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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE 

DISCORSO AL CORPO DIPLOMATICO*

Brasilia, 30 giugno 1980

 

Eccellenze, signore, signori.

Sono molto felice di incontrare, in questa prima giornata trascorsa nella capitale brasiliana, i capi e i membri delle missioni diplomatiche accreditate presso il governo di questo paese. Vi ringrazio vivamente di essere venuti questa sera a questo appuntamento con il Papa, che ha egli pure dei rappresentanti nella maggior parte dei vostri paesi.

Esprimendo a tutti e a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, penso pure a tutte le nazioni di cui siete figli e che voi rappresentate presso il Brasile. Ed è a tutti questi popoli nel continente americano e negli altri continenti che io esprimo la stima e i voti sinceri della Chiesa; la quale si afferma cattolica, ossia universale, aperta a tutte le società umane di cui essa si augura il fiorire originale, grazie allo sviluppo di ciò che vi è di meglio nei loro paesi, nella loro cultura, negli uomini stessi.

Il vostro compito di diplomatici trova posto tra i nobili mezzi che concorrono all’avvicinamento dei popoli, alla loro stima reciproca e alla loro intesa, ai loro scambi, alla loro collaborazione culturale o economica, in una parola alla pace.

La vita diplomatica è una vita di saggezza nel senso ch’essa punta sulla facoltà degli uomini di buona volontà ad ascoltarsi, a comprendersi, a trovare delle soluzioni negoziate, a progredire insieme, in luogo di venire a degli scontri. Oggi più che mai, i problemi della pace, della sicurezza, dello sviluppo non si limitano alle relazioni bilaterali: si tratta di un insieme complesso in cui ciascun paese deve portare il suo contributo al miglioramento delle relazioni internazionali, non soltanto per evitare i conflitti o diminuire le tensioni, ma per far fronte in modo solidale ai grandi problemi dell’avvenire dell’umanità che ci toccano tutti.

È qui è necessario augurarsi che ciascun uomo, in modo particolare i responsabili delle nazioni e quindi i loro rappresentanti, abbiano delle convinzioni, dei principi, atti a promuovere il bene vero delle persone e dei popoli, all’interno della comunità internazionale. È questo che vuole testimoniare anche la santa Sede nel portare al livello delle coscienze il suo contributo specifico.

Nel quadro di questo breve incontro io non posso che limitarmi a richiamare questi principi di pace interna e di pace esterna. Può sembrare banale sottolineare che ogni paese ha il dovere di preservare la sua pace e la sua sicurezza interna. Ma esso deve in qualche modo “meritare” questa pace, assicurando il bene comune di tutti e il rispetto dei diritti. Il bene comune di una società esige che questa sia giusta. Là dove manca la giustizia, la società è minacciata dall’interno. Questo non vuol dire che le trasformazioni necessarie per indurre una maggiore giustizia debbano realizzarsi nella violenza, nella rivoluzione, nello spargimento di sangue, poiché la violenza prepara una società di violenza e questo, noi cristiani, non possiamo sottoscriverlo. Ma questo vuol dire che ci sono delle trasformazioni sociali, a volte profonde, da realizzare costantemente, progressivamente, con efficacia e realismo, per mezzo di riforme pacifiche.

Tutti i cittadini partecipano di questo dovere, ma evidentemente a un titolo particolare quelli che esercitano il potere, perché questo è al servizio della giustizia sociale. Il potere ha il diritto di mostrarsi forte di fronte a quelli che coltivano un egoismo di gruppo, a danno dell’insieme. Esso deve in ogni modo mostrarsi a servizio degli uomini, di ogni uomo, e innanzitutto di quelli che hanno più bisogno di sostegno; la Chiesa, da parte sua, si sforzerà senza posa di ricordare la preoccupazione dei “poveri”, di quelli che sono in qualche modo svantaggiati. In nessun caso il potere può permettersi di violare i diritti fondamentali dell’uomo, ed io non ho bisogno di enumerare qui quelli che io ho spesso ricordato, in particolare nel mio discorso del 2 ottobre dell’anno scorso davanti alle Nazioni Unite.

Nei confronti degli altri paesi, si deve riconoscere a ciascuna nazione il diritto di vivere di pace e sicurezza, sul suo proprio suolo, senza subire delle ingiuste minacce esterne, siano esse di ordine militare, economico o ideologico. Questo punto di capitale importanza dovrebbe trovare d’accordo tutti gli uomini di buona volontà, e, oserei dire, in primo luogo dei diplomatici. Ma non basta la non-ingerenza; perché essa vorrebbe dire soltanto indifferenza per la sorte dei popoli che la natura o le circostanze storiche hanno sfavorito al punto che oggi un gran numero dei loro figli mancano del minimo necessario per una degna vita umana, si tratti di pane, d’igiene o di istruzione. C’è una solidarietà internazionale da promuovere. Se ne parla molto, ma la realizzazione è troppo ristretta o gravata da condizioni donde viene il peso di nuove minacce. La pace, qui, passa attraverso uno sviluppo solidale, e non attraverso l’accumulazione delle armi della paura, o delle spinte di rivolta, come io ho ricordato recentemente all’Unesco.

È ponendoci costantemente davanti a questo compito mondiale di pace nella giustizia e nello sviluppo che noi troveremo le parole e i gesti che, a poco a poco, costruiranno un mondo degno dell’uomo, quello che Dio vuole per gli uomini, e di cui egli affida loro la responsabilità illuminando la loro coscienza. È la fiducia che ho in voi, cari diplomatici, che mi ha spinto a condividere con voi questo ideale. Che Dio vi ispiri e vi benedica! Ch’egli benedica le vostre famiglie! Ch’egli benedica e protegga le vostre patrie! Ch’egli guidi la comunità internazionale sul cammino della pace e della fratellanza!



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