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VISITA AL CENTRO TRAUMATOLOGICO ORTOPEDICO DI ROMA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MALATI RIUNITI NELLA CAPPELLA

Sabato, 23 marzo 1985

 

Cari fratelli e sorelle, ospiti del Centro Traumatologico Ortopedico!

1. A voi in modo particolare, in questa cappella dell’Ospedale, rivolgo il mio saluto più cordiale e il mio augurio più sentito di guarigione. Infatti sono venuto qui essenzialmente per voi e per coloro che vi curano e vi assistono; sono venuto per dimostrarvi il mio affetto di Vescovo di Roma, successore di San Pietro, e di fratello, che conosce la sofferenza e che cosa significhi essere ricoverati in Ospedale; sono venuto per partecipare alle vostre ansie e preoccupazioni e per portare il conforto che proviene dalla fede e dall’amicizia; sono venuto per stringere la vostra mano e vedere il vostro volto: infatti, ogni volto umano esprime in qualche modo il mistero dell’uomo e il mistero di Dio, che bisogna saper scoprire e interpretare; sono venuto soprattutto per assicurarvi la costante preghiera mia e di tutta la Chiesa, per sottolineare la realtà meravigliosa del bene sempre presente nella storia umana e quindi anche nell’attuale società, e per farvi un dono di fiducia e di pace!

Ringrazio di cuore voi tutti per la vostra accoglienza e coloro che hanno voluto questo incontro, e nell’avvicinarsi della solennità di Pasqua estendo il mio augurio a tutti i malati e i sofferenti della città di Roma.

2. Il trovarmi qui, con voi, suscita in me una profonda commozione. Infatti in questa cappella venivano a pregare il Professor Antonio Mosca e Suor Luciana Iezzi. Il cuore si riempie tuttora di grande tristezza pensando alla tragica morte, che li strappò improvvisamente al lavoro in quel giorno terribile, il 2 marzo dello scorso anno, quando, com’è noto, l’ascensore con cui scendevano per prelevare medicine, si incendiò, ed essi morirono soffocati dal fumo velenoso. Suor Luciana ebbe ancora il tempo di estrarre dalla tasca la corona del Rosario, e fu ritrovata così, con la corona stretta nella mano rattrappita.

Le due vittime, su proposta del Ministro della Sanità, furono insignite, dal Presidente della Repubblica, della Medaglia d’Oro al merito della Sanità Pubblica. Essi hanno lasciato un vuoto incolmabile in questa casa di cura, nella cui attività la loro vita aveva inciso notevolmente.

Il Professor Antonio Mosca, Primario di Anestesia e Rianimazione fin dal 1972, nel suo lungo e assillante servizio, aveva dato prova di eccezionale ricchezza professionale, morale, umana e cristiana. La sua dedizione era inesauribile, la sua presenza infondeva fiducia e sicurezza: davanti a lui non vi erano solo dei casi clinici, ma persone umane, per le quali sentiva il dovere e il bisogno di mettere a disposizione tutte le risorse di mente e di cuore. La sua alta professionalità era vissuta in un atteggiamento di singolare modestia e riservatezza. Nonostante i molteplici impegni trovava il tempo per la preghiera, che spesso faceva in questa cappella, e per una presenza cristiana nella comunità dell’Ospedale, partecipando attivamente al Consiglio Pastorale. Figura veramente esemplare di medico, di Primario e soprattutto di credente.

Suor Luciana Iezzi, religiosa delle Minime dell’Addolorata, svolse in questo Centro la sua attività di infermiera in due periodi: dal 1974 al 1977, e poi dal 1980 al 1984. Il suo servizio fu multiforme: dalla sala operatoria, ai reparti di degenza, alle varie sostituzioni in molteplici servizi. Le caratteristiche della sua spiritualità erano il profondo senso di Dio nelle realtà umane, la riservatezza, la precisione, la disponibilità ed una forte carica di umanità. Chi poté conoscerla nella sua dedizione di religiosa e di infermiera, conserva vivo il ricordo della sua presenza affettuosa, discreta, attenta, incoraggiante, instancabile.

