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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA MISTA
DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
E DEL SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI CRISTIANI

Mercoledì, 1° febbraio 1989

 

Cari fratelli in Cristo.

“Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12, 4-5).

Questo bel passaggio della lettera di san Paolo ai Romani ha ispirato il tema della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (18-25 gennaio) appena celebrata in tutto il mondo. L’avete certamente avuto presente nello spirito, voi tutti membri della congregazione per la dottrina della fede e del segretariato per l’unione dei cristiani riuniti in questi ultimi giorni per tenere insieme, per la prima volta, una sessione plenaria sull’importante tema: “Bilancio dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica. Prospettive future”.

Il testo di san Paolo, con l’immagine dell’unico corpo formato da molte membra con diverse funzioni e doni vari, allude alla misteriosa realtà, incarnata e visibile, del corpo di Cristo che è la Chiesa. Può dunque essere applicata alla nostra attività pastorale e, di conseguenza, alla ricerca dell’unità di tutti i cristiani che, come ho avuto modo di affermare in diverse occasioni, costituisce un impegno pastorale prioritario della Chiesa cattolica.

Più di due anni fa avevo raccomandato ai vostri due dicasteri di fare insieme il punto sul lavoro ecumenico compiuto dopo il Concilio, di studiare da una parte il problema del metodo da seguire in questa materia, e d’altra parte di affrontare la questione degli scopi, vicini e lontani, verso i quali conveniva orientarsi per il futuro.

Mi rallegro pertanto di questa iniziativa e posso dire che ne ho seguito lo sviluppo con grande interesse, sincera sollecitudine e fervente preghiera.

Nell’affermare chiaramente che l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica (Lumen Gentium, 8), il Concilio Vaticano II aveva riconosciuto specificamente altre Chiese e le rispettive comunità ecclesiali Unitatis Redintegratio, 3 et 15) e aveva indicato così il “ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani” come uno dei suoi principali intenti (cf. Unitatