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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CONVEGNO EUROPEO DEI MISSIONARI DI EMIGRAZIONE

Venerdì, 27 giugno 1986

 

Cari fratelli e sorelle,

1. Sono lieto d’incontrarmi con voi nella circostanza di questo convegno europeo, indetto dalla Commissione CEI per le Migrazioni e organizzato dall’Ufficio centrale per l’Emigrazione Italiana. Saluto di cuore il Presidente della Commissione, Monsignor Antonio Cantisani, il Direttore nazionale dell’UCEl, Monsignor Silvano Ridolfi, i Delegati nazionali e tutti voi, missionari e collaboratori.

Mi compiaccio per tale iniziativa che, ponendo al centro delle riflessioni il tema: “Continuità e novità della missione in Europa”, offre l’opportunità di mettere in luce i problemi del vostro specifico campo d’azione, per cercarne insieme la soluzione.

2. È un tema, il vostro, che oltre a tenere in debito conto la necessità di adeguamento delle metodologie pastorali alle mutate situazioni sociali, fa chiaro riferimento alla continuità del Vangelo, senza la cui perenne novità non è neppure possibile parlare di “missione”.

Alla sorgente stessa della specificità missionaria della Chiesa, infatti, troviamo un imperativo che deve essere oggetto costante di approfondimento e di preghiera. Sono le parole istitutive della dinamica evangelizzatrice della Chiesa, che il Missionario per eccellenza, l’Inviato dal Padre agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, indirizza a coloro che sono chiamati a proseguire la sua opera nel futuro: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19). Storicamente la missione della Chiesa nasce con questo mandato, che proietta subito oltre i confini delle patrie.

Il Vangelo è per essenza un messaggio senza frontiere. I missionari divengono emigranti per vocazione divina. Ed anche in conseguenza di questo ruolo missionario nel mondo la Chiesa, in attesa della patria definitiva, si sente sulla terra pellegrina.

Sicché l’impegno che vi siete assunto di correre vicino a chi, per ragioni varie, ha lasciato la propria famiglia e la propria patria è, sul piano del reale, la traduzione pratica di un orientamento evangelico di fondo, applicato alle concrete esigenze dell’uomo.

Per tale motivo i Vescovi italiani hanno affermato che una comunità ecclesiale viva e operante non può non farsi carico dei problemi della migrazione. (Nota pastorale e commento del Convegno di Loreto) Se il “farsi tutto a tutti” è un postulato della vita evangelica, farsi migrante coi migranti non è che una applicazione particolare, fatta per ragioni di solidarietà e di coerenza di tale postulato ad una fascia sempre molto vasta dell’odierna popolazione.

3. Il vostro è giustamente un convegno a orizzonte europeo. Non poteva essere diversamente.

Nell’esprimere il mio apprezzamento per la scelta e l’impostazione dei vostri lavori, il mio pensiero corre alle grandi benemerenze delle nazioni europee del passato nel campo dell’evangelizzazione. Lungo il corso di venti secoli l’Europa è stata il continente missionario per eccellenza, nel quale si sono moltiplicati i migranti volontari per Cristo. Senza il loro impulso la novità trasformatrice del Vangelo più difficilmente avrebbe raggiunto tutte le nazioni, come ha voluto Gesù. L’Europa, che ha scoperto i continenti nuovi, allargando i confini del mondo conosciuto, vi ha contemporaneamente portato il fermento evangelico, per animare cristianamente le antiche civiltà indigene.

Oggi, dopo venti secoli, la Chiesa avverte l’urgenza e il dovere di portare avanti con rinnovata efficacia l’opera dell’evangelizzazione nel mondo e della rievangelizzazione nell’Europa. È una scelta pastorale, riproposta nella prospettiva del terzo millennio, che scaturisce dalla missione di salvare tutto l’uomo e tutti gli uomini nella verità di Cristo. Oggi più che mai, l’evangelizzazione del mondo è legata alla rievangelizzazione dell’Europa. E voglio subito aggiungere che alla soluzione del grave e difficilissimo problema possono e debbono dare il contributo le schiere dei migranti disseminate nelle nazioni tradizionalmente missionarie.

4. Gli stessi esperti europei parlano della necessità di una “rifondazione” dell’Europa, nella situazione attuale di un mondo in crisi a causa della evoluzione tecnologica, della insufficienza delle vecchie e nuove ideologie, dell’irrompere dei Paesi emergenti, della minaccia termonucleare.

La Chiesa si sente coinvolta in prima persona in questa sfida dei tempi moderni e intende rispondervi con l’impegno della rievangelizzazione, ossia col rinnovato e più incisivo annuncio di Gesù Salvatore, nel quale l’uomo ritrova il vertice della sua dignità di persona libera e responsabile, chiamata ad un destino eterno.

La gloriosa tradizione culturale europea, se riscoprirà se stessa e le proprie radici cristiane, non mancherà di contribuire alla crescita in civiltà e alla promozione della pace nel mondo intero.

Voi, cari missionari delle migrazioni, vi trovate in posizione privilegiata per collaborare a simile traguardo a motivo della vostra specifica attività tra i migranti, riconosciuti “costruttori d’Europa” (Giornata Mondiale delle Migrazioni, 1977).

Oggi, anche se persistono situazioni incompatibili con i più elementari diritti dell’uomo, come la realtà dei profughi per motivi religiosi o politici e quella dei giovani in cerca di prima occupazione, la condizione del migrante nell’Europa è notevolmente migliorata rispetto a ieri. Il lavoratore all’estero non è più un uomo abbandonato a se stesso, senza famiglia, è più protetto giuridicamente da accordi che regolano i rapporti all’interno della Comunità europea. È più diffuso il benessere economico e più facile la relazione tra migrante e luogo di provenienza. Si moltiplicano le possibilità di prestazioni d’opera specializzate, d’inserimento nella comunità di accoglienza e di partecipazione al bene comune. Si sviluppano attività d’interesse internazionale e il dialogo tra le culture.

Nell’Europa proiettata verso l’unificazione il migrante svolge già un ruolo nuovo, che avrà sempre più peso nel futuro.

5. Di qui la novità della vostra missione, che sarà tanto più incisiva e duratura quanto più resterà fedele ai fondamenti immutabili della fede.

Il vostro contributo, che è servizio al prossimo e difesa dei deboli, volto a superare le strettoie dell’economicismo fine a se stesso e ogni tipo di egoismo - individuale, di gruppo, nazionale - ha come punto costante di riferimento, da cui parte ed a cui ritorna, la persona umana, redenta dal Figlio di Dio e soggetto dei diritti.

Ma, nello sforzo continuo di aggiornamento delle vostre metodologie pastorali, non dimenticate che la premessa di ogni vera novità sta nel personale rinnovamento interiore.

Quanto rilevava nel secondo secolo la Lettera a Diogneto, che paragonava i cristiani, presenti nella società, all’anima diffusa nel corpo, che ne assicura lo sviluppo fisico nella identità sostanzialmente immutabile della persona, sia norma della vostra azione fra i migranti: siate anche voi l’anima del mondo dei migranti, perché questi siano a loro volta costruttori d’una Europa migliore.

Il vostro lavoro sia inserito nel vivo del tessuto ecclesiale, favorendo le mutue relazioni e la vicendevole collaborazione tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo.

Ed ora, nel salutare voi, sacerdoti, religiosi e laici qui presenti il mio pensiero va a tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici operanti in questo campo così importante di attività pastorale.

E così, con lo sguardo rivolto verso quanti si trovano fuori della patria, invocando la protezione di Maria, Madre della Chiesa, la quale ha sperimentato anche Lei le prove della migrazione, imparto di cuore a tutti la mia Benedizione, pegno di copiosi conforti celesti a sostegno di un cammino sempre coerente con gli impegni del proprio battesimo.

 

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