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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI SICILIANI IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Lunedì, 22 settembre 1986

 

Signor cardinale, venerati fratelli nell’episcopato!

1. Nel concludere con questo incontro collegiale le visite “ad limina”, che avete compiuto in questi giorni, il mio pensiero si porta spontaneamente al nostro precedente incontro dell’11 dicembre 1981, in analoga circostanza, e a quello di Palermo in occasione del mio viaggio apostolico del 20 e 21 novembre dell’anno successivo. Furono eventi di fraterna comunione, nei quali ho potuto ascoltare dalla vostra viva voce, come è avvenuto pure in questi giorni, l’illustrazione dei complessi e molteplici problemi di carattere religioso e pastorale - oltre che umano e sociale - con cui dovete quotidianamente misurarvi insieme con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici impegnati nell’apostolato.

Desidero esprimere a voi, pastori delle Chiese particolari della Sicilia, tutto il mio affetto, la mia stima e la mia comprensione per le vostre persone, consacrate con instancabile dedizione a vivere e operare accanto al buon popolo siciliano, per dare insieme con esso testimonianza di fede, di speranza e di vita cristiana.

In questi giorni, nei colloqui privati, voi mi avete presentato il quadro complesso della “situazione cristiana” delle singole diocesi, che lo Spirito Santo ha affidato alle vostre cure e al vostro zelo di pastori. È un quadro in cui non mancano luci confortanti. A tutti i siciliani desidero rinnovare in questa significativa circostanza i sentimenti della mia affettuosa simpatia per la grande ricchezza di valori umani e cristiani, che hanno saputo assimilare, conservare, proteggere e maturare nei lunghi secoli della loro complessa e travagliata storia, in una posizione geografica che li ha posti al centro di interessi contrastanti. E proprio di questi “valori” abbiamo parlato in queste visite “ad limina”, riflettendo sulle grandi possibilità, che il popolo siciliano indubbiamente è capace di realizzare nella pacifica concordia e civile convivenza.

2. Continuando idealmente il dialogo del dicembre 1981, anche in questi nostri recenti incontri abbiamo parlato, oltre che delle “luci”, anche delle “ombre”, che si possono intravedere nella situazione socio-religiosa della vostra Isola, la quale conta circa 5 milioni di abitanti, distribuiti in 19 diocesi.

Voi, carissimi fratelli, avete concordemente notato che dal punto di vista sociale l’Isola presenta oggi una certa sperequazione economica e la piaga della mancanza di lavoro, soprattutto per i più giovani; esistono non poche sacche di povertà, anche nelle grandi città; gli emigrati trovano difficoltà a ritornare in patria, perché non riescono ancora a inserirsi nel mondo del lavoro. Un fenomeno preoccupante è la constatazione che una parte della ricchezza che circola viene attribuita al commercio della droga!

L’istituto familiare ha sempre rappresentato uno dei valori tipici della Sicilia. Ma, dalle vostre relazioni, appare come oggi la famiglia siciliana risenta della crisi, che ha colpito dappertutto tale istituto. Tutto questo, purtroppo, è alimentato e assecondato da una certa cultura, che presenta il superamento della concezione della stabilità della famiglia come una conquista e un’emancipazione sociale! La cultura dei siciliani è stata sempre plasmata dalla religiosità che l’ha permeata di tutta una serie di valori che è saggezza conservare.

Oggi si riscontrano però aspetti contraddittori e diverse, gravi deformazioni. Tra i problemi morali, è da porre in primo luogo la delinquenza che in questi ultimi anni ha assunto proporzioni allarmanti: da quella spicciola, che talvolta coinvolge adolescenti e ragazzi, a quella ben più grave che è l’associazione a delinquere di stampo mafioso - con interessi e giro di capitali ingenti - dovuta alla bramosia di ricchezza e alla sete di potere. Voi, pastori della Sicilia, non avete mai mancato di far sentire la vostra voce per un comune impegno a creare una cultura della non-violenza, lavorando in particolare sulle nuove generazioni, per la formazione di una retta coscienza morale cristiana.

