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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
 (1°-9 GIUGNO 1991)

MESSA CON I CATECHISTI E CON IL MONDO DELLA SCUOLA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cattedrale di Włocławek - Giovedì, 6 giugno 1991

 

1. Sono molto lieto e ringrazio Dio, come anche gli Organizzatori e i Presenti perché sul percorso del mio pellegrinaggio si è trovata la scuola polacca: gli insegnanti e i catechisti polacchi, i pedagoghi polacchi. Saluto dunque le insegnanti e gli insegnanti, le catechiste e i catechisti laici, le suore e i fratelli religiosi, i sacerdoti. Saluto i Cardinali e i Vescovi, il Signor Ministro, i rappresentanti delle autorità scolastiche e amministrative. Questa assemblea relativamente poco numerosa è tuttavia molto rappresentativa, poiché ci sono qui anche i rappresentanti dei genitori, dei bambini e della gioventù.

Desidero vostro tramite che la parola del mio saluto giunga a tutti gli ambienti che voi rappresentate. A coloro che insegnano e a coloro che studiano, alle famiglie, alle scuole.

Ci troviamo nell’antichissima basilica dedicata all’Assunzione della Santissima Vergine Maria, in un tempio consacrato nel 1411, come ex voto per la vittoria presso Grunwald. Ricordiamo che in questa cattedrale ricevette l’ordinazione episcopale, nell’agosto del 1939, due settimane prima dello scoppio della guerra, l’esperto catechista e pedagogo, il beato Michal Kozal, il quale, durante l’occupazione nazista subì la morte per martirio per la Chiesa e per la Patria. Voglio anche richiamare alla memoria il diacono Stefan Wyszynski, affetto allora da tubercolosi, ordinato sacerdote, nel 1924, dal vescovo ausiliare Wojciech Owczarek, anch’egli affetto dalla stessa malattia. Oggi entrambi questi servitori della Chiesa sono candidati agli altari.

2. In questa cattedrale abbiamo ascoltato un attimo fa le parole dell’ultimo comando rivolto da Cristo agli apostoli di tutti i tempi: “Insegnate (a tutte le nazioni) ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (cf. Mt 28, 20). La Chiesa, compiendo la propria missione, si apre a tutti gli uomini di ogni lingua e nazione, ai bambini, alla gioventù, e agli adulti. Così è nata all’inizio e così continua alla soglia del terzo millennio l’evangelizzazione, e nel suo ambito la catechizzazione della Chiesa, varie forme di catechizzazione a seconda delle età, dell’istruzione, della professione e dell’ambiente.

Altamente significativa è la presenza qui degli insegnanti e dei catechisti venuti da tutta la Polonia, e dunque dell’ambiente raccolto intorno alla scuola, all’insegnamento e all’educazione. La gioventù e i bambini sono il futuro del mondo, sono il futuro della Nazione e della Chiesa, i giovani sono quel futuro, ma lo sono in base alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa, all’intera Nazione. Per questo anche il Concilio Vaticano II insegna che la scuola “in forza della sua missione . . . matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara la vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di indole o condizione diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca” (Gravissimum educationis, 5).

Ecco in una grande sintesi il compito della scuola, che deve istruire ed educare. Nell’assumere tale compito non basta guardare soltanto in un futuro immaginario, ma bisogna in qualche modo formarlo già ora, bisogna avere davanti agli occhi tutta la tradizione della nazione, della società, dello stato.

Qualcuno giustamente disse che le nazioni che perdono la memoria, scendono al rango delle tribù. Oggi è in corso una grande discussione sulla forma della Polonia attuale e futura, è e deve essere la discussione sulla forma della scuola polacca. Sappiamo, come era questa scuola durante le spartizioni, e più tardi sotto l’occupazione hitleriana.

È stato qui, poco lontano da qui, dove fu martoriato, per l’insegnamento della preghiera e del catechismo ai bambini nelle case private, un patriota polacco e figlio della Chiesa, F. Stryjas. Sappiamo quanto fu difficile - dal punto di vista degli interessi e dei diritti della famiglia e della nazione - la nostra scuola dopo la fine della guerra, quando divenne semplicemente il terreno di lotta ideologica, luogo della laicizzazione e di contrasto tra l’insegnamento ufficiale dello Stato e ciò che sentiva la nazione, ciò che desiderava la media famiglia polacca, specialmente una famiglia credente.

Non sono qui per far la resa dei conti. Come Pastore della Chiesa desidero piuttosto esprimere l’apprezzamento e il ringraziamento a tutti quegli educatori ed insegnanti, che in condizioni difficili, e a volte molto difficili, con la loro parola e il loro comportamento, grazie al coraggio e ad una sapiente prudenza, aiutarono in enorme misura a mantenere e a trasmettere ai giovani gli autentici valori cristiani e nazionali. Questa loro testimonianza fu e rimane particolarmente preziosa.

