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VISITA PASTORALE A CIVITA CASTELLANA

SANTA MESSA NEL CAMPO SPORTIVO COMUNALE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Festa di San Giuseppe Artigiano
Domenica, 1° maggio 1988

 

1. “Rimanete in me e io (rimarrò) in voi” (Gv 15, 4).

Oggi, quinta domenica di Pasqua, la Chiesa rilegge nella sua liturgia la parabola di Cristo sulla vite e sui tralci.

Essa fu raccontata dal Signore Gesù alla vigilia della sua morte, congedandosi dagli apostoli nel cenacolo. Sullo sfondo di tale avvenimento, queste parole rivestono una particolare eloquenza. Diventano particolarmente penetranti.

Ecco, Cristo va verso la passione e la croce. Il giorno successivo gli porterà la sentenza dì morte, la più infame, e l’agonia del Golgota.

Per gli apostoli che lo ascoltavano nel cenacolo, questo doveva essere il giorno della prova più grande. A questa prova doveva venire sottoposta la loro fedeltà al Maestro, il loro “perseverate” in lui.

E tuttavia Cristo dice: “Rimanete in me e io (rimarrò) in voi”. Proprio la prova della croce diventerà il “luogo” nel quale gli apostoli, in definitiva, si radicheranno in Cristo. Identificati nel suo mistero che dà la vita.

E non solo essi. Ma anche noi tutti, ai quali si riferisce la parabola sulla vite e sui tralci.

2. Questa parabola stende dinanzi a noi un vasto quadro dell’economia salvifica di Dio. Al centro di questo quadro è “il padre, il vignaiolo” (cf. Gv 15, 1). Gesù Cristo è “la vite” (cf. Gv 15, 5), mediante la quale tutti ricevono la vita come tralci. Sì. La vita di Dio è stata data agli uomini nel Figlio di Dio, che si è fatto uomo. Solo rimanendo in lui, a somiglianza del tralcio che rimane nella vite, possiamo avere in noi questa vita.

Così dunque - questa parabola penetrante, raccontata nella prospettiva ravvicinata della morte di croce - esprime un contenuto pasquale. Essa si riferisce alla piena rivelazione di Cristo come vera vite nella risurrezione.

La risurrezione, in definitiva, rende tutti consapevoli che Cristo è il Signore. Che in lui è la pienezza di quella vita, che non subisce la morte umana.

Se questa vita si è dischiusa all’uomo, ciò è avvenuto a opera della morte di Cristo. La risurrezione del Signore nostro ha rivelato definitivamente che la morte da lui patita è diventata la sorgente della vita per tutti.

E perciò Cristo, alla vigilia della sua morte grida: “Rimanete in me e io (rimarrò) in voi”.

3. Su questo reciproco rimanere - di Cristo in noi, e di noi in Cristo - poggia tutta l’economia della salvezza, che ha il suo inizio nell’Eterno Padre.

“Il Padre mio è il vignaiolo”.

Egli “coltiva” la vigna, dando a noi il Figlio, affinché abbiamo in lui la vita e l’abbiamo in abbondanza.

La “coltiva”, cercando in ciascuno di noi i frutti della vite: quei frutti che produce il nostro rimanere nel Figlio di Dio e il suo rimanere in noi.

“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15, 2).

In questo consiste il lavoro di ogni vignaiolo che coltiva le viti.

Per il Padre, visto sotto l’angolatura del Regno di Dio come colui che coltiva la vigna del cosmo, dell’uomo e della sua storia in terra, il principio della coltivazione, il principio di questa economia salvifica è la vita, che egli offre a tutti gli uomini nel Figlio suo.

 “Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv 15, 4) - dice il Cristo.

4. Rimaniamo in Cristo mediante la verità.

Rimaniamo in Cristo mediante l’amore.

L’apostolo Giovanni - quasi in aggiunta a ciò che è contenuto nella parabola sulla vite e sui tralci (descritta nel suo Vangelo) - scrive nella sua prima lettera:
“Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore” (1 Gv 3, 18-19).