Da questo quadro, che sintetizza i motivi delle vostre preoccupazioni di vescovi, appare evidente la necessità di continuare sulla strada già da anni da voi intrapresa, e che io stesso indicavo nell’incontro del dicembre 1981: quella della rievangelizzazione e della catechesi a tutti i livelli, potendo voi contare sullo spiccato senso religioso innato nel popolo siciliano, che è buono, generoso, paziente; un senso religioso profondo e sentito, anche se certe pratiche di “religiosità popolare” hanno bisogno di un processo di purificazione, che voi da anni, con costanza e prudenza, avete avviato mediante sagge norme, per disciplinare lo svolgimento delle “feste religiose”, norme che dalla maggior parte dei responsabili e dei fedeli, sono state comprese, accettate e applicate. In modo speciale, nella vostra pastorale voi avete cercato di orientare la religiosità popolare verso una fede convinta, una pratica sacramentale autentica e una vita morale animata dalla carità verso Dio e verso il prossimo.

3. Per realizzare degnamente questo disegno di rievangelizzazione e di catechesi permanente a tutti i livelli, è necessario il lavoro indefesso, costante, organizzato e concorde di tutte le forze disponibili, del clero, dei religiosi, delle religiose, dei laici, uniti insieme per una più intensa comunione nella Chiesa e per una efficace e insostituibile presenza cristiana nel mondo.

Il mio pensiero va pertanto ai circa 2000 sacerdoti diocesani della Sicilia, che si trovano oggi a dover affrontare situazioni di particolare difficoltà pastorale, esistenti peraltro anche in altre regioni. So che molto voi, vescovi della Sicilia, avete fatto in questi anni per la formazione spirituale e per la qualificazione culturale dei vostri sacerdoti: l’esistenza della Facoltà teologica “San Giovanni Evangelista” di Palermo e degli Studi teologici - quello di “San Paolo” di Catania, e l’“Ignatianum” e il “San Tommaso” di Messina - è una consolante garanzia. Vorrei anche ricordare il riuscito convegno regionale del 1982 sul tema “Spiritualità del presbitero nella Chiesa locale”. È confortante d’altronde notare la tendenza a un incremento del numero di giovani che vengono presentati per essere ammessi agli ordini sacri: mentre nell’anno 1975 gli alunni dei seminari maggiori dell’Isola erano 125, secondo le stime del maggio di quest’anno sono 208. Il Signore sta premiando il lavoro che da anni avete svolto con costanza e pazienza nell’ambito della “pastorale vocazionale”.

Un contributo determinante e specifico alla rievangelizzazione e alla catechesi è dato, e certamente continuerà ad essere dato, anche dai circa 1500 religiosi appartenenti a 46 Istituti, e dalle 7200 religiose di 107 Istituti diversi, gli uni e le altre impegnati nella pastorale parrocchiale, catechistica, giovanile, scolastica e assistenziale. Possiamo aggiungere anche i membri degli Istituti secolari, delle Pie unioni e dei Sodalizi, dinamicamente operanti in Sicilia.

Ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose si unisce, nell’impegno apostolico, il laicato cattolico, che nella vostra Sicilia fin dal secolo scorso, in particolare dopo la promulgazione dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, ha manifestato una esemplare vitalità, animato in ciò dalla figura e dall’insegnamento di don Luigi Sturzo, che seppe genialmente sensibilizzare i cattolici italiani del suo tempo a una responsabile partecipazione alla vita politica e sociale della Nazione, nella luce dell’insegnamento della Chiesa. Il laicato è presente con le numerose confraternite, coi Terzi Ordini dei religiosi, specialmente francescani, domenicani e carmelitani, con le “comunità di vita cristiana” (già Congregazioni Mariane), con l’Azione cattolica nei suoi vari rami, con gli scouts, coi movimenti, i gruppi, le associazioni, le comunità, che animano oggi e fermentano la vita della Chiesa: l’entusiasmo, la vivacità e la preparazione del laicato cattolico siciliano ha avuto una conferma nel Convegno regionale svoltosi nello scorso anno sul tema: “Una presenza per servire. Le Chiese di Sicilia a vent’anni dal Concilio verso il duemila”.

Clero, religiosi, religiose, laici per la comunione nella Chiesa e per la presenza cristiana nel mondo, ho detto sopra. Uniti ai vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici acquistano sempre più la consapevolezza della loro intima appartenenza alla Chiesa e del ruolo che ciascuno di loro ha all’interno della sua struttura e della sua vita. Tale consapevolezza di comunione è alla base di qualsiasi programma pastorale, perché fa scoprire e vivere il senso della corresponsabilità personale e comunitaria, che ogni battezzato ha nell’ambito dell’agire della Chiesa. D’altronde una comunione vera ed efficace non può limitarsi al livello delle intenzioni, delle idee e dei programmi, ma deve tradursi nelle scelte operative. Alla base di tale comune azione sta la verità teologica dell’unità del popolo di Dio: “Uno è il popolo eletto di Dio: "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4, 5) - afferma il Concilio Vaticano II -; comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità . . . Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo” (Lumen Gentium, 32).

4. Dalle relazioni che mi avete presentato in questi giorni, ho potuto dedurre con vera soddisfazione che le luci vincono sulle ombre: c’è in Sicilia un popolo buono, ospitale, generoso, religioso, che ama la pace e vuole la giustizia; c’è un episcopato fraternamente unito; ci sono sacerdoti, preparati spiritualmente e culturalmente, che desiderano dare una testimonianza sempre più coerente di vita interiore evangelicamente realizzata, in quanto radicata nella preghiera e nella carità; ci sono religiosi e religiose, che, fedeli al carisma dei fondatori e delle fondatrici, intendono manifestare alla società contemporanea il valore perenne della loro consacrazione totale a Dio mediante i consigli evangelici della povertà, della castità e dell’obbedienza, e desiderano inserirsi nella pastorale d’insieme delle singole Chiese particolari, secondo i criteri direttivi del documento “Mutuae Relationes” sui rapporti tra i vescovi e i religiosi nella Chiesa; ci sono laici che desiderano esprimere, con la loro vita nel mondo, la presenza efficace della Chiesa per l’autentica promozione umana e sociale della cara Regione, memori delle indicazioni del Concilio Vaticano Il: “L’apostolato dell’ambiente sociale, cioè l’impegno di informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui uno vive, è un compito e un obbligo proprio dei laici, che dagli altri non può mai essere debitamente compiuto. In questo campo i laici possono esercitare l’apostolato del simile verso il simile. Qui completano la testimonianza della vita con la testimonianza della parola. Qui, nel campo del lavoro o della professione o dello studio, dell’abitazione, del tempo libero e delle associazioni, sono i più adatti ad aiutare i propri fratelli” (Apostolicam Actuositatem, 13). In questa consonanza di intenti per vivere la comunione nella Chiesa e per contribuire alla sua presenza nel mondo, si aprono molteplici spazi per iniziative appropriate, in particolare per coloro che intendono vivere l’esperienza del “volontariato cristiano” nell’ambito della catechesi, della cultura, della assistenza amorevole e continua ai fratelli poveri, emarginati, handicappati, anziani.

I santi e le sante che in gran numero hanno costellato la storia civile e religiosa della vostra Isola, e che hanno testimoniato la loro fede inconcussa in Cristo secondo la loro personale vocazione - o col martirio di sangue o con l’ardore missionario o con il ritiro monastico o col silenzio eremitico o con la santificazione del quotidiano - vi proteggano dal cielo: vorrei ricordare oggi in particolare quelli che io ho avuto già la gioia di elevare agli onori degli altari: il beato Giordano Ansalone, martire; il beato Giacomo Cusmano, sacerdote palermitano e fondatore dei Missionari Servi dei Poveri; e il beato, che il 12 ottobre prossimo proclamerò santo, il card. Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Affido le gioie e le speranze, le attese e le esigenze del popolo di Sicilia, i vostri propositi e le vostre preoccupazioni pastorali - che con voi condividono i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici impegnati e tutti gli uomini di buona volontà - alla Vergine santissima, la “Bella Madre”, come teneramente voi la invocate. A lei, Madre di Dio e Madre della Chiesa, presento i miei e i vostri voti; a lei, che da secoli è venerata con intensa devozione nei numerosi santuari mariani, sì profondamente legati alla storia della Sicilia.

A Voi e a tutti i siciliani la mia benedizione apostolica, segno della mia affettuosa stima.

 

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