Per molti anni la catechesi fondamentale veniva svolta nel nostro Paese necessariamente fuori della scuola: nei centri catechistici e in locali privati organizzati dalla Chiesa. Un momento fa abbiamo udito le parole con le quali Cristo comanda alla Chiesa l’evangelizzazione di tutto il mondo, fino ai suoi estremi confini. La catechesi è una delle essenziali forme dell’annuncio della parola di Dio, per questo su tutti i cristiani poggia, naturalmente in diverso grado, il peso della responsabilità per essa. E a questo dovere corrisponde il diritto all’istruzione e alla formazione dei bambini e della gioventù secondo i princìpi della propria religione. Esso deriva dal diritto dell’uomo alla verità, alla libertà religiosa e dal diritto dei genitori all’educazione religiosa della loro prole.

3. Ed ecco, grazie ai cambiamenti che si stanno operando ultimamente nella nostra Patria, la catechesi è ritornata nelle aule scolastiche e ha trovato il suo posto e il suo riflesso nel sistema educativo.

Personalmente sono molto lieto di questo. Nello stesso tempo però desidero ripetere qui un’espressione, sovente da me usata, perché riflette la viva verità su ogni grazia e su ogni dono: vi è dato e allo stesso tempo vi è dato come compito. In questo spirito bisogna accettare questo dono in una società cristiana e così usarlo. Occorre qui molta buona volontà, sforzo, una generale benevolenza da parte di tutti: catechisti, insegnanti, autorità scolastiche, genitori, ma prima di tutto da parte dei più interessati, cioè della gioventù e dei bambini.

4. Con l’insegnamento della religione, soprattutto della religione cattolica, nella maggior parte dei Paesi europei è legato un enorme contributo di energie e mezzi da parte della Chiesa e dei singoli Stati. Bisogna rendersi consapevoli che per questo fatto come anche per la ragione che esso abbraccia la generazione giovane - bambini e giovani - e anche che il suo contenuto è l’espressione dell’atteggiamento verso la dimensione religiosa della vita umana, questo insegnamento merita di essere considerato un contributo primario alla costruzione di un’Europa fondata su quel patrimonio di cultura cristiana che è comune ai popoli dell’Ovest e dell’Est europeo .

Bisogna, nello stesso tempo, sottolineare che non è da conciliare con la verità cristiana un atteggiamento fanatico o fondamentalista “di quanti, in nome di un’ideologia che si pretende scientifica o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e del bene. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 46). Questo fatto bisogna, cari fratelli e sorelle, tenerlo a mente. L’evangelica sensibilità e vigilanza ci proteggeranno dalle emozioni e dall’agitazione che facilmente possono condurre alla xenofobia e ad una intolleranza, contrarie allo spirito del Vangelo, allo spirito di Dio che è il Creatore e il Padre che ama tutti gli uomini. La scuola, come insegna il già nominato documento del Concilio, deve escludere ogni monopolio “che contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini e anche a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società” (Gravissimum educationis, 6).

Che la scuola, dunque, ed in essa la catechizzazione - la quale ha dei propri fini ben definiti e a voi conosciuti - l’introduzione dei fedeli nella partecipazione consapevole alla vita di Dio e alla vita della Chiesa, in una fede adulta, il mostrare il senso della vita umana, il condurre alla santità mediante il consolidamento, nello Spirito Santo, del legame con Cristo nel cammino verso il Padre (cf. Gen. Instr. Cat., Notificationes, 1973, 21) - che la scuola insegni, nella Polonia libera, alle giovani generazioni (e anche a quelle adulte) che “non si acquista l’attitudine ad esercitare rettamente la libertà se non attraverso il retto uso della libertà” (Giovanni XXIII, Mater et magistra, 232).

Siano rispettati, attentamente e con saggezza, i diritti di ogni bambino e di ogni giovane alla formazione e all’espressione sul terreno della scuola della propria coscienza secondo la formazione ricevuta in famiglia, secondo l’ideologia e le personali oneste ricerche spirituali.

Vi chiedo tanto, cari Giovani, cari Genitori e Catechisti e Catechiste, di non risparmiare fatica e creatività, perché le lezioni di religione abbiano il proprio splendore e la propria freschezza, e anche quello speciale fascino, che è proprio ad esse per la natura della Rivelazione divina.

5. L’uomo giovane è sensibile alla verità, alla giustizia, alla bellezza e ad altri valori spirituali. Il giovane desidera trovare se stesso, e per questo cerca, a volte tempestosamente, i veri valori ed apprezza gli uomini che li insegnano e che secondo essi vivono. Chi di noi non ha avuto nella vita e non ricorda con riconoscenza uno di questi uomini: un sacerdote, un insegnante, un professore o un amico, che ha saputo scoprirci un mondo nuovo di valori e destare un duraturo entusiasmo per esso, o perfino dare tutto l’orientamento alla nostra vita? Nel nostro mondo, in un mondo di universale progresso e sviluppo, ma anche di un materialismo dominante, la gioventù cerca sostegno nella Chiesa, la quale forma la fede e mostra gli orizzonti dell’umanesimo cristiano.

Mi sia permesso citare ancora una volta le parole del Concilio: “È . . . meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il dovere di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento” (Gravissimum educationis, 5).

Questo vi auguro di tutto cuore. Questo auguro alla scuola polacca e alla società: a tutta la Patria.

6. Per concludere forse vale la pena di riportare ancora la testimonianza scritta negli atti per la beatificazione del già menzionato Michal Kozal, deposta a suo riguardo da Janina Glebocka, un’insegnante della stessa scuola a Bydgoszcz.

“Quel giovane sacerdote, silenzioso, di poche parole, non invadente con nessuno, in poco tempo si era conquistato il rispetto e l’amore della gioventù e del corpo docente. Durante le confessioni delle scolaresche il suo confessionale era assediato, anche se di solito le allieve e gli allievi non amano confessarsi dai loro prefetti... È per il corpo docente, tra cui non tutti erano cattolici praticanti, don Kozal era il modello di un uomo retto e di un sacerdote cattolico”.

Che questa cattedrale di Wloclawek che tanto ci parla della Chiesa, della Polonia, degli uomini che vivono in questa terra, la cattedrale che è il luogo della predicazione del vescovo e dei suoi tradizionali incontri con la gioventù e con i docenti, e che oggi ci accoglie con tutta l’ospitalità della terra di Kujawy, sia per tutti un ricordo e un incoraggiamento alla fedeltà al comando di Cristo: “Insegnate ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Dovrei concludere qui, ma non posso. Non posso, perché mi sono reso conto, entrando dapprima nel cortile, dove si trova forse la maggioranza dei partecipanti a questo incontro, e poi nella cattedrale, che cosa devo alla scuola polacca. È difficile misurarlo, è difficile valutarlo, perché lo portiamo così tanto in noi che semplicemente ci identifichiamo con questo. Siamo noi! Ciò ci è stato dato, ci è stato trasmesso, inculcato. Un uomo è se stesso attraverso la cultura. Una nazione è se stessa attraverso la cultura. Un uomo fa parte della propria nazione partecipando all’eredità della sua cultura. È un’enorme eredità, che comincia dalle prime parole ripetute da un bambino dopo sua madre, dopo i suoi genitori.

È in seguito tutto il processo educativo: la casa, la scuola, la chiesa. Quando osservo questa città, questo fiume, mi viene in mente che la data della mia nascita coincide con un periodo di grande minaccia per l’appena risorta Repubblica, il 1920. Anche qui si sono svolte battaglie decisive. Tutto ciò è stato dato a quell’uomo appena nato, il quale aveva davanti a sé un cammino di vita sconosciuto, e per quel cammino è stato preparato dalla famiglia, dalla scuola e dalla Chiesa, così come insegna Pio XI nella sua classica enciclica sull’educazione Divini illius Magistri.

Sono passato attraverso una tale scuola. Le devo moltissimo. È difficile valutare quanto. Ne ho già parlato qualche volta. Forse me ne sono reso più conto, quando mi sono trovato a Parigi, in una grande assemblea mondiale dell’Unesco, dove erano radunati i rappresentanti di numerose nazioni, vecchie e giovani, europee ed extra-europee. Dove ho potuto e ho dovuto dire, ho dovuto confessare questa verità, che una nazione, alla quale sottraevano l’indipendenza politica in un modo qualche volta brutale e violento, è rimasta se stessa grazie alla sua cultura. Ciascuno di noi e io in modo particolare porta questa eredità in se stesso. Ciò ci è tramandato dalle nostre madri e dai nostri padri, ciò ci è tramandato dalla nostra scuola. Questa eredità è cristiana, è dunque nello stesso tempo radicata nella Chiesa, nel millennio del cristianesimo polacco. È perciò che desidero oggi, qui, da questo luogo ed in occasione di questo incontro, semplicemente baciare ancora una volta le mani ai miei genitori e contemporaneamente baciarle a tutti i miei insegnanti e catechisti, che ho avuto alle elementari, alle medie e nel ginnasio fino alla maturità e che hanno posto le fondamenta al futuro dell’uomo. Oggi, quando quel futuro è diventato già una certa realtà, è difficile non guardare indietro verso quelle fondamenta ed è difficile non sentire un grande debito, debito di riconoscenza.

E forse questa testimonianza è necessaria per voi, cari signori, fratelli e sorelle, miei connazionali, che in questa nuova tappa della storia - è poco dire che vi occupate della questione della scuola polacca - rappresentate questa questione e la realizzate, ognuno a modo suo, a partire dal ministero, attraverso i provveditorati, i direttori e gli insegnanti di tutte le scuole, a tutti i livelli e di tutti i generi. Bisogna forse dare questa testimonianza, affinché sia chiara la dimensione della questione. Tale è la sua dimensione. La Chiesa - non so perché, la Chiesa - è sospettata di volere altro. La Chiesa vuole servire. È la sua vocazione. La Chiesa vuole servire, vuole servire l’uomo, vuole servire la società. Chiedo ai miei antichi professori, ai miei defunti insegnanti di religione, di accettare, nella comunione dei santi, questo ringraziamento che faccio a loro oggi, ringraziamento fatto da uno dei loro alunni, fatto dal Papa polacco. Benedico di cuore voi, le vostre Famiglie e i vostri ambienti in tutta la Polonia.



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