È molto importante. Infatti, le parole sui tralci che saranno staccati se non portano frutto, devono provocare in noi una giusta inquietudine: io porto frutto? Non sarò io staccato?

Ciò che scrive san Giovanni nella sua prima lettera è molto importante, specie le parole che seguono: “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (cf. 1 Gv 3, 20).

E perciò l’apostolo ravviva la speranza: “Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio” (1 Gv 3, 21).

5. “Dio è più grande del nostro cuore”.

È più grande per il suo amore paterno. È più grande per il fatto che ha dato “il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). È più grande, per il suo dono ineffabile!

Più grande per la croce e la risurrezione del Figlio. Per il suo sacrificio per i “peccati del mondo”. Più grande, nel mistero pasquale di Cristo.

Così dunque, ogni uomo deve aver cura di portare frutto nella sua vita. Deve fare tutto ciò che è nelle sue possibilità.

Tutto ciò che gli ordina la sana e retta coscienza.

Ma, soprattutto, deve aver fiducia in Dio.

E chiedere. Pregare. La preghiera è la principale manifestazione della nostra speranza.

Dice Cristo nella sua parabola:
“Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Gv 15, 7-8). Vuole che portiamo frutto! Lo desidera! Non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Vuole che portiamo frutto in Cristo- vita. E ne gioisce.

6. Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, si parla della conversione di Paolo di Tarso. I seguaci di Cristo hanno paura ancora di quel loro persecutore. E tuttavia, egli è ormai un altro uomo.

A lui, sulla strada di Damasco, si è rivelato il Signore Gesù. Gli è stata rivelata la vita di Dio che è in lui, la vera vite.

E Paolo si è attaccato a questa vite con tutto l’ardore della sua anima.

Sappiamo quanti frutti abbondanti ha portato!

Quale grande gioia per la Chiesa è diventato!

Quanto è stato glorificato l’Eterno Padre in questo tralcio abbondante della vite!

E proprio lui, Paolo, ha scritto di sé: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).

E così, mediante il suo ministero apostolico, il Cristo crocifisso e risorto sembra ripetere a tutte le generazioni.

“Rimanete in me e io (rimarrò) in voi.

Chi rimane in me, fa molto frutto”.

7. A tutti voi, cari Fratelli e Sorelle di Civita Castellana, che siete qui venuti per testimoniare il vostro attaccamento a Cristo ed alla Chiesa, come i tralci alla vite, e per manifestare i frutti della vostra fede, del vostro amore e della vostra speranza al successore di Pietro pellegrino in questa vostra antica terra, porgo il mio saluto ed un rinnovato incoraggiamento a ben continuare sulla scia luminosa delle tradizioni religiose e civili, che hanno così nobilmente segnato la storia dei vostri antenati.

Un saluto va anzitutto al vostro Vescovo, il venerato fratello Marcello Rosina, che da anni non cessa di prodigare le sue generose energie nella guida sapiente di codesta comunità diocesana. Saluto cordialmente le autorità di ogni ordine e grado, in particolare i sindaci dei comuni compresi nella circoscrizione ecclesiastica. La loro presenza esprime la volontà di collaborare con la Chiesa per conseguire quei fini di progresso civile e sociale, a cui aspirano tutti coloro che sono pensosi del vero bene. Saluto con speciale affetto tutti voi sacerdoti, religiosi e religiose, che dedicate la vita alla cura delle anime ed alla dilatazione del Regno di Dio. Conosco lo zelo, col quale voi compite il vostro ministero pastorale. Vi sono grato per la vostra fedeltà; per il vostro premuroso servizio verso tutte le persone, specialmente quelle in difficoltà; per la vostra attiva partecipazione alle gioie ed ai dolori del popolo cristiano; per la costanza e disponibilità con cui restate al vostro posto di lavoro e per la dedizione con cui vi preoccupate di far progredire i fedeli nel loro cammino di fede, di illuminarli con la parola di vita eterna e di fortificarli con la grazia dei sacramenti della salvezza.

