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VISITA PASTORALE A TORINO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I GIOVANI NELLO STADIO COMUNALE

Torino - Sabato, 3 settembre 1988

 

Carissimi giovani!

Nella città che si onora di avere per santo don Bosco mi è caro di dirvi, come lui: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai”. In questo mio saluto vorrei esprimervi tutto il mio desiderio di intrattenermi con voi, colloquiando con voi, per comunicarci reciprocamente la verità e la gioia del Vangelo di Gesù Cristo; voi - come ha detto il vostro portavoce - con la forza penetrante delle vostre domande, specchio fedele della vostra condizione; ed io, proponendovi una traccia di risposta che vi aiuti a fortificare la vostra scelta cristiana.

Le domande che avete raccolto mi hanno colpito per l’ampiezza e centralità degli argomenti e per la sincerità, talvolta dolorosa, che le penetrano: domande di giovani uomini e donne, domande - particolarmente toccanti - di carcerati, domande di bambini. Anche se a tutte non posso rispondere, le conservo tutte come ricordo di questo incontro, ponendovi il sigillo del mio affetto e della mia preghiera.

Ho cercato di fare una scelta che fosse significativa, orientandola a quattro aspetti tipici del mondo dei giovani: la componente religiosa, il rapporto con la Chiesa, la dimensione etica, l’impegno sociale.  

I. Giovani e scelta cristiana

1. Così voi mi chiedete: “In una società in cui è grande la domanda di significato, ma è forte il pregiudizio nei confronti della risposta cristiana, come può la proposta di Cristo essere affascinante, persuasiva e pienamente aderente alla realtà quotidiana di ogni giovane?”.

E così vi rispondo:

Sono d’accordo con voi sulla diagnosi fatta. Da una parte si nota il pregiudizio nei confronti della scelta cristiana, nutrito di indifferenza talvolta orgogliosa ed autosufficiente nella gestione della propria vita; e dall’altra - su questo vorrei insistere - vi è tanta ricerca di verità in mezzo ai giovani di oggi. Lo constato nei miei viaggi e lo sento dire negli incontri diversi che ho a Roma con i Vescovi, che mi vengono a visitare: vi è tra i giovani domanda sul senso delle cose, domanda di progetto, domanda di valori. Anzi il discorso religioso è ritenuto plausibile da tantissimi di loro, e viene di fatto affrontato con coraggio, come una nuova frontiera dello spirito.

Vorrei lasciarvi come impegno di approfondire i tanti interrogativi che nei Vangeli ci sono intorno a Gesù, che lui stesso anzi suscita.

D’altra parte - e qui vorrei parlare con chiarezza cristallina di fronte a confusioni talvolta notevoli intorno al significato di essere discepoli di Cristo - le risorse di verità di Gesù stanno nel suo essere egli stesso la verità rivelata. Sicché la proposta di Cristo è veramente raggiunta quando viene accolta non tanto sull’onda della simpatia e del sentimento, o accontentandosi di una generica religiosità indistinta e statica, ma quando si riconoscono le caratteristiche di ogni incontro con Cristo:

- come grazia, a cui aprirsi umilmente con l’atteggiamento del povero che chiede la luce che non può avere da solo;

- come verità certa e che non muta sul mistero di Dio, dell’uomo, della vita, a cui indiscutibilmente affidarsi e restare saldi pur nel progressivo, non mai finito cammino di ricerca;

- come invito a fare ciò che egli dice, cioè in profonda aderenza al suo modo di vivere la relazione con Dio, con gli altri, con la natura, col dolore, con le situazioni di male . . .

Il cristiano è tale se sa nutrire la sua vita di esperienze evangeliche specie con la preghiera e il servizio del prossimo, se sa rafforzarla con un approfondimento continuo delle verità che il Cristo ha rivelato e la Chiesa propone a credere, con una ricerca anche culturale in rapporto ai tanti problemi che oggi emergono dalle scienze e dal costume.

Voglio aggiungere che in questa dinamica non ci viene risparmiata la fatica di Gesù, né ci viene sottratta una condivisione alla sua profonda serenità ed apertura alla gioia di vivere. Dopo che Gesù ha calmato il mare in tempesta (cf. Mc 4, 35-41), non ci viene detto che ci saranno risparmiate le tempeste, ma che le attraverseremo con la sua compagnia.

La fede in Cristo non aliena dalla modernità, dalla creatività . . . Semmai con una saggezza che ha dalla sua parte anche la forza dei secoli aiuta a discernere, come diceva lui, il grano dalla erbaccia, i veri dai falsi profeti (cf. Mt 13, 18 ss.Mt 7, 15-20).

2. Ancora nell’area della scelta per Cristo, diverse sono le domande che vertono sia sul tema del progetto di vita o vocazione e sia sul come testimoniare il Vangelo presso i coetanei.

Così leggo due vostre domande che dicono: “Molti giovani temono di giocare la propria vita in scelte definitive quali il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio. Perché secondo lei?”.

Ed ancora: “Che cosa ha da dire il Papa a noi giovani che abitiamo in una regione fortemente lavorativa, che però, nella ricerca esasperata del progresso rischia di travolgere ogni ideale nelle regole di una società consumistica?”.

La risposta alle due domande deve andare insieme.

a) Il fatto che molti giovani abbiano paura di considerare la propria vita come progetto capace di scelte definitive si può imputare in termini generali al fiato corto di questa cultura propria dei Paesi benestanti. Vi è una sorta di paura a pensare, a sperare, ad agire in grande. L’esilio della concezione religiosa dell’esistenza, il rifiuto di un concreto rapportarsi a Dio, inizio senza fine e fine di ogni inizio, è come togliere all’uomo l’appoggio per il rischio della fede e della speranza, che soli danno possibilità e fascino di un progetto definitivo, cioè orientato ad un fine assoluto e positivo.

b) Al che si congiunge - e passo alla seconda domanda - la perdita dell’amore creativo, per un ripiegamento a soddisfazioni superficiali e riduttive: il consumismo appunto. La regione del Piemonte, culla di tanta parte del progresso italiano, ha certamente titoli esemplari nella stima comune. Rimane tuttavia il rischio da voi deplorato, tipico dei Paesi ricchi, di riportare la misura dell’uomo a quella della sua produzione. Come voi ben comprendete, carissimi giovani, non si tratta di rinunciare allo sviluppo, ma di darvi un’anima. Sicché ritengo che per voi un progetto personale di vita non può non integrarsi con uno sociale: un camminare insieme, nella memoria delle vostre grandi tradizioni cristiane anche socialmente avanzate e contemporaneamente un riflettere sulla qualità della vita di cui tanto progresso deve pervenire, in termini di giustizia e di solidarietà.

Ma all’uno e all’altro progetto, personale e sociale, una solida visione cristiana ha la grazia di ispirare e reggere i pur meritevoli, ma sempre deboli sforzi umani.  

II. Giovani e Chiesa

Una seconda area di domande investe il vostro rapporto con la Chiesa. Sovente, in termini di sofferenza, ma anche di volontà di partecipazione con la generosità che vi distingue.

Risponderò allora ad altre vostre domande.

3. “Abbiamo costatato che esiste, non solo tra i giovani, la tendenza a dare esclusivo rilievo al rapporto personale con Dio, al di fuori della Chiesa come istituzione. Qual è il suo pensiero in proposito?”.

Suppongo che il mio pensiero possiate intuirlo! Tuttavia lo voglio articolare, in modo breve ma indicativo per una vostra personale riflessione.

La mia risposta a questa domanda è un invito, cari giovani, a ritrovare nel Vangelo stesso, negli atti e nelle parole di Gesù la volontà di istituire la Chiesa “come sacramento”, col triplice scopo di prolungare nel tempo e dappertutto quello che Gesù iniziò a fare: annunciare la verità del Vangelo del regno; continuare i segni del regno come gesti di liberazione e di amore per l’uomo in nome di Dio; testimoniare con la vita dei propri membri le beatitudini del regno.

Chiaramente, col realismo che va riconosciuto a Gesù, poteva egli non dotare con il servizio dei pastori, un popolo che cresceva sempre di più, in un crogiolo immenso di culture, in un mondo seduttore? Si può dunque dire di riconoscere il volere di Cristo, quando si fa una scelta cristiana senza la scelta di appartenere alla Chiesa?

Non sarà tempo, giovani, che, con atto di leale coraggio, riprendiate in mano i documenti del Concilio e studiate con serietà quanto là si dice sulla natura e i compiti della Chiesa?

Certo, appartenere alla Chiesa significa condividerne la via crucis, le imperfezioni e soprattutto sentire la responsabilità non solo di chiedere alla Chiesa, ma di dare ad essa la grazia di rinnovarsi e crescere. E poi non bisogna dimenticare che la Chiesa è ogni battezzato: voi siete la Chiesa, voi fate la Chiesa, e quando voi parlate della Chiesa parlate di voi stessi.

4. Voi fate delle domande sul rapporto tra parrocchia, movimenti e associazioni. Vi dirò che polarizzare la vita di una comunità locale, o diocesana o nazionale su questa tensione significa impoverire il mistero della Chiesa o deformarlo. Già altre volte ebbi a dire che i carismi nella Chiesa sono diversi e molteplici, ma distribuiti tutti per l’utilità comune, secondo quanto dice Paolo ai Corinti nei capitoli 12-14. Solo la convergenza di mente, di cuore e di opere sulla figura armonica e ben compaginata del corpo di Cristo (cf. Ef 4, 11-16), sotto la guida dei pastori che lo Spirito Santo ha posto a reggere le diverse Chiese (cf. At 20, 28) garantisce che la nostra non è opera di uomini, ma opera di Dio.

