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VISITA ALLA PARROCCHIA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 21 gennaio 1990

 

“Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, siate in perfetta unione di pensieri e di intenti” (1 Cor 1, 10).

1. Raccogliamo, fratelli e sorelle, questo pressante appello dell’apostolo Paolo all’unità, nel contesto di queste prime domeniche del tempo liturgico “ordinario”, che ci riportano agli inizi della missione del nostro Salvatore.

È nella terra di Zabulon e di Neftali, la “Galilea delle genti”, immagine dell’Israele circondato dalle tenebre dell’incredulità e dell’idolatria, che Gesù comincia il suo ministero di Inviato di Dio per la salvezza del mondo. Egli appare sulla scena delle vicende umane per riunire le pecore disperse e sbandate d’Israele e farne il popolo della nuova alleanza. Egli viene come “luce”, per dissipare queste tenebre e dare forma a una nuova umanità, riunita nella pace e nella gioia.

A questo disegno di riconciliazione e di comunione sono orientate già le prime parole e i primi atti del Redentore. La venuta del Regno che in lui si compie, e quindi la realizzazione del progetto divino della comunione, passa infatti prima di tutto attraverso la conversione e l’adesione alla “buona notizia”, di cui Gesù è annunciatore. Si tratta, per l’uomo, di abbandonare la via che conduce al peccato e alla morte e di intraprendere un cammino di rinnovamento nella mentalità e nello stile di vita, al seguito di Cristo, luce del mondo, e in piena docilità al suo messaggio.

In questa prospettiva la chiamata-risposta dei primi discepoli acquista valore esemplare: è anzitutto la testimonianza concreta di chi è disponibile alla proposta e lascia tutto per seguire il Maestro, unendosi a lui; nello stesso tempo, diventa l’iniziale realizzazione di quella “convocazione” degli uomini intorno a Cristo concretamente costituita dalla Chiesa, nuovo Israele, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Di questa Chiesa infatti gli apostoli sono i primi testimoni e costruttori: “Vi farò pescatori di uomini”, dice loro Gesù (Mt 4, 19).

2. Vogliamo cogliere l’attualità di questo messaggio nella luce dell’“oggi”, che la Chiesa di Roma sta vivendo. Anzitutto della “Settimana di preghiera per l’unità”, che si svolge in questi giorni, e poi del cammino sinodale già intrapreso.

La prima conversione che i discepoli del Signore sono chiamati a realizzare aderendo a Cristo, luce di verità e parola di vita, consiste appunto nell’accoglienza della comunione come dono dello Spirito. L’amore di Cristo, che è in loro, si manifesterà di conseguenza nell’impegno a diffondere e dilatare la comunione con i fratelli, senza soffocare per questo le legittime diversità, che sono pure dono dello Spirito. Assolutizzare il ruolo di coloro che sono semplici strumenti, inseguendo maestri di sapienza umana fino a creare contrapposizioni e lacerazioni all’interno del tessuto ecclesiale, è un gravissimo attentato al disegno di comunione che Dio ha per l’umanità e soprattutto un peccato grande che divide la Chiesa, separando il corpo da Cristo che ne è il suo capo. I battezzati non sono di Paolo, di Apollo, di Cefa, ma appartengono soltanto a Cristo che è morto e risorto “per riunire i figli di Dio dispersi” (Gv 11, 52) e farne un solo corpo. Contrapporsi e dividersi significa rompere l’unità da lui voluta, ignorare il senso del suo sacrificio pasquale, compromettere l’efficacia dell’annuncio evangelico. La luce di Cristo, infatti, risplenderà sul mondo nella misura in cui le Chiese e ogni comunità cristiana daranno testimonianza di unità. Lo ha detto Gesù: “Siano una cosa sola, affinché il mondo creda” (Gv 17, 21).

3. Queste riflessioni, carissimi fratelli e sorelle, sono anche di stimolo per approfondire e sviluppare alcuni aspetti dell’impegno di comunione e di missione al quale la Chiesa di Roma, in tutte le sue articolazioni, è sollecitata con il Sinodo pastorale diocesano.

Un primo aspetto concerne il compito ecumenico, l’impegno cioè di lavorare al ristabilimento dell’unità fra i cristiani, compromessa dalle divisioni avvenute nel corso dei secoli. È stato questo uno dei principali intenti del Concilio Vaticano II ed è tuttora uno degli obiettivi fondamentali della missione ecclesiale, conseguenza naturale della visione della Chiesa come popolo di Dio, uno e unico, in cammino nella storia e in dialogo con tutti gli uomini.

La Chiesa di Dio che è in Roma, per la sua singolare identità e vocazione, è chiamata ad assumere con particolare forza e determinazione questo compito, in quanto sede del successore di Pietro, di colui cioè al quale è stato affidato in modo particolare il ministero dell’unità.

Molto cammino è stato fatto in questo senso negli ultimi tempi: sono caduti tanti pregiudizi, si è avviato un proficuo scambio teologico, si è dato più spazio alla preghiera comune. Molto cammino però rimane ancora da compiere. Deve maturare in molti cristiani una più profonda mentalità ecumenica che comporti rispetto ed accoglienza vicendevoli: devono approfondirsi l’ascolto e il dialogo reciproci, senza tuttavia indulgere a compromessi che intacchino i contenuti della fede e della morale cristiana; devono crescere le occasioni e i luoghi di incontro per camminare insieme incontro al Signore. Tutto ciò comporta un’adeguata “strategia”, nella quale il primo posto va riservato alla conversione personale, al rinnovamento spirituale e alla preghiera. Grande importanza sarà pure attribuita all’educazione ecumenica da assicurare a tutti i livelli e nelle sedi più idonee; alla messa in atto dei mezzi più opportuni per la ricerca dei valori comuni; all’amore appassionato per la verità che tutti sono chiamati a servire.

Il compito ecumenico, in tale prospettiva, non può considerarsi un’esigenza facoltativa e un impegno riservato a pochi addetti ai lavori, ma si pone come dovere di ogni cristiano e quindi come dimensione fondamentale di tutta la vita e missione della Chiesa.

4. C’è ancora un aspetto della comunione ecclesiale che merita di essere sottolineato, alla luce del messaggio biblico appena ascoltato: riguarda l’armonizzazione dei carismi personali e comunitari, con i quali lo Spirito arricchisce la Chiesa e la rende più idonea alla missione. L’unità della Chiesa non è rigida uniformità e neppure livellamento e appiattimento; è frutto piuttosto di doni ed esperienze diverse, che fanno pensare alle membra molteplici e differenti di un unico corpo. Come tale è una ricchezza da coltivare e da promuovere, nel rispetto e nella valorizzazione dei singoli carismi, che vanno tuttavia sempre finalizzati all’edificazione della comunità e al servizio che essa deve rendere agli uomini, affinché venga il regno di Dio.

Purtroppo, come ai tempi di Paolo nella Chiesa di Corinto, così anche ai giorni nostri nelle nostre comunità, può accadere che un esercizio scorretto dei carismi generi conflitto, contrapposizioni e divisioni. Ciò avviene o perché ci si chiude nel particolarismo di un piccolo gruppo, assolutizzando la propria esperienza, ovvero perché si mira più all’affermazione personale che non alla costruzione della comunità. È questa una tentazione del maligno, che tende sempre a seminare divisione nella Chiesa. Se assecondata, la tentazione può diventare un grande peccato che lacera il corpo di Cristo e arreca grave pregiudizio alla credibilità del messaggio evangelico. Bisogna guardarsi da questo pericolo, facendo sì che la vivacità dei carismi, che caratterizza anche la presente stagione ecclesiale, diventi sorgente di comunione ed espressione concreta di quell’“unità sinfonica” che nasce e si afferma mettendo insieme doni e beni elargiti dallo Spirito per il fine comune dell’evangelizzazione e della missione.

5. Auspico, carissimi fedeli della parrocchia della SS.ma Annunziata, che anche nella vostra comunità si attui tale “unità sinfonica” di carismi e di iniziative pastorali. Sono lieto di questo incontro con voi e con i vostri pastori: saluto il cardinale vicario e mons. Clemente Riva, vescovo responsabile di questo settore della città; saluto il vostro parroco, don Carmine Vitale di Maio, col coadiutore e gli altri sacerdoti e diaconi che con lui collaborano, sacerdoti non solo della parrocchia, ma anche della prefettura; saluto tutti voi, che partecipate a questa celebrazione eucaristica animandola con i vostri canti e col fervore della vostra preghiera.

Vedo qui rappresentata la realtà complessa e articolata della parrocchia: gli esponenti dei Consigli parrocchiali, i catechisti con i loro aiuti, i membri delle varie Associazioni, Gruppi, Movimenti, Équipes, Organismi, dal cui impegno dipende in notevole misura l’animazione spirituale di una comunità che conta ormai circa 35.000 abitanti.

Vi esorto a perseverare nell’adesione operosa alle iniziative intraprese sotto la guida dei vostri pastori, cercando di moltiplicare i momenti di comunione nelle celebrazioni liturgiche, negli incontri di catechesi, nelle attività caritative. È infatti in tali esperienze di comunione che si ravviva nell’animo di ciascuno la consapevolezza della chiamata ad essere annunciatore del messaggio evangelico tra fratelli.

Nella vostra testimonianza a Cristo vi guidi sempre l’ammonimento dell’apostolo Paolo, a cui ho fatto cenno all’inizio del mio dire: “Non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intento”. Tutto deve compiersi nella verità e nella carità, che è il vincolo dell’unità, vera origine e ragion d’essere della comunità e finalmente nella concretezza della Chiesa locale, “casa comune”, a cui presiede il vescovo che in essa è principio visibile e garante della comunione.

“Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”. Sì, fratelli e sorelle, chiediamo al Signore che conceda a tutti i cristiani di ritrovarsi nella casa comune, per gustare insieme la dolcezza del Signore e la gioia della comunione.

“Che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda . . .”. Amen!

 

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