L’immagine del “vignaiolo” che “pota il tralcio” perché “porti frutto” e che “toglie” quello sterile, richiama la figura del coltivatore, del contadino, dell’operaio e del lavoratore in genere, che spende le proprie energie per sostenere la propria famiglia col lavoro delle mani e col sudore della fronte. A questi ammirevoli e tenaci uomini dei campi e delle fabbriche, degli uffici e del commercio, desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente: ad essi addito l’esempio di san Giuseppe, che oggi la Chiesa ricorda come artigiano e come protettore dei lavoratori. Mettetevi alla sua scuola - alla scuola cioè di un uomo giusto, come lo definisce il Vangelo - che seppe armonizzare nella sua vita le esigenze del lavoro quotidiano nella sua operosa bottega di falegname con le esigenze dello spirito, della elevazione dell’animo a Dio. Abbiate anche voi una concezione alta e nobile del lavoro, inteso come collaborazione all’opera creatrice e redentrice di Dio. Un lavoro che non sia alienante e spersonalizzante e che non porti alla disgregazione della famiglia. Guardate alla vita di Nazaret, nella quale il bambino Gesù si esercitò nel lavoro umano sotto la guida vigile ed amorosa di san Giuseppe, che fungeva da padre, e di Maria Vergine, la Madre di Dio, impegnata nelle umili incombenze della vita domestica. Guardate a quella santa Famiglia, nella quale la Chiesa vede il modello di tutte le famiglie del mondo, specialmente di quelle più umili che guadagnano nel sudore e nella fatica il pane quotidiano.

La vostra famiglia sia il “santuario domestico”, una fucina di virtù, un luogo dove si impara ad amare Dio e a conoscere il Cristo, un riparo contro le ricorrenti tentazioni dell’edonismo e dell’individualismo. Non temete di porre le vostre famiglie sotto la protezione di Gesù, di Maria e di Giuseppe, affinché col loro aiuto possiate custodire sempre quei valori che hanno reso stabili i vostri focolari e ne hanno assicurato l’armoniosa crescita.

Anche a voi giovani, ragazzi e ragazze, appartenenti alle associazioni cattoliche ed ai vari movimenti ecclesiali, addito la figura silenziosa, ma eloquente di san Giuseppe, che seppe conservare durante tutta la sua vita una rettitudine ed una semplicità davvero esemplari. Siate come lui generosi e buoni.

Impegnatevi seriamente! La Chiesa e la società attendono da voi una risposta concreta.

Le opere di animazione missionaria e culturale, quelle sociali ed umanitarie attendono il vostro contributo. Non deludete questa fiducia e questa attesa!

Un pensiero ancora a quanti tra voi presenti sono ammalati, ed a quanti sono degenti negli ospedali o nelle case di cura. Carissimi fratelli, che soffrite nel corpo e nello spirito, sappiate che voi siete sempre vicini al mio cuore e che vi ricordo nella preghiera. Voi, che siete segnati dalle stigmate dell’infermità, unite le vostre sofferenze a quelle di Gesù crocifisso e risorto; offritele come sacrificio puro alla Trinità Santissima per il bene della Chiesa e dell’umanità. Darete così il vostro contributo all’opera di Cristo per la salvezza delle anime e per la conversione dei peccatori. Darete gloria a Dio e sarete stimati degni della gloria futura del paradiso.

8. Con la similitudine della vite e dei tralci il Signore vuole istruirci anche sulla viva realtà della Chiesa come comunione di fede e di amore: “Rimanete nel mio amore”, continua Gesù sviluppando ed applicando la parabola vuole cioè presentarci la Chiesa come corpo mistico, di cui egli è il capo e noi siamo le membra.

In questa misteriosa realtà la Vergine santa non è assente, anzi vi occupa un posto privilegiato e vi esercita una funzione unica, come Madre di Gesù e madre spirituale della Chiesa. La sua presenza nel cenacolo tra i discepoli del suo Figlio risorto fu sicuro punto di riferimento; e nelle prime comunità cristiane contribuì a rafforzare lo spirito di unità e di solidarietà.

