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VISITA PASTORALE IN EMILIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALL
’OSPEDALE MAGGIORE DI PARMA

Lunedì, 6 giugno 1988

 

Carissimi fratelli e sorelle.

1. A voi il mio saluto cordiale in questo luogo dove la debolezza dell’infermità s’incontra con la nobiltà dell’amore e della solidarietà. Qui, dove s’avverte più che mai il senso del limite e della precarietà, l’uomo sente più forte l’impulso a tendere la mano all’altro uomo per rendere un servizio alla vita.

Vada innanzitutto una parola di sentito ringraziamento al presidente, per l’indirizzo di omaggio a me rivolto. Ringrazio per il calore dell’accoglienza il personale medico, paramedico e amministrativo; e per la loro presenza e partecipazione coloro che operano nelle altre strutture sanitarie pubbliche e private della città e della provincia.

Desidero rivolgermi con particolare affetto a voi, malati, e nell’augurare a ciascuno il recupero sollecito della salute, vi invito a valorizzare questo tempo di prova dando un senso profondo alla sofferenza e accogliendo nel vostro cuore l’alta e difficile lezione che viene dal dolore.

2. Parma, città della bellezza e dell’arte, manifesta da sempre una spiccata attenzione per la cura degli inferi, rivelando così il suo volto più autentico di bontà.

Il primo ospedale fu fondato da un “Cavaliere”, ossia da un laico, in questa parte della città che voi chiamate “Oltretorrente”, tanti secoli fa. L’opera iniziale del “Cavaliere” fu continuata e promossa da un sacerdote, con l’utilizzazione del patrimonio di una congregazione attiva nella Cattedrale cittadina. Così l’accordo tra la generosità umana e la fede ha assicurato lo sviluppo a un’iniziativa, che è uno dei titoli più chiari di onore per questa nobile e operosa città.

3. Come ho scritto nella mia prima enciclica, l’uomo costituisce la fondamentale via della Chiesa (cf. Redemptor Hominis, 38). Dio stesso ha voluto mettersi a servizio dell’uomo. Egli, che è amore e vita, ha mandato il Figlio suo sulla terra per partecipare agli uomini una felicità, che non potrà essere intaccata dall’invadenza della malattia e della sofferenza.

Nella sua vita e nella sua persona, Cristo manifesta l’amore del Padre per noi e ci offre l’anticipazione del nostro futuro destino. Nel suo corpo martoriato, sottomesso temporaneamente alla legge comune della sofferenza e della morte, si è operata una nuova e più mirabile creazione, con la vittoria dello Spirito e della vita sulla sofferenza e sulla morte. La fede cristiana si fonda infatti sulla realtà della risurrezione del Crocifisso.

Il dolore è una componente della vita, che accompagna ogni uomo fin dalla nascita, in ogni età, in ogni condizione, a ogni livello. Il messaggio cristiano non può prescindere dal dolore e d’altra parte non lo esalta per se stesso. Lo considera invece il passaggio, obbligato ma fecondo, alla pienezza della gioia, che consiste nella partecipazione di tutto l’uomo, spirito e corpo, alla felicità infinita ed eterna di Dio.

Cristo continua a soffrire nella sofferenza di ogni uomo, ma, nello stesso tempo il sofferente partecipa alla forza redentrice del Salvatore. Così il dolore, che è condizione ineliminabile della vita umana, rivela la sua fecondità: è un seme di vita nuova destinato a germogliare e a portare frutti.

Cristo è venuto come samaritano buono e compassionevole che si china amorevolmente sulle piaghe dell’uomo. È il medico che ha dato una nuova dignità e la garanzia di una vita perenne anche al corpo umano, per un’esistenza senza più lacrime e sofferenze.

4. Il suo comandamento è l’amore verso tutti, in particolare verso i più deboli, i poveri, i sofferenti nello spirito e nel fisico. Un giorno il suo giudizio si svolgerà sul codice di questa carità concreta: “Ero ammalato e mi avete visitato” (Mt 25, 36).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, il Figlio di Dio, che si è messo tra gli ultimi, ci chiede di partire dagli ultimi. Il vero segno di civiltà non è il benessere economico o il livello tecnologico, ma lo spazio privilegiato che si riserva all’ultimo, all’uomo sofferente e senza potere. Soprattutto nell’ospedale va riconosciuto il primato dell’uomo, che ha il diritto al rispetto della sua dignità, alla vita, ad essere curato e assistito, nel contesto di una struttura efficiente, accogliente, attenta ai drammi dei singoli e delle loro famiglie. L’ospedale è per l’uomo malato, non l’ammalato per l’ospedale.

Nel ricordo di Maria che, appena avuto nel seno il figlio Gesù, corre a prestare i suoi servizi alla cugina Elisabetta, ed invocando il patrono della vostra città, sant’Ilario, grande teologo e zelante pastore, auspico che tutti gli istituti di assistenza di Parma diventino il cuore della comunità cristiana, il suo primo e più concreto impegno a servizio di chi è visitato dalla sofferenza.

Con tali voti rinnovo a tutti la mia benedizione e il mio saluto.


Al termine dell’incontro con la direzione sanitaria, il personale medico e paramedico ed i degenti dell’Ospedale Maggiore di Parma, il Santo Padre ha ancora parole di conforto per i malati e di incoraggiamento a proseguire nell’opera di “buoni samaritani” per quanti, a diverso titolo, lavorano nell’Ospedale. Queste le brevi espressioni di congedo del Santo Padre.  

Terminando, vorrei esprimere la mia gratitudine per questa prima sosta a Parma; appena uscito dall’eliporto ho trovato sulla strada questa realtà così simile a quella evangelica in cui doveva intervenire il “buon samaritano”: un ospedale. Un ospedale in cui la parola evangelica del buon samaritano viene sempre realizzata, interpretata, rinnovata in una dimensione non solamente individuale ma comunitaria; questa comunità dei sofferenti, dei malati e questa comunità dei “buoni samaritani”. Voglio ringraziare i buoni samaritani della comunità di san Ilario per il loro impegno, simile a quello descritto nel Vangelo; voglio nello stesso tempo rendermi interprete degli ammalati che qui si trovano, come ogni uomo sofferente nel mondo, nella posizione più vicina a Cristo. È veramente Cristo che dice: io ero ammalato, io ero sofferente e mi avete assistito, mi avete aiutato. Grazie per questo incontro, e che il Signore benedica la vostra comunità, benedica questo Ospedale di lunga, plurisecolare tradizione, benedica ciascuno di voi che in questo complesso ospedaliero o fate la parte dei malati sofferenti, o fate la parte dei “buoni samaritani”. Che Iddio benedica ciascuno di voi e benedica le vostre famiglie.

 

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