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VISITA PASTORALE A VITERBO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AI PROFESSORI E AGLI STUDENTI DELLA FACOLTÀ DI AGRARIA

Università della Tuscia - Domenica, 27 maggio 1984

 

Signor rettore magnifico dell’università degli Studi della Tuscia;
cari professori e studenti della Facoltà di Agraria!

1. Non poteva mancare, nel quadro dell’odierna visita pastorale nella vostra città, una sosta sia pur breve in mezzo a voi per rispondere al cortese invito dell’intera comunità accademica e per soddisfare altresì un mio personale desiderio. In realtà, ogni volta che mi è dato di incontrare i giovani universitari, sento di rivivere intimamente, in tutta la sua freschezza, una ricca esperienza, mentre riaffiorano i ricordi di volti ben noti, di incontri reciprocamente utili, di fruttuosi scambi culturali. Vi dirò che per me una sosta, quale quella di oggi, è come un ritorno ideale a un passato indimenticabile.

Nel vostro caso si aggiunge una seconda motivazione, derivante dal peculiare carattere di questa università: un’istituzione formalmente nuova, di recentissima fondazione, ma insieme - considerati i particolari legami che ci furono fin dal Medioevo tra Viterbo e la Santa Sede - antica per l’antecedente storico dello “Studio viterbese”, che in forme ovviamente diverse funzionò fino ai primi decenni dell’Ottocento.

L’odierna visita, pertanto, mi riesce a più titoli gradita e se, da una parte, è quasi una rievocazione oggettivamente e anche personalmente valida, dall’altra - all’interno di quest’aula, che s’intitola al grande nome del religioso-scienziato Gregorio Mendel - mi consente di esprimere un augurio cordiale e aperto. Possa questa istituzione svilupparsi adeguatamente nel contesto non solo della cultura laziale, che ha il suo culmine nel prestigioso “Studium urbis”, ma anche della cultura superiore a livello nazionale e internazionale.

2. So bene che l’avvio dell’ordinamento universitario a Viterbo è avvenuto con l’istituzione della Facoltà di Agraria, che è strutturata nei due corsi di laurea in Scienze Agrarie e in Scienze Forestali. So che si è trattato di una scelta ponderata e opportuna, non solo ai fini di una più articolata distribuzione delle facoltà agrarie in Italia e in risposta alle aumentate richieste di frequenza, ma anche e soprattutto per offrire un diretto e positivo contributo alla soluzione di un gravissimo problema: quello di debellare la fame nel mondo. Insediata in un territorio di notevole interesse agricolo, la vostra facoltà si distingue - ed è questo un precipuo merito - per tale finalità, che trova riscontro, del resto, nell’accoglienza ospitale riservata a numerosi studenti dell’Africa.

Ma che cosa può fare - ci si chiede - un solo centro di studi, sia pure attrezzato a moderno, di fronte alla gravità e vastità dell’accennato problema? Al riguardo, bisogna subito rispondere che ogni sforzo è utile; ogni contributo, per quanto limitato, è sempre prezioso in ordine all’auspicato e necessario aumento della produzione. Già il Concilio Vaticano II, nella costituzione Gaudium et Spes, che definisce la posizione della Chiesa intorno ai maggiori problemi del mondo contemporaneo, non ha mancato di raccomandare in termini espliciti lo sviluppo dell’agricoltura, precisando che proprio “tenendo presenti le particolari difficoltà del settore agricolo sia nel produrre che nel vendere i beni, occorre aiutare gli addetti al lavoro dei campi sia nell’aumentare la produzione e sostenere la vendita, sia nell’introdurre le necessarie trasformazioni e innovazioni, sia nel raggiungere un equo livello di reddito, affinché essi non rimangano - come tanto spesso avviene - nella condizione di cittadini di seconda classe” (Gaudium et Spes, 66).

In quest’ottica promozionale rientrano il fine, l’attività, l’impegno di questo centro universitario, il quale merita, pertanto, lode, apprezzamento e incoraggiamento.

3. Dall’agricoltura alla cultura il passo è più breve di quanto non si pensi, come conferma il medesimo documento del Concilio proprio nel capitolo che precede quello sulla vita economica e sociale. In effetti, prima dell’“ager” c’è l’“animus” e, quindi, prima dell’agricoltura c’è quella cultura per cui l’uomo coltiva se stesso. “In senso generale, con la voce cultura - recita il testo conciliare - si designano tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa ("perpolit atque explicat") le molteplici sue doti di anima e di corpo”. Molto giustamente, al primo posto dell’analisi, è menzionata l’accezione personalistica della parola cultura, prevalendo semanticamente, concettualmente e - si direbbe - anche cronologicamente sugli altri significati (sociologico ed etnologico), del pari rilevanti, che sono oggi legati alla stessa parola (Gaudium et Spes, 53).

Bisogna, dunque, “coltivare se stessi”; bisogna apprendere l’arte per operare questa interna coltivazione, che vuol dire sviluppo e maturazione delle doti che Dio creatore ha messo nell’uomo, in ogni uomo. Parlo a una comunità accademica che, pur protesa lodevolmente a studiare problemi tecnici, non può rinunciare a quest’opera che è parallela e, direi anzi, preliminare e condizionante. “Cultura di se stessi” vuol essere crescita qualitativa, opera di formazione e, per tanta parte, di autoformazione della propria personalità e del proprio carattere.

Cari professori e studenti, attendendo al vostro lavoro di alta specializzazione e di grande importanza sociale, non dimenticate mai l’irrinunciabile finalità della scuola, di ogni scuola di qualsiasi ordine e grado: ogni scuola è, per definizione, centro di formazione e di educazione e, dunque, centro per la coltivazione di quei doni di Dio che sono - come dice il Concilio - di diversa natura, sono svariati e numerosi, e costituiscono le autentiche ricchezze dell’animo e del corpo.

Se la vostra università, già attiva nel settore agrario e presto arricchita di altre facoltà, si manterrà sempre fedele alla duplice e connaturale esigenza di curare formazione e istruzione, coniugando in felice armonia quanto ho accennato circa le fondamentali accezioni e implicazioni della parola cultura, allora sarà indubbio e sicuro il suo successo a fianco degli altri centri superiori italiani ed esteri. È, questo, un auspicio, che mi piace concludere con le parole di una suggestiva pagina evangelica, la quale come non poche altre è ispirata alla vita dei campi: “Parte del seme - leggiamo nella parabola del seminatore - cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta” (Mt 13, 8). È ovvio che, al di là dell’immagine del campo, la terra buona, che Gesù maestro precisamente, primariamente intendeva, è quella del cuore: del nostro cuore!

Con la mia Apostolica Benedizione.

 

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