3. Riflettendo sulla tragica e improvvisa scomparsa di queste due persone così buone e preparate, tanto più in questo luogo di sofferenza e di speranza, sorge spontaneo nel credente l’interrogativo circa il motivo di certi eventi che turbano in modo tanto drammatico la storia umana: perché, o Signore, che tutto conosci e tutti ami, permetti avvenimenti così dolorosi e sconcertanti?

È Gesù stesso che dà la risposta, quando - come si legge nella liturgia di domani - egli afferma: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Gesù si riferiva principalmente alla sua morte in croce, per la redenzione dell’umanità dal peccato; ma il cristiano è strettamente associato a questo mistero: per portare frutti di bontà, di creazione, di pace, bisogna passare attraverso il distacco, la sofferenza, talvolta addirittura la morte. L’amore autentico non è possibile se non attraverso il dolore. È una logica superiore, soprannaturale, divina, che vale sempre, ma specialmente per la vita spirituale; se sconvolge i nostri piani umani, bisogna accettarla con fede illuminata e con totale fiducia. La sofferenza fisica o morale, che sopraggiunge talvolta improvvisamente, è una chiamata, un invito, un’esortazione pressante a migliorare, a cambiare vita, a rinascere, a convertirsi. Nulla avviene per caso. In ogni circostanza, bisogna chiedersi: “Che cosa vuole da me il Signore? Da questa situazione in cui mi trovo, da questa forzata inattività, da queste persone che incontro, quale messaggio devo ascoltare per purificare i sentimenti, per elevare lo spirito, per sentire la voce della Verità e della coscienza?”.

In questo modo si forma un’atmosfera ed un legame di amicizia, di familiarità, di bontà reciproca, che aiuta a superare i disagi della malattia e le eventuali sempre possibili insufficienze: allora le difficoltà non spaventano e non inaspriscono, non irritano, perché c’è la carità “che è paziente, è benigna, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (cf. 1 Cor 13, 4).

Questo aveva perfettamente compreso suor Luciana, che nella sua umiltà e nel suo nascondimento possedeva una profonda sapienza. In una pubblicazione recentemente edita si legge questo pensiero riportato da un suo diario spirituale: “Signore rendimi attenta e vigilante alla tua chiamata. Per rispondere alla tua chiamata devo abbandonare ogni logica umana, immergermi nella tua logica e fidarmi di Te, anche quando può essere molto doloroso, molto sconvolgente. Però sono convinta che nella misura in cui mi unisco alla tua passione e morte, sarò gioiosa, avrò la pace e sarà viva la mia testimonianza di Te, che sei l’Amore” (24 novembre 1978).

Parole sapienti e di alta spiritualità che possono e devono essere programma di vita per tutti.

4. Carissimi! Ci avviciniamo alla Pasqua e io vi esorto a prepararvi alla grande solennità liturgica con profonda sensibilità cristiana, in modo da gustare veramente il messaggio di certezza e di salvezza che il salvatore Gesù ci ha portato con l’istituzione dell’Eucaristia, con la sua Passione e morte in croce, con la sua gloriosa Risurrezione.

Tenete presente l’ultimo pensiero che con scrittura affrettata Suor Luciana vergò su di un foglietto la stessa mattina del suo olocausto: “Gesù, la Tua morte dia significato alla mia morte e la Tua risurrezione dia significato alla mia vita”. Tenete presente la sua corona del Rosario!

Vivete anche voi nella luce di Cristo risorto, nella letizia della sua Pace fondata sulla Verità e sulla Carità! Confidate in Maria Santissima, nostra buona Madre del cielo, pregandola e imitandola nelle sue virtù!

E vi sia anche sempre di conforto la mia Benedizione, che ora imparto a voi qui presenti e che estendo con affetto a tutti gli infermi ospiti della casa, al personale medico e paramedico, ai vari ausiliari, ai cappellani e alle care Religiose.

 

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