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VISITA PASTORALE A MESSINA E A REGGIO CALABRIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE CLARISSE DEL MONASTERO DI MONTEVERGINE

Messina - Sabato, 11 giugno 1988

 

Carissime sorelle.

“Calicem Domini accipiam et nomen Domini invocabo”. Ho trovato queste parole del salmo nella liturgia dei vespri di oggi e ho pensato, recitando queste parole sacre, ai tanti possibili significati che si trovano dietro questa espressione. Ho pensato soprattutto a quel calice che ci ha lasciato Cristo, l’Eucaristia nel cenacolo: calice del suo sangue, calice della nostra redenzione, calice che ritorna sacramentalmente in ogni celebrazione eucaristica. E in questo calice veramente “nomen Domini invocatur”. Iddio viene nominato con il suo proprio nome, perché questo calice, questo sangue, esprime l’amore: l’amore che Dio è e che ci ha manifestato dandoci il suo Figlio, perché diventasse l’Ostia, l’Ostia perenne, perché compisse questo unico sacrificio, che può attingere al nome di Dio, alla sua maestà infinita, alla sua santità. Ecco le parole profetiche: così parla il salmista nel Vecchio Testamento, ma esprime il mistero del Nuovo ed eterno Testamento. Nello stesso tempo, riflettendo sulla realtà sacramentale e mistica espressa con queste parole, ho pensato alla vita di questa vostra madre e sorella fondatrice, che oggi arriva agli onori degli altari come una santa, santa di questa terra, patrona di questa città. Perché il calice del sacrificio che ci ha lasciato Cristo è destinato a noi, a ciascuno di noi, per santificare un altro calice: quello della nostra vita. La vostra madre sant’Eustochia ha saputo riempire questo calice della sua propria vita con un amore eroico per il suo Sposo, Sposo divino. Ha saputo riempire questo calice della sua propria vita monastica, francescana, clarissa, con un amore straordinario. E portava questo calice della sua vita monastica ogni giorno all’altare, insieme con il calice eucaristico. E nell’Eucaristia trovava la perfetta identificazione spirituale con il suo Sposo crocifisso. E il suo spirito si riempiva di amore: “excelsus amoris”.

Parlando ai sacerdoti, alle religiose di questa arcidiocesi di Messina ho citato molti testi dei suoi scritti spirituali. E si sente attraverso questi testi quel “excelsus mentis”, come dicevano i santi mistici e teologi: quasi un trasporto mistico nel Cristo, trasporto attraverso l’amore della sua persona, perché non si può rispondere all’amore se non con l’amore. E la vita dei santi si può riassumere sempre nel modo migliore con queste parole: è veramente una risposta data a quell’amore, a quell’infinito amore che Dio ci offre in Cristo. E così il calice è il simbolo di questo amore, di questo amore che è andato fino alla fine: “Ha amato i suoi fino alla fine”.

Alla fine nel senso umano della sua vita e della sua morte umana. Ma questo amore, essendo divino, è rimasto e rimane sempre infinito.

Ecco alcune riflessioni tratte dalla preghiera liturgica di oggi, nella previsione della canonizzazione. È quasi la preparazione a questa canonizzazione quella che ho dovuto fare qui, in questa chiesa, in questa comunità storicamente tanto legata alla nuova santa, alla santa Eustochia. Ma nello stesso tempo è anche una preparazione alla conclusione del Congresso eucaristico nazionale, che si celebra qui vicino, a Reggio Calabria. È una cosa bella che la canonizzazione della vostra santa venga introdotta come un punto centrale in questo insieme del programma del Congresso eucaristico nazionale celebrato qui. Perché nell’Eucaristia noi sempre rinnoviamo la realtà di questo calice: “calicem Domini accipiam, calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo”. Noi sempre rinnoviamo questo calice, noi sempre lo ripresentiamo davanti a Dio. E se questo è un sacramento, se questo è un mistero, quel sacramento e quel mistero sono destinati a noi tutti, a ciascuno di noi. Devono diventare la nostra vita. E possiamo rallegrarci tutti insieme che questo mistero, questo calice, questo sacramento si sia riempito della vita di una vostra concittadina, di una sorella clarissa figlia di santa Chiara, figlia di san Francesco, oriunda in questa terra, cresciuta in questa terra, cresciuta non solamente secondo la sua biografia terrestre, la sua biografia monastica, ma soprattutto secondo la sua biografia della santità.

Mi congratulo con voi, carissime suore, e attraverso questa canonizzazione vorrei che il Congresso eucaristico che si celebra a Reggio Calabria porti molti frutti di santità per voi e per tutti i vostri concittadini, per tutti i fedeli di questa terra. Che possa portare nuovi frutti di quell’amore verso Cristo che sempre rimane la risposta più perfetta, più adeguata a quell’amore con cui Lui ci ha amato. E adesso voglio benedire tutte le suore, insieme con i fratelli nell’episcopato, raccomandando me stesso e la santa Chiesa di Dio alle vostre preghiere.  

All’esterno del monastero, il Santo Padre così saluta poi i numerosi fedeli presenti.  

Sia lodato Gesù Cristo. Saluto tutti i presenti. In questa chiesa si doveva fare una sosta preparatoria per la Canonizzazione di Santa Eustochia, perché è la chiesa delle Clarisse, le sue consorelle. Adesso andiamo a celebrare il rito eucaristico insieme con il rito della Canonizzazione: e lo si compie nella sua terra e nella sua città, così tutti sono coinvolti. Tutti cono concittadino di una Santa, di una Patrona vostra, che attraverso i secoli guarda a questa città, ai suoi fratelli e sorelle, molte volte provati dalle situazioni tragiche, dai terremoti e dalle altre circostanze, come l’ultima guerra mondiale. Voglio benedire tutti i presenti, voglio benedire tutti, specialmente i diversi gruppi, le famiglie, i giovani, i bambini, i malati, gli anziani, anche tutti quelli radunati alle finestre, sui balconi vicini. Poi vede anche i portatori delle bandiere, con una iscrizione: ACLI. Allora a tutti una Benedizione e che il Signore benedica le vostre vie, i vostri lavori, le vostre famiglie e le vostre sofferenze.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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