DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL III CONGRESSO
MONDIALE DEGLI ISTITUTI SECOLARI
Castel Gandolfo - Sala degli Svizzeri
Martedì, 28 agosto 1984
Fratelli e sorelle!
1. Godo veramente nell’incontrarvi ancora una volta, in occasione del congresso mondiale degli istituti secolari, convocato per trattare il tema: “Obiettivi e contenuti della formazione dei membri degli istituti secolari”.
È il secondo incontro che ho con voi, e nei quattro anni intercorsi dal precedente non sono mancate le occasioni perché io rivolgessi la parola a questo o a quell’istituto.
Ma c’è stata una particolare circostanza, nella quale ho parlato di voi e per voi. Lo scorso anno, a conclusione della riunione plenaria della quale la Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari ha trattato dell’identità e della missione dei vostri istituti, ho raccomandato, tra l’altro, ai pastori della Chiesa di “favorire tra i fedeli una comprensione non approssimativa o accomodante, ma esatta, e rispettosa delle caratteristiche qualificanti” degli istituti secolari (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio plenario coetui Sacrae Congregationis pro Religiosis et Institutis Saecularibus habita, 3, die 6 maii 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 1163). E ho anche toccato un punto che rientra nell’argomento della formazione, da voi affrontato in questi giorni: da una parte esortando gli istituti secolari a rendere più intensa la loro comunione ecclesiale; e d’altra parte ricordando ai vescovi che essi hanno la responsabilità di “offrire agli istituti secolari tutta la ricchezza dottrinale di cui hanno bisogno”(Ivi, 1164).
Mi è caro oggi rivolgermi direttamente a voi, responsabili degli istituti e incaricati della formazione, per confermare l’importanza e la grandezza dell’impegno formativo. È un impegno primario, inteso sia in ordine alla propria formazione di tutti gli appartenenti all’istituto, con particolare cura nei primi anni, ma con oculata attenzione anche in seguito, sempre.
2. Anzitutto e soprattutto vi esorto a rivolgere uno sguardo al Maestro divino, onde attingere luce per tale impegno.
Il Vangelo può essere letto anche come resoconto dell’opera di Gesù nei confronti dei discepoli. Gesù proclama sin dall’inizio il “lieto annuncio” dell’amore paterno di Dio, ma poi insegna gradualmente la profonda ricchezza di questo annuncio, rivela gradualmente se stesso e il Padre, con infinita pazienza, ricominciando se necessario: “Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto?” (Gv 14,9). Potremmo leggere il Vangelo anche per scoprire la pedagogia di Gesù nel dare ai discepoli la formazione di base, la formazione iniziale. La “formazione continua” - come viene detta - verrà dopo, e la compirà lo Spirito Santo, che porterà gli apostoli alla comprensione di quanto Gesù aveva loro insegnato, li aiuterà ad arrivare alla verità tutta intera, ad approfondirla nella vita, in un cammino verso la libertà dei figli di Dio (cf. Gv 14, 26; Rm 8, 14ss.).
Da questo sguardo su Gesù e la sua scuola viene la conferma di un’esperienza che tutti facciamo: nessuno di noi ha raggiunto la perfezione alla quale è chiamato, ciascuno di noi è sempre in formazione, è sempre in cammino. Scrive san Paolo che il Cristo deve essere formato in noi (cf. Gal 4, 19), così come siamo in grado di “conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3, 19). Ma questa comprensione non sarà piena che quando saremo nella gloria del Padre (cf. 1 Cor 13, 12). È un atto di umiltà, di coraggio e di fiducia questo sapersi sempre in cammino, che trova riscontro e insegnamento in molte pagine della Scrittura. Ad esempio: il cammino di Abramo dalla sua terra alla meta a lui sconosciuta cui Dio lo chiama (cf. Gen 12, 1ss.); il peregrinare del popolo di Israele dall’Egitto alla terra promessa, dalla schiavitù alla libertà (cf. Esodo); lo stesso ascendere di Gesù verso il luogo e il momento in cui, innalzato da terra, tutto attirerà a sé (cf. Gv 12, 32).
3. Atto di umiltà, dicevo, che fa riconoscere la propria imperfezione; di coraggio, per affrontare la fatica, le delusioni, le disillusioni, la monotonia della ripetizione e la novità della ripresa; soprattutto di fiducia, perché Dio cammina con noi, anzi: la Via è Cristo (cf. Gv 14, 6), e l’artefice primo e principale di ogni formazione cristiana è, non può essere altri che lui. Dio è il vero formatore, pur servendosi di occasioni umane; “Signore, Padre nostro tu sei, noi siamo creta e tu colui che ci dà forma, e noi tutti siamo opera delle tue mani” (Is 64, 7).
Questa convinzione fondamentale deve guidare l’impegno sia per la propria formazione sia per il contributo che si può essere chiamati a dare alla formazione di altre persone. Mettersi con atteggiamento giusto nel compito formativo, significa sapere che è Dio che forma, non siamo noi. Noi possiamo e dobbiamo diventare un’occasione e uno strumento, sempre nel rispetto dell’azione misteriosa della grazia.
Di conseguenza l’impegno formativo su di noi e su chi ci è affidato è orientato sempre, sull’esempio di Gesù, alla ricerca della volontà del Padre: “Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 5, 30). La formazione infatti, in ultima analisi, consiste nel crescere nella capacità di mettersi a disposizione del progetto di Dio su ciascuno e sulla storia, nell’offrire consapevolmente la collaborazione al suo piano di redenzione delle persone e del creato, nel giungere a scoprire e a vivere il valore di salvezza racchiuso in ogni istante: “Padre nostro, sia fatta la tua volontà” (Mt 6, 9-10).
4. Questo riferimento alla divina volontà mi porta a richiamare un’indicazione che già vi ho dato nel nostro incontro del 28 agosto 1980: in ogni momento della vostra vita e in tutte le vostre attività quotidiane deve realizzarsi “una disponibilità totale alla volontà del Padre, che vi ha posti nel mondo e per il mondo” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio iis qui coetui Conferentiae Mundialis Institutorum Saecularium Romae habito affuere in Arce Gandulfi coram admissis, habita, 4, die 28 aug. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 472). E questo - vi dicevo inoltre - significa per voi una particolare attenzione a tre aspetti che convergono nella realtà della vostra specifica vocazione, in quanto membri di istituti secolari.
Il primo aspetto riguarda il seguire Cristo più da vicino sulla via dei consigli evangelici, con una donazione totale di sé alla persona del Salvatore per condividerne la vita e la missione. Questa donazione, che la Chiesa riconosce essere una speciale consacrazione, diventa anche contestazione delle sicurezze umane quando siano frutto dell’orgoglio; e significa più esplicitamente il “mondo nuovo” voluto da Dio e inaugurato da Gesù (cf. Lumen Gentium, 42; Perfectae Ccaritatis, 11).
Il secondo aspetto è quello della competenza nel vostro campo specifico, per quanto esso sia modesto e comune, con la “pienezza di coscienza dalla propria parte nell’edificazione della società” (Apostolicam Actuositatem, 13) necessaria per “servire con maggiore generosità ed efficacia” i fratelli (Gaudium et Spes, 93). La testimonianza sarà così più credibile: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).
Il terzo aspetto si riferisce a una presenza trasformatrice nel mondo, cioè a dare “un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (Gaudium et Spes, 34), animando e perfezionando l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico, agendo dall’interno stesso di queste realtà (cf. Lumen Gentium, 31; Apostolicam Actuositatem, 7.16.19).
Vi auspico, come frutto di questo congresso, di continuare nell’approfondimento, soprattutto mettendo in atto i sussidi utili per porre l’accento formativo sui tre aspetti accennati, e su ogni altro aspetto essenziale, quali ad esempio l’educazione alla fede, alla comunione ecclesiale, all’azione evangelizzatrice: e tutto unificando in una sintesi vitale, proprio per crescere nella fedeltà alla vostra vocazione e alla vostra missione, che la Chiesa stima e vi affida, perché le riconosce rispondenti alle attese sue e dell’umanità.
5. Prima di concludere vorrei ancora sottolineare un punto fondamentale: cioè che la realtà ultima, la pienezza, è nella carità, “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4, 16). Anche lo scopo ultimo di ogni vocazione cristiana è la carità; negli istituti di vita consacrata, la professione dei consigli evangelici ne diventa la strada maestra, che porta a Dio sommamente amato e porta ai fratelli, chiamati tutti alla filiazione divina.
Ora, all’interno dell’impegno formativo, la carità trova espressione e sostegno e maturazione nella comunione fraterna, per diventare testimonianza e azione.
Ai vostri istituti, a motivo delle esigenze di inserimento nel mondo postulate dalla vostra vocazione, la Chiesa non richiede quella vita comune che è propria invece degli istituti religiosi. Tuttavia essa richiede una “comunione fraterna radicata e fondata nella carità”, che faccia di tutti i membri come “una sola peculiare famiglia” (CIC, can. 602); essa richiede che i membri di uno stesso istituto secolare “conservino la comunione tra di loro curando con sollecitudine l’unità dello spirito e la vera fraternità” (CIC, can. 716 § 2).
Se le persone respirano questa atmosfera spirituale, che presuppone la più ampia comunione ecclesiale, l’impegno formativo nella sua integralità non fallirà il suo scopo.
6. Al momento di concludere, il nostro sguardo ritorna su Gesù. Ogni formazione cristiana si apre alla pienezza della vita dei figli di Dio, così che il soggetto della nostra attività è, in fondo, Gesù stesso: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Ma questo è vero solo se ciascuno di noi può dire: “Sono stato crocifisso con Cristo”, quel Cristo “che ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20).
È la sublime legge della “sequela Christi”: abbracciare la croce. Il cammino formativo non può prescindere da essa.
Che la Vergine Madre vi sia di esempio anche a questo proposito. Lei che - come ricorda il Concilio Vaticano II - “mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudine familiare e di lavoro” (Apostolicam Actuositatem, 4), “avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce” (Lumen Gentium, 58).
E pegno della protezione divina sia la benedizione apostolica, che di tutto cuore impartisco a voi e a tutti i membri dei vostri istituti.
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