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DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLO SRI LANKA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

Sabato, 5 aprile 1979

 

Cari Fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.

Ritrovandoci nell’unità dell’Episcopato, il nostro pensiero si rivolge spontaneamente a Cristo. Noi siamo sicuramente consapevoli dell’urgenza che riempie il nostro animo, espresso nelle parole: “Bisogna che io annunci la Buona Novella del Regno di Dio... poiché sono stato mandato per questo” (Lc 4,43).

Riflettendo su questa missione di Cristo, noi comprendiamo la natura evangelizzatrice della sua Chiesa; e allo stesso tempo otteniamo una nuova capacità di penetrare il senso della nostra missione di Vescovi che annunciano la parola di Dio. Al centro della Buona Novella che noi proclamiamo c’è il grande mistero della Redenzione e precisamente la persona del Redentore. Tutti i nostri sforzi come Pastori della Chiesa sono diretti a far meglio conoscere ed amare il Redentore. Noi troviamo la nostra identità di Vescovi nel predicare “le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8), e trasmettendo il suo salvifico messaggio-rivelazione.

L’assoluta fedeltà allo speciale compito di evangelizzazione connesso al nostro ufficio episcopale diviene lo scopo della nostra vita quotidiana. Le seguenti parole della mia recente Enciclica si rivolgono soprattutto ai Vescovi: “Sentiamo profondamente il carattere impegnativo della verità che Dio ci ha rivelato. Avvertiamo in particolare il grande senso di responsabilità per questa verità. La Chiesa, per istituzione di Cristo, ne è custode e maestra, essendo appunto dotata di una singolare assistenza dello Spirito Santo, perché possa fedelmente custodirla ed insegnarla nella sua più esatta integrità” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 12).

Per questo motivo noi intendiamo conservare la purezza della fede cattolica; noi vigiliamo che il contenuto dell’evangelizzazione corrisponda al messaggio predicato da Cristo, trasmesso dagli Apostoli e sancito dal Magistero della Chiesa nei secoli. Giorno dopo giorno noi parliamo al nostro popolo del nome, della predicazione, della vita, delle promesse, del Regno e del mistero di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio. Noi proclamiamo chiaramente ed esplicitamente davanti al mondo intero che la salvezza è un dono di Dio, della sua grazia e misericordia, offerto a tutti in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che morì e risuscitò dai morti. Noi predichiamo una salvezza trascendente ed escatologica iniziata nel tempo, ma il cui compimento ha luogo nell’eternità.

Allo stesso tempo questa evangelizzazione comporta un messaggio esplicito sui diritti e i doveri di ogni essere umano. Il messaggio del Vangelo è necessariamente legato al progresso umano, sotto i due aspetti dello sviluppo e della liberazione, poiché non è possibile proclamare il nuovo comandamento dell’amore di Cristo, senza promuovere il benessere dell’uomo nella giustizia e nella pace.

I nostri sforzi, inoltre, volti a portare questo messaggio universale nella vita di tutte le comunità ecclesiali, e a tradurlo in una lingua facilmente comprensibile, devono essere fatti in piena sintonia con l’intera Chiesa, perché sappiamo che se si adultera il contenuto del Vangelo con il pretesto di adattarlo, viene dissipata la sua forza. La nostra è una enorme responsabilità, ma la affrontiamo con serenità e fiducia, convinti come siamo che lo Spirito di verità, secondo la promessa del Signore, ci guida se noi restiamo fedeli alla comunione della Chiesa di Cristo.

È importante notare che nel grande trattato sulla evangelizzazione di Paolo VI si sottolinea che l’efficacia della evangelizzazione dipende dalla santità della vita (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 21, 26, 41, 76). Il Vangelo deve essere proclamato con la testimonianza di una vita cristiana vissuta nella fedeltà al Signore Gesù. Proprio in quanto tutte le categorie di persone nella Chiesa sono invitate a prendere parte al compito dell’evangelizzazione, tutti si sentano seriamente esortati alla vera santità della vita.

Riflettendo sull’evangelizzazione è bene soffermarsi sull’unità che Gesù è venuto a porre in essere. Trasmettendo ai suoi discepoli le parole consegnategli dal Padre, Gesù pregò perché essi fossero veramente uniti (cf. Gv 17,8.11). Con il suo Vangelo, Cristo superò la divisione del peccato e dell’umana debolezza, riconciliandoci con il Padre, e lasciandoci in consegna il suo nuovo comandamento dell’amore. Egli doveva morire per “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52).

Questa unità tra noi e tra i nostri popoli è la prova della nostra discepolanza, è l’indicatore della nostra fedeltà a Gesù. L’unità alla quale siamo invitati è una unità di fede e di amore, che supera le divisioni interne e quelle umane. L’unità garantita da Gesù assicura anche l’efficacia della nostra testimonianza verso il mondo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Lo stesso Cristo evangelizzatore ci rivela che egli deve proclamare la Buona Novella e anche che “il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mt 20,28). Cristo invita noi, sue membra, a condividere il suo servizio regale; Cristo chiama la sua Chiesa a servizio dell’uomo. Ho anche cercato di sottolineare questo elemento nella Redemptor Hominis: “La Chiesa, che è animata dalla fede escatologica, considera questa sollecitudine per l’uomo, per la sua umanità, per il futuro degli uomini sulla terra e, quindi, anche per l’orientamento di tutto lo sviluppo e del progresso, come un elemento essenziale della sua missione, indissolubilmente congiunto con essa. Ed al principio di questa sollecitudine essa lo trova in Gesù Cristo stesso, come testimoniano i Vangeli” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15).

Volendo esprimere la sua comprensione del Vangelo, la Chiesa si mobilita con rinnovata carità a servizio del mondo. Si impegna liberamente con tutti i suoi membri ad esercitare la carità di Cristo. Uno dei maggiori servizi che i cristiani possono compiere è amare i loro fratelli con lo stesso amore con cui essi per primi furono amati: un amore personale che si manifesta nella comprensione, nella compassione, nella sensibilità ai bisogni e nel desiderio di comunicare l’amore del cuore di Cristo. Parlando della dimensione umana della Redenzione, ho scritto: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Ivi, 10).

Comprendere questo significa subito constatare che c’è uno spazio immenso nel mondo per la carità di Cristo. Il servizio del nostro amore non ha limiti. Siamo costantemente chiamati a fare di più, a servire di più, ad amare di più!

Cari Fratelli, oltre a questa breve riflessione sulla evangelizzazione, molte altre cose vorrei esaminare con voi per potervi incoraggiare nella vostra missione pastorale, perché voi possiate incoraggiare i vostri sacerdoti, religiosi, seminaristi e laici. Ma sono certo che nella nostra stessa comunione ecclesiale voi troverete la forza e l’ispirazione per proseguire il vostro ministero, per edificare, con la potenza dello Spirito Santo, le comunità dei fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

Vi raccomando all’intercessione di Maria, la Vergine Immacolata, Madre di Dio; a lei chiedo di sostenervi nella fedeltà e nella letizia. Con voi imparto la mia Benedizione Apostolica alle vostre popolazioni, nelle chiese e nelle famiglie dello Sri Lanka – “la perla dell’Oceano Indiano” – ai vecchi e ai giovani, a chi soffre e a chi è bisognoso. Il mio amore è con tutti voi, in Gesù Cristo e nel suo Vangelo.



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