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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DEL 10° ANNIVERSARIO DELL'IFAD
(FONDO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO AGRICOLO)

Martedì, 26 gennaio 1988

 

Signor presidente, signor presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, signori ministri, signori delegati e rappresentanti permanenti degli Stati membri, signore e signori,

1. Ben volentieri ho accettato l'invito che lei mi ha rivolto, signor presidente, a nome dei rappresentanti dei centoquarantadue Stati membri del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (FIDA), a partecipare alle celebrazioni solenni del decimo anniversario della creazione di questa Organizzazione intergovernativa. La recente istituzione del Fondo non gli ha impedito di assumere un ruolo importante nell'ampio sforzo di solidarietà intrapreso dalle nazioni in questa seconda metà del ventesimo secolo. E la vostra Organizzazione occupa un posto privilegiato tra le istituzioni internazionali che segnano ormai la vita dei popoli. In futuro, quando si ricorderà l'epoca in cui noi viviamo, forse si ricorderanno i problemi e le molteplici divergenze, o i conflitti troppo numerosi, o ancora lo sviluppo scientifico e tecnico impressionante; ma si sottolineerà anche che questo tempo è stato quello della solidarietà internazionale, grazie agli sforzi compiuti per affrontare e risolvere i problemi che affliggono l'umanità e grazie anche alle innumerevoli organizzazioni create in questo periodo. Si sarà lavorato molto nel campo della pace, della giustizia, della cooperazione economica, culturale e scientifica, dei diritti dell'uomo, della salute pubblica o della fame. Simili sforzi non possono essere vani. Come potrebbero essere dimenticati dalle generazioni future?

2. Il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, che da cinque anni ha scelto come sede definitiva la città di Roma, cara al mondo intero per la sua eccezionale ricchezza di tradizioni religiose e umane, si integra nel sistema delle istituzioni speciali delle Nazioni Unite che hanno per fine proprio di raccogliere e utilizzare risorse finanziarie a favore di progetti e programmi concernenti l'agricoltura e l'alimentazione. La Santa Sede, che attribuisce una importanza particolare allo sviluppo pacifico e solidale della comunità internazionale, ha incoraggiato fin dall'origine il progetto di una istituzione dedicata in modo specifico al sostegno finanziario delle iniziative individuali o collettive di cooperazione nelle zone più depresse; e non ha mancato di seguirne l'evoluzione perché questa iniziativa sembrava in grado di contribuire in larga misura alla lotta contro la fame e la denutrizione.

3. Il grave problema della fame, che tormenta ancora oggi tante regioni del mondo, non può essere risolto solo con l'intervento dei paesi produttori di derrate alimentari; non si potrà trovare una soluzione efficace se non si stimoleranno le considerevoli risorse umane dei lavoratori agricoli, dei pescatori e degli allevatori ai quali mancano mezzi economici e tecnici necessari. Per questo, è necessario che la ripartizione degli aiuti, la retribuzione del lavoro produttivo tenga in massimo conto le esigenze della giustizia sociale e favorisca la cooperazione di tutti. Di fatto, nessuno può lottare da solo contro fattori ecologici coercitivi come le condizioni atmosferiche sfavorevoli, la siccità prolungata, i parassiti, o contro l'incredibile degrado della terra dovuto a interventi sconsiderati o all'incuria dell'uomo. Ma l'appoggio della Santa Sede alla FIDA è anche di ordine morale, perché, per numerosi paesi, questa organizzazione rappresenta un mezzo concreto per assumersi le loro responsabilità verso lo sviluppo dei paesi più poveri: fornisce a delle categorie intere di lavoratori i mezzi di lottare in prima persona contro la fame e la denutrizione. Così questi uomini e queste donne utilizzano meglio le loro capacità e affermano la loro dignità.

