SOLENNE MESSA GIUBILARE SULLA TOMBA DELL'APOSTOLO PIETRO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 10 novembre 1996
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” (Sal 115[116], 13).
1. Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
carissimi Sacerdoti!
Siamo oggi riuniti in questa Basilica di san Pietro per ricordare quel momento solenne di cinquant’anni fa, quando con trepidazione prendemmo per la prima volta nelle nostre mani il “calice della salvezza”.
È il calice che viene a noi dal Cenacolo. Lo abbiamo ereditato da Cristo stesso, Unico ed Eterno Sacerdote, attraverso la mediazione di un successore degli Apostoli. Quel calice stringemmo allora nelle nostre mani, rivivendo l’atmosfera carica di mistero dell’Ultima Cena.
Proprio a quell’evento, dolcissimo e insieme drammatico, ci rimanda l’odierno brano del Vangelo di Luca, che riporta le parole di Cristo: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più finché essa non si compia nel Regno di Dio” (Lc 22, 15-16).
Quell’evento decisivo perennemente presente e contemporaneo per ogni generazione
2. Gesù sa di trovarsi ormai sulla soglia del suo Sacrificio - di quel Sacrificio redentore che si compirà in modo cruento una sola volta nella storia. Egli vuole, tuttavia, che quell’evento decisivo resti perennemente presente, così che ogni generazione umana sulla faccia della terra possa sentirlo in qualche modo a sé contemporaneo. Per questo nel Cenacolo, la sera del Giovedì Santo, Egli prende il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezza e lo dà ai discepoli dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19). Dopo la cena fa lo stesso col calice: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22, 20). Prendete e mangiatene tutti. Prendete e bevetene tutti (cf. Mt 26, 26-28).
Gli Apostoli ricevono dalle stesse mani di Cristo il suo Corpo sotto la specie del pane e il suo Sangue sotto quella del vino. Ecco! Si compie così la prima e originaria consacrazione eucaristica. Ecco! Gli Apostoli si trovano davanti al grande mistero della fede che, in quel momento, il giorno prima del Venerdì Santo, essi ancora non possono capire fino in fondo, ma che, di lì a poco, comprenderanno con trepida consapevolezza ed accetteranno con devozione umile e grata.
Perché questa interiore comprensione potesse maturare in loro Cristo, dopo la sua risurrezione ed ascensione al cielo, - lo sappiamo bene - nel giorno della Pentecoste inviò agli Apostoli lo Spirito Santo. Illuminati e corroborati dai suoi doni, essi compresero e fecero proprio il mistero di redenzione che s’era compiuto nel Cenacolo: il mistero dell’Eucaristia. Lo Spirito Santo li rese definitivamente capaci di celebrare con le debite disposizioni interiori il Sacrificio eucaristico.
Misticamente partecipi dell’Ultima Cena
3. Ciò che avvenne negli Apostoli, si è attuato anche in noi, che abbiamo ereditato da loro il sacerdozio ministeriale. Ogni giorno, quando ci presentiamo all’altare e, dopo il Prefazio, pronunciamo le parole della Preghiera eucaristica: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità” (Preghiera Eucaristica II), noi riviviamo l’esperienza del Cenacolo. In modo misterioso ma vero, anche noi diveniamo misticamente partecipi dell’Ultima Cena quando, nell’imporre le mani sopra il pane e il vino, chiediamo: “Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore” (Ivi).
È dunque lo Spirito Santo a far sì che i doni umani del pane e del vino diventino, come allora nel Cenacolo, il Corpo e il Sangue di Cristo. Molto opportunamente, pertanto, l’odierna liturgia ci ricorda il simbolo dell’unzione, di cui parla il profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1).
Servitori del mistero della redenzione
4. Cinquant’anni fa, nell’ordinarci sacerdoti, il Vescovo unse le nostre mani, per esprimere che proprio le mani di quei giovani, che allora noi eravamo, sarebbero diventate uno strumento privilegiato di Cristo, Sommo Sacerdote. Con quelle mani, infatti, i nuovi sacerdoti avrebbero tenuto prima il pane sacrificale e, poi, il calice colmo di vino. Su di essi - sul pane e sul vino - avrebbero pronunciato le stesse parole dette da Cristo nel Cenacolo, compiendone la consacrazione e trasformandone la sostanza nel Corpo e nel Sangue di Lui.
È così che, per opera del Sacerdote, l’assemblea dei fedeli, nella celebrazione di questo grande mistero della fede, riceve sotto le specie del pane e del vino il grande Sacramento della redenzione del mondo.
Ciascuno di noi, cari e venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, sa di essere, sull’esempio di Cristo, servitore del mistero della redenzione. Durante l’Ultima Cena Cristo lavò i piedi agli Apostoli, per manifestare che Egli stesso, per primo, intendeva restare in mezzo a loro innanzitutto come “colui che serve” e che, per questo, anch’essi erano chiamati a servire tutti i loro fratelli. Il sacerdozio, che ricevevano dalle mani del Redentore, - anche questo gli Apostoli avrebbero poco a poco capito - era un sacerdozio ministeriale.
Proprio Pietro aveva diritto di dire così; anzi: doveva dire così.
5. In questa liturgia abbiamo ascoltato anche le parole che l’apostolo Pietro rivolgeva agli anziani, cioè ai presbiteri, che è come dire a tutti noi. Egli così scriveva: “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1 Pt 5, 1-4).
Queste parole scriveva Pietro, l’apostolo che aveva attraversato una particolare prova di fede: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31-32).
Come è chiara, nelle successive parole dell’odierna lettura, l’eco della sofferta esperienza compiuta la notte del Giovedì Santo! L’apostolo Pietro scriveva: “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1 Pt 5, 6-9). Proprio Pietro, rafforzato dall’esperienza compiuta e dalla preghiera di Gesù, aveva diritto di dire così; anzi: doveva dire così. Egli esprimeva con queste parole la coscienza della propria fragilità e insieme della chiamata al ministero e, al tempo stesso, tracciava il programma di impegno e di ascesi di ogni esistenza sacerdotale.
Il caloroso grazie del Successore di Pietro
6. “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”. Venerati e cari Fratelli, oggi il Successore di Pietro, come un tempo lo stesso Apostolo, prende il calice della salvezza e celebra il Sacrificio eucaristico nel cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio.
Vi saluto tutti con grande affetto. Il mio pensiero va, in special modo, al Cardinale Bernardin Gantin, Decano del Collegio cardinalizio, che ringrazio di cuore per le cortesi espressioni augurali rivoltemi poc’anzi a nome di tutti. Con lui saluto gli altri Cardinali, riservando un particolare pensiero a quelli fra loro che celebrano il giubileo sacerdotale. Estendo il mio cordiale saluto a tutti voi, carissimi Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, che ricordate quest’anno il cinquantesimo anniversario della vostra Ordinazione.
A voi che siete raccolti in questa patriarcale Basilica per festeggiare una così significativa ricorrenza; a voi che qui rappresentate la Chiesa di Roma e la Chiesa sparsa su tutta la terra, il Successore di Pietro esprime il proprio caloroso grazie. Nel celebrare insieme l’unico Sacrificio di Cristo, noi testimoniamo la stessa fede eucaristica, grati per il dono fattoci da Dio quando, cinquant’anni fa, ci chiamò a svolgere il ministero sacerdotale in favore del Popolo di Dio presente nel mondo intero.
Mi è spontaneo, in questa solenne Celebrazione, evocare il motto del mio pontificato “Totus Tuus”, per affidare alla Madre di Cristo Sacerdote questa nostra Comunità giubilare. Che Maria rimanga accanto a ciascuno di noi nell’ulteriore cammino della nostra vita e del nostro ministero!
Regina degli Apostoli, Madre dei Sacerdoti, prega per noi!
Amen!
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