settimane di cultura cristiana” che vanno sempre più estendendosi in Polonia, confermando ciò che testimonia la nostra identità, la storia spirituale della Nazione. Mi rallegro che gli intellettuali, gli artisti, gli uomini della cultura trovino nella Chiesa lo spazio della libertà, che a volte manca loro altrove.

E che, grazie a questo, scoprano l’essenza e la realtà spirituale della Chiesa che prima vedevano quasi dall’esterno. Sperò anche, che la Chiesa polacca risponderà pienamente alla fiducia di questi uomini, che a volte vengono da lontano - e troverà il linguaggio che raggiungerà i loro cuori e le loro menti.

Personalmente mi rallegro di questo fenomeno. Scoprire il legame con la Chiesa - significa sempre trovarsi nell’orbita del mistero pasquale di Cristo, trovarsi nel raggio di quell’amore “con cui Egli amò sino alla fine”. Trovarsi nel raggio dell’Eucaristia, che è il Sacramento proprio di questo amore. Bisogna adoperarsi molto affinché questo legame con il mistero pasquale di Cristo - riscoperto da tanti uomini di cultura in Polonia - produca frutti secondo le parole di Norwid veramente profetiche.

“La bellezza è per incantare il lavoro - il lavoro, per risorgere”. Molto si parla e si scrive del “lavoro polacco” e ciò che si dice e si scrive, a volte preoccupa profondamente. Sembra che questo lavoro sia minacciato sul terreno della scala dei valori: non solo di quelli economici, ma anzitutto di quelli fondamentali umani, umanistici, morali. C’è per noi il pericolo che “mediante il lavoro non si risorga”.

8. Uomini di cultura, creatori, artisti, umili servitori della bellezza nella vita della Nazione! Penso che la vostra alleanza con la Chiesa, riscoperta proprio in questa tappa della storia, è anche un segnale di questa minaccia. Bisogna comprendere bene questo segnale.

Il lavoro è minacciato allorquando la libertà dell’uomo non si compie correttamente, cioè non si realizza mediante l’amore. Qui l’economia deve obbedire alla cultura! Deve obbedire all’etica! Anche in considerazione di se stessa: dell’economia. Poiché tutto è fondato unitamente in una stessa soggettività: dell’uomo e della società.

Permettetemi di esprimere qui anche il riconoscimento per questa particolare alleanza, realizzata da noi negli ultimi anni, tra gli uomini di cultura e gli uomini del lavoro.

9. Ritorno alla prima parola della lettura dagli Atti degli Apostoli, alla quale ho fatto riferimento all’inizio: “erano assidui”.

Si. Bisogna che “siate assidui” in questa comunità. Che si renda ancora più acuto il vostro senso di responsabilità per “la bellezza che è la forma dell’Amore”. Che aiutate gli altri ed “essere assidui” nella stessa comunità della Chiesa e della Nazione.

“Lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo” (At 2, 47). Vi auguro che le vostre opere servano gli uomini, servano la società. Che esse trovino recezione.

Che suscitino l’autentica fame dello spirito umano, saziando tutte le sue forme. Che troviate il rispetto e la gratitudine da parte di coloro che desiderate servire. “. . .  per risorgere”.



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