4. Nello stesso ordine di idee, la FIDA costituisce una istituzione originale in ragione dei criteri che si è data per determinare i contributi finanziari in funzione delle possibilità economiche reali e dello sviluppo di ciascuno dei paesi membri, ripartiti in tre gruppi distinti. Inoltre la destinazione delle risorse finanziarie è proporzionata alle possibilità di utilizzo da parte dei paesi beneficiati. Di fronte alle mancanze più gravi o alle crisi acute, si prevedono delle facilitazioni di credito e delle donazioni gratuite. Gli obiettivi del Fondo, quindi, non si limitano all'assegnazione dei crediti o delle donazioni, ma comprendono lo studio della situazione economica mondiale. Sappiamo bene tutti che, malgrado gli sforzi delle organizzazioni internazionali e i risultati già acquisiti, dei continenti interi si trovano davanti alla necessità imperiosa di migliorare le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone. Nel dicembre 1986, nel corso della decima sessione del Consiglio dei Governatori della FIDA, il presidente sottolineava il fatto che in Asia, per esempio, dozzine di milioni di persone continuano a soffrire la fame e vivono senza poter sperare in un miglioramento. In Africa, il problema della sopravvivenza è di un'ampiezza catastrofica, e in America latina una parte importante della popolazione resta ai margini dello sviluppo, in impressionanti condizioni di miseria. E queste situazioni permangono nonostante un aumento notevole della produzione alimentare mondiale nel corso degli ultimi anni.

5. Nel 1967, il mio predecessore Paolo VI, nella sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, indicava, tra i fini da perseguire, «il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane» di vita (Pauli VI «Populorum Progressio», 20); ricordava le carenze materiali, lo sfruttamento dei lavoratori; indicava anche altri obiettivi: assicurare a tutti il possesso dei beni necessari, sconfiggere le piaghe sociali, lavorare per il bene comune (cfr. Pauli VI «Populorum Progressio», 21). Di fronte a questi obiettivi, non si può affidarsi alle sole iniziative individuali o al libero gioco della concorrenza. Giovanni XXIII aveva già affermato, nell'enciclica sociale «Mater et Magistra» la necessità di programmi concertati per incoraggiare, stimolare, coordinare l'azione degli individui e dei corpi intermedi (cfr. Ioannis XXIII «Mater et Magistra», II: AAS 53 [1961] 414).

6. Oltre alle collaborazioni bilaterali, le collaborazioni multilaterali acquistano un peso particolare, perché possono fare superare il rischio di un neocolonialismo o il timore di un'egemonia strategica, in situazioni in cui vengono privilegiati degli interessi politici, militari, economici o ideologici, a detrimento dei bisogni umani delle popolazioni. La libertà, il mutuo rispetto e il principio dell'uguaglianza, insieme allo sviluppo della cooperazione internazionale, fanno parte dei fini riconosciuti dai paesi membri dell'Onu. Questi obiettivi sono sempre da perseguire e da difendere; la loro realizzazione dipende dalla vitalità delle relazioni internazionali; viene ostacolata dalle crisi; viene annullata dalla violenza; ma progredisce nella stima e nella fiducia reciproche; è favorita dalla volontà dello sforzo comune; riceve vantaggio dal clima di distensione tra i differenti paesi.

7. Il decimo anniversario dell'istituzione della FIDA, che oggi si celebra, fornisce un'occasione privilegiata per verificare la missione svolta e, nello stesso tempo, gettare le basi per l'avvenire. In effetti, il ruolo che il Fondo intende giocare sarà tanto più dinamico quanto più si sarà riaffermata la volontà comune di mettere in atto gli ideali affermati dieci anni fa. Noi siamo testimoni di un processo di distensione internazionale contrassegnato da un primo accordo di disarmo effettivo concluso tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica e vogliamo sperare che sia premessa di un disarmo più radicale. Ma tutto questo non avrebbe senso se non si pervenisse ad un più alto grado di cooperazione economica a beneficio delle regioni più bisognose. Sembra dunque logico che le immense risorse investite nella costituzione di arsenali atomici o nell'acquisizione di armi dette convenzionali siano destinate in massa allo sviluppo dei paesi più poveri. Quanto ho detto recentemente al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, vorrei qui riaffermarlo: il processo di pace e di distensione internazionale richiede la giustizia, la salvaguardia dei diritti delle persone e dei popoli, lo sviluppo. Per questo resta valido lo slogan lanciato vent'anni fa da Paolo VI: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Mostra in quale direzione devono muoversi gli sforzi di tutti nel corso degli anni a venire. Da questa tribuna, in presenza dei rappresentanti illustri di numerosi stati membri del Fondo, vorrei rivolgere un appello a tutti i governi, affinché ciascuno, secondo le sue possibilità politiche ed economiche, collabori a questa grande opera: dare alla pace il nome di sviluppo. Uno sviluppo che rispetti i ritmi di crescita e i valori di ogni popolo e di ogni cultura. Uno sviluppo che significhi la vittoria sui mali endemici, la vittoria sulle forme di povertà che colpiscono l'umanità, la vittoria sulla fame, «urgenza delle urgenze». («Allocutio ad Nationum Legatos», die 9 ian. 1988). Uno sviluppo che sia veramente a misura d'uomo e della sua dignità. Non vedere più intere popolazioni morire perché mancano del necessario: non è un'utopia, ma una speranza. Siamo responsabili di questa realizzazione. Bisogna avere il coraggio di rinunciare ad eccessive spese militari per consegnare il massimo delle risorse alla cooperazione economica, sociale, agricola, sanitaria, culturale, scientifica. Lo sviluppo dipende dalla possibilità che avranno i lavoratori, soprattutto i più emarginati, di unirsi in una cooperazione produttiva, per commercializzare il frutto della loro fatica. Dipende dal modo in cui anteporremo alla ricerca del profitto il rispetto dell'uguale dignità di tutta la famiglia umana, affinché l'uomo non sia considerato come uno strumento e i popoli più poveri come semplici fornitori di materie prime. Il rispetto che avremo per l'umanità, oggi umiliata dai bisogni e la miseria, non sarà sincero se le società sviluppate non aiuteranno concretamente lo sviluppo dei più diseredati. E' pertanto necessario che la generosità dei paesi più ricchi non diminuisca; che una nuova fiducia nasca tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo; che si rinunci alle tentazioni egemoniche; che le amministrazioni interessate diano prova di rigore nell'uso dei finanziamenti e dei crediti; che ci sia la volontà reale di ottenere uno sviluppo sociale e umano dei popoli.

