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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL CARDINALE EDWARD IDRIS CASSIDY

 

A Sua Eminenza il Cardinale Edward Idris Cassidy
Presidente del Pontificio Consiglio
per l’Unione dei Cristiani

Sta per partecipare al sesto incontro di preghiera per la pace che segue la Giornata mondiale che ho voluto celebrare ad Assisi nel 1986. Sono felice di incaricarla di portare ai rappresentanti delle Chiese, delle Comunità ecclesiastiche e delle grandi religioni mondiali il mio cordiale saluto al termine del loro incontro di riflessione e di preghiera a Bruxelles.

Molti tra loro sono venuti da terre lontane, ma si sono fatti pellegrini per una comune aspirazione alla pace. È un profondo movimento interiore, fondato sulle nostre esperienze religiose, che ci spinge ad essere degli artefici di pace. “Beati gli operatori di pace”, dice Gesù (Mt 5, 9).

Voglio ringraziare tutti coloro che partecipano a queste giornate, e in particolare la comunità di Sant’Egidio, per aver mantenuto vivo lo spirito dell’incontro di Assisi, specialmente nelle celebrazioni che si sono succedute di anno in anno; anch’io, all’indomani della memorabile giornata di Assisi, ho sentito la necessità di proseguire in questa direzione: “Continuiamo a diffondere il messaggio di pace. Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi”. Sono felice di vedere che il cammino cominciato quel giorno continua, passando attraverso altre città e trascinando sempre più uomini e donne di diverse tradizioni religiose.

Quest’anno, nel Messaggio per la XXV Giornata mondiale della Pace, ho voluto riprendere e sottolineare questo impegno, convinto che “noi abbiamo inaugurato un cammino comune che deve continuare, senza evidentemente escludere la ricerca di altre vie e di nuovi mezzi per una pace solida, edificata su fondamenti spirituali” (n. 3). Ecco perché desidero partecipare spiritualmente a questo pellegrinaggio di pace e dargli il mio sostegno soprattutto attraverso la preghiera.

L’anno scorso il raduno si è svolto a Malta, nel cuore del Mediterraneo; quest’anno, questo pellegrinaggio ha come meta Bruxelles, per raggiungere il cuore dell’Europa. Questa Europa, anche se ha visto aprirsi una nuova era di libertà e anche se una forte aspirazione all’unità si manifesta in modo diverso, è oggi tormentata da divisioni esasperate, dalla recrudescenza di certi nazionalismi, dalla tentazione del ripiegamento su se stessa, attraverso un processo di sviluppo che fa della concorrenza la sua legge suprema, e soprattutto è affossata ancora una volta dal dramma di una guerra assurda e crudele che ci angoscia profondamente.

Ma non sarà possibile costruire un’Europa nuova, una dimora comune europea, senza preoccuparci di tutto il pianeta, bene comune dell’umanità. Si potrebbe dire che la condizione perché l’Europa possa costruire il suo avvenire è di essere capace di guardare al di là delle sue frontiere, soprattutto verso l’immenso emisfero sud, diventato da decenni il terreno dove nascono i più frequenti conflitti e dove l’ingiustizia pesa in un modo non più sopportabile. Nelle sue molteplici forme, il sottosviluppo costituisce una minaccia grandissima per la pace. L’abisso sociale ed economico che separa i paesi poveri del Sud deve essere colmato, se non si vuole rendere impossibile un nuovo ordine mondiale.

Sarebbe opportuno che l’incontro di Bruxelles approfondisca il tema: “La religione e la solidarietà tra i popoli”. Come uomini di religione, non abbiamo responsabilità diretta nell’ordine della politica e dell’economia; talvolta ci è chiesto di lavorare senza sosta per riavvicinare i popoli, per far comprendere a tutti il grave compito della solidarietà.

Questi incontri di preghiera stessi, che manifestano la solidarietà dei credenti di religioni diverse e la testimoniano agli occhi del mondo, sono un esempio e uno sprone affinché si avanzi più risolutamente verso la solidarietà tra popoli diversi. Le religioni, oggi ancor più che nel passato, devono capire il loro compito storico di lavorare per l’unità della famiglia umana.

La preghiera fatta fianco a fianco, senza cancellare le differenze, mostra un legame profondo che fa di noi tutti degli umili cercatori di pace volti verso Colui che solo può donarla agli uomini. Nel mio ultimo messaggio per la Giornata mondiale della Pace, ho detto che si deve “riaffermare la necessità di una preghiera intensa e umile, fiduciosa e perseverante, se si vuole che il mondo diventi finalmente una dimora di pace . . . La preghiera è il vincolo che più efficacemente ci unisce: grazie ad essa, i credenti si incontrano laddove diseguaglianze, incomprensioni, rancori e ostilità sono superati, cioè davanti a Dio, Signore e Padre di tutti. Essa, in quanto espressione autentica del retto rapporto con Dio e con gli altri, è già un apporto positivo alla pace” (Messaggio per la XXV Giornata mondiale della Pace).

Ora che in tanti luoghi si vuole mostrare il disumano strepito della guerra, il nostro mondo ha bisogno che si alzi con forza la voce dei credenti, che diventano gli intercessori della pace. La preghiera di queste giornate si unisce al grido degli oppressi e all’aspirazione di milioni di uomini e di donne che vogliono vivere nella pace e nella sicurezza.

Vescovo di Roma. credente in quel Gesù che l’Apostolo Paolo chiama “nostra pace” (Ef 2, 14), posso confermare l’impegno della Chiesa cattolica per costruire la pace, per strappare ogni radice di violenza nelle mentalità, per favorire in ogni modo la soluzione dei conflitti attraverso il dialogo, e per educare giovani e adulti, uomini e donne a una pace fondata non solo sul mutuo rispetto ma sulla stima reciproca e sulla solidarietà.

Quest’opera, nella quale i credenti sono impegnati insieme, risponde all’attesa del mondo intero.

Eminenza, le affido il compito di trasmettere queste riflessioni ai partecipanti dell’incontro e di esprimere i mio saluto deferente e cordiale alle autorità del paese che vi accoglie, così come ai fedeli delle Chiese, della Comunità ecclesiali e delle altre religioni venuti a Bruxelles, augurandomi che tutti ne raccolgano frutti abbondanti. Alzo a Dio la mia preghiera, affinché Egli accordi all’Europa e al mondo intero di entrare in una nuova era di pace e di solidarietà.

Dal Vaticano, 10 settembre 1992.

IOANNES PAULUS PP. II

 

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