La figura di Maria si inserisce perciò spontaneamente in questa liturgia, con la quale si conclude la “Peregrinatio” della sacra immagine della Madonna “ad Rupes” che in questi mesi ha richiamato innumerevoli folle al suo passaggio nelle varie parrocchie di, questa diocesi di Civita Castellana. E stata, questa, una iniziativa veramente provvidenziale nel contesto dell’anno mariano, in cui tutti i cristiani sono stati invitati a venerare e ad invocare la Madre di Gesù, la piena di grazia, la benedetta fra tutte le donne, la elettissima fra tutte le creature. È stato un momento forte per l’intera comunità diocesana, che ha aperto i cuori al dialogo con Dio e con i fratelli, al perdono e alla riconciliazione. E stato un momento di grazia che ha fatto vivere la realtà della parabola evangelica della vite e dei tralci, la quale si attua soprattutto nei sacramenti della Confessione e della Eucaristia: di quei sacramenti, cioè, che fanno sì che noi viviamo in Cristo e Cristo viva in noi in un meraviglioso scambio di doni spirituali da farci esclamare con l’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20); e ancora: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1, 21).

In questa ineffabile realtà Maria santissima risplende di luce limpidissima: viviamo in comunione con lei per giungere alla piena comunione con Cristo, il frutto benedetto del suo seno. Se finisce la “Peregrinatio”, non finisce certo la tenera devozione alla Madre di Dio, a colei che ha vissuto in sommo grado la fede, la speranza e la carità: le virtù teologali che ci uniscono a Dio e ci fanno rimanere nell’amore di Cristo. Come Maria, anche noi rimaniamo nell’amore di Cristo: “Rimanete in me ed io (rimarrò) in voi”. Amen!


L’atto di affidamento della Diocesi a Maria Santissima  

Prima che questa assemblea eucaristica si sciolga, elevo a te il mio pensiero, o Madre del Verbo Incarnato, per affidare alla tua protezione questa Chiesa di Civita Castellana, che oggi ho avuto la gioia di visitare, per confermarla nei vincoli di comunione che da sempre la legano alla Sede di Pietro. Tu conosci le antiche origini della sua fede, il vigore tante volte provato della sua speranza, le molteplici manifestazioni della sua operosa carità. Tu sai quanto profonda e sentita sia tra i suoi fedeli la devozione verso di te, la cui immagine, venerata nei templi, ha un posto d’onore in ogni casa.

A te affido, o Vergine santa, questa eletta porzione del gregge del tuo Figlio Gesù. Proteggi, o pia, il suo pastore e l’intero presbiterio, che con lui divide fatiche e gioie del sacro ministero. Sostieni religiosi e religiose nel cammino di perfezione, che hanno un giorno intrapreso aderendo all’interiore suggerimento dello Spirito e contando sul tuo materno sostegno. Suscita anche oggi nel cuore di giovani e ragazze il coraggio di osare questa scelta non comune, che, se esige sacrifici e rinunce, è anche fonte di gioia incomparabile.

Stendi il tuo manto sulle famiglie, perché non avvenga che il gelo dell’egoismo, dell’indifferenza, dell’infedeltà abbia a spegnere in esse la fiamma dell’amore, privando i figli dell’ambiente adatto per uno sviluppo sereno ed armonioso.

Con la potenza della tua intercessione, o celeste aiuto dei cristiani, ottieni che la pianta annosa di questa Chiesa, le cui radici affondano nei tempi apostolici, conosca, alle soglie del terzo millennio cristiano, una nuova rigogliosa fioritura. Il Cristo, entrato per tuo mezzo nella storia dell’umanità e fattosi nostro fratello, sia accolto, ascoltato, seguito da quanti popolano questa terra generosa. In Lui ciascuno trovi la risposta che conferma i propositi virtuosi, dà pace al cuore inquieto nei momenti difficili ed offre il sostegno per l’ultimo passo, così che ogni fedele, lasciatosi alle spalle le traversie di questa vita terrena, possa entrare, da te condotto per mano, nella gioia senza fine del cielo. Amen.

 

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