8. In questa prospettiva, la Chiesa desidera portare il suo sostegno e il suo contributo a quanti si fanno promotori del progresso della giustizia sociale e del miglioramento della situazione economica internazionale. La Chiesa, in questo campo, non propone delle soluzioni teoriche o tecniche. Ciononostante essa desidera ricordare che tutte le soluzioni devono essere bene adattate alle situazioni concrete. Proprio per tener fede a questo criterio, nel 1984, alla creazione della Fondazione per il Sahel, ho stimato essenziale che le Chiese locali studino e amministrino i progetti di sviluppo previsti in una regione così duramente provata dalle calamità naturali. Esse partecipino anche, in modo complementare, agli sforzi delle popolazioni, dando la priorità alla formazione degli africani, al fine di renderli in grado di lottare contro la siccità e la progressiva desertificazione. Per quanto piccola e recente, l'iniziativa comincia a portare frutto; si ridona la speranza a delle comunità che tornano ad essere responsabili dell'avvenire delle loro terre. Mi auguro che la vostra Organizzazione, il cui scopo è di favorire lo sviluppo internazionale, non si accontenti di assegnare le risorse finanziarie di cui è dotata, ma nello stesso tempo dia fiducia a tutte le popolazioni provate da sofferenze interminabili.

9. Signor presidente, nel mio intervento ho voluto richiamare gli obiettivi e lo spirito dell'attività portata avanti dall'Organizzazione da lei presieduta, e proporre alcuni criteri essenziali per il lavoro importante che il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo deve compiere. Sono sicuro che, grazie all'esperienza decennale, la FIDA non mancherà di dare un nuovo impulso alla sua attività, nella chiara consapevolezza degli obiettivi umanitari e sociali implicati dalle sue stesse finalità. E questa attività sarà impossibile senza i contributi finanziari e tecnici dei Paesi che vi partecipano.

Vorrei pertanto cogliere questa occasione per esprimere la mia profonda stima ai governi che non mancano ora, e anche in futuro, di dare il loro contributo generoso. La responsabilità dello sviluppo umano delle aree più deboli, in particolare di quelle che cercano di giungere a una capacità sufficiente di produzione alimentare, è responsabilità di tutti. Nessuno tra noi può sentirsi la coscienza a posto finché esistono uomini e donne che mancano del necessario. La FIDA, in queste condizioni, potrà essere realmente un segno vivo della volontà comune di dare alla convivenza umana un avvenire e una speranza più sicuri. Mi auguro, signor presidente, che l'attività portata avanti dalla sua Organizzazione in questo spirito abbia esiti positivi nel corso degli anni a venire. E chiedo all'Altissimo di benedire i vostri sforzi a servizio dell'uomo.

 

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