5. Voi tra le vostre domande, - e qui ne inserisco una seconda - mi chiedete perché faccio i miei viaggi e cosa ne ricavo.

Una cosa certamente: vado a vedere la Chiesa, e pur in situazioni talvolta drammatiche, incontro la Chiesa dei santi, dei martiri, dei profeti, dei missionari, dei poveri. Quante cose vi potrei dire su questa Madre Chiesa! È la consolazione tra le più alte che il Signore dona a me, suo servitore, nella sollecitudine del mio servizio petrino. Vi prego, giovani, informatevi sulla Chiesa come realtà cattolica e non riducetela a fatti talvolta deplorevoli, ma limitati, di cui venite a conoscenza. Potrei dire che questi fatti deplorevoli vengono presentati, pubblicizzati con grande disponibilità; al contrario troviamo meno disponibilità nel presentare il resto: cioè tutto quello che il Papa ricava dalle sue visite apostoliche.  

III. Giovani e valori morali

Era prevedibile che molte delle vostre domande riguardassero i valori morali, in rapporto alla libertà, all’amore, all’impegno. Ne ho scelta una di valenza universale, su cui ho riflettuto e di cui parlo volentieri con i giovani.

6. Uno di voi mi chiede: “Secondo lei, cosa significa per noi giovani, amare?”.

a) Ho voluto confrontare questa domanda con altre, più articolate, dove ho trovato il vostro turbamento per l’“edonismo esasperato, la pornografia dilagante, la mentalità permissivistica” che portano fatalmente a “dimenticare valori più alti ed indispensabili . . .”. Ebbene, sono d’accordo con voi: amare autenticamente, da cristiani, significa oggi tante volte andare contro corrente, essere uomini schietti che dicono male al male e bene al bene e con coraggio scelgono contro la maniera comune di far equivalere amore a sesso, validità a successo, autenticità al look o apparenza. Se volete raggiungere lo stile di amore del Cristo, preparatevi a saper anche soffrire come lui, in compagnia di lui.

b) E, d’altra parte, amare da cristiani non è solo difendersi.

7. Voi citate Maria Orsola, una ragazza della zona di Lanzo che confidava al suo parroco: “Sarei disposta a dare la vita perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio”. E Dio a 16 anni la prese in parola. Ecco, in questa vostra compagna vi è più che una difesa: vi è la scelta di lasciarsi innamorare in termini assoluti facendo riferimento a Dio stesso, accettando di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico. Amare da cristiani è questo miracolo: fare perno su Dio attraverso la persona di Cristo e donarsi agli altri in atteggiamento di disponibilità, di accoglienza, di aiuto. Entro quest’area le vocazioni al matrimonio, come alla vita consacrata, saranno vocazioni all’amore. Amando sul serio, acquisterete l’intelligenza e la cultura dell’amore, la correttezza nel vedere le esigenze e la concretezza del donarsi.

Vi confesso con semplicità che provo vero turbamento per il futuro del mondo quando noto generazioni giovani incapaci di amare veramente o che riducono il loro donarsi allo scambio di gratificazioni tra eguali, incapaci di vedere nella sessualità una chiamata, un invito ad un amore più alto ed universale.  

IV. Giovani e impegno sociale

In questo campo ho notato il volume forse più alto delle domande.

Mi piace innanzi tutto dare atto delle tante forme di impegno sociale che Torino, sulla scia dei suoi santi, ha saputo inventare: per i lavoratori, gli emarginati, gli emigranti, il terzo mondo. E proprio perché vi impegnate avete altri interrogativi da porre per fare di più, non solo a raggio locale, ma anche nazionale e mondiale. Ed è nella pura logica del Vangelo che le domande sulla scelta di fede diventano domande sulla scelta di impegno nella vita.

8. “Lei pensa che pace, sviluppo e solidarietà nel mondo siano soltanto ideali irraggiungibili, o, invece, obiettivi concreti? E noi giovani che cosa possiamo fare?”.

a) Ecco un grande interrogativo che onora chi l’ha fatto. Nella mia enciclica Sollicitudo Rei Socialis ho preso in considerazione queste brucianti questioni. Sì, io sono fermamente convinto che pace, sviluppo e solidarietà non sono solo miraggi fantastici, ma ideali da tradurre in obiettivi concreti, a cui avvicinarci sempre di più, col coraggio di passi talora piccoli, ma chiari ed avvertiti. Il mio convincimento poggia su due ragioni, che affido alla vostra riflessione:

- Dio, al quale abbiamo la grazia di credere, attraverso la testimonianza storica di Gesù, ha dimostrato di essere il Dio della pace, della giustizia, della solidarietà mutua, il Dio dei poveri e degli oppressi. Vi prego di ricordare questo assoluto riferimento a Gesù Cristo, senza il cui aiuto veramente l’ideale si fa corsa quasi disperata.

- E, d’altra parte, mi convince la gente che nel segreto del cuore e nella libera espressione oggi afferma imperiosamente la nuova frontiera della pace e dei diritti umani.

Ecco, nel grido talvolta angosciato dell’uomo ed ancor più negli sforzi degli uomini e delle organizzazioni rette, io vedo la spinta misteriosa di Dio. E grazie a ciò oggi possiamo vedere spiragli promettenti e positivi.

b) Quanto al vostro ruolo di giovani, dico semplicemente questo: siete indispensabili, non per quello che potete con le vostre sole forze umane, ma per quello che potrete attraverso la fede nel Dio della pace che si fa cultura e impegno di pace. Ma potrete essere ciò che gli uomini si attendono da voi, se oggi già vi decidete ad agire. Viste le situazioni, intervenite. Il volontariato, fatto così meraviglioso del nostro tempo, è vivo tra voi. Solo abbiate la purezza delle motivazioni che vi rende trasparenti, il respiro della speranza che vi fa costanti, l’umiltà della carità che vi rende credibili.

Oso dire che un giovane della vostra età che non dia, in una forma o in un’altra, qualche tempo prolungato al servizio per gli altri non può dirsi cristiano, tali e tante sono le domande che nascono dai fratelli e sorelle che ci circondano.

9. Ed infatti voi stessi toccate subito con mano un problema che vi riguarda così da vicino.

In una domanda mi dite: “Nella nostra città si ritorna a parlare di razzismo nei confronti di immigrati, rifugiati, stranieri. Questa situazione quale sfida lancia ai giovani?”. Nella logica delle cose dette sopra voi intuite la direzione della risposta. Voi a Torino vivete certe situazioni sociali legate al tempo passato dei processi industriali. È doveroso riconoscere quanti lavoratori di altre regioni italiane hanno contribuito al vostro sviluppo. Certamente hanno ricevuto in termini di sicurezza economico-sociale, ma rimane sempre davanti a noi quell’altro compito di ordine morale che è quello di integrare spiritualmente e culturalmente coloro che sono differenti nella comunità, tanto più se condividono la stessa fede cristiana. Voi ben conoscete come lo stesso problema della droga sia legato spesso a sradicamento spirituale ed affettivo. Non è compito semplice, perché in questo campo gli interventi non sono materiali soltanto, ma nell’ordine dello spirito: dialogo paziente, convivenza, pronto intervento. Del resto tanta storia di Torino non è storia di ospitalità di rifugiati, di stranieri?

A voi, giovani, che per certi aspetti siete più esenti da pregiudizi e da steccati, il compito di ricostruire fraternità e riconciliazione, soprattutto tra i vostri coetanei, mediante l’istituzione provvidenziale degli oratori, delle associazioni e di altre forme di presenza a cui siete abilitati.

Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Benedetto Cottolengo, Leonardo Murialdo, li avete davanti a voi come modelli di coloro che hanno saputo amare concretamente la vostra città. A questi santi io vi affido. La loro diversità di tempo e di cultura non vi facciano perdere di vista la loro modernità di intelligenza e di cuore.

Vorrei concludere indirizzando l’ultima mia risposta, la più vicina al mio cuore, ed anche più sofferta, a chi non ha potuto essere qui tra di noi: i detenuti, le cui domande dal carcere mi hanno colpito. Mentre li saluto con affetto, assumo e trasmetto a voi quanto mi dicono: “Caro Padre, prendiamo a prestito il saluto francescano "Pace e Bene" e vorremmo che tutti i credenti siano più sensibilizzati ai problemi dei detenuti”.

Qui si conclude il nostro dialogo. Vi è solo il dispiacere di non poter fare di più. Ma io considero sempre aperto il mio dialogo con voi: quando mi rivolgo ai giovani a Roma e nelle diverse parrocchie del mondo, è anche a voi che mi rivolgo, ascoltandovi e parlandovi tramite loro. Vi prego, restiamo in contatto!

La santa Vergine Consolata ed Ausiliatrice, le grandi e geniali figure dei vostri santi, in particolare don Bosco, il santo dei giovani, che ricordiamo nel suo centenario, vi aiutino a riconoscere e a realizzare il vostro progetto di vita nel segno evangelico dell’amore per l’uomo del nostro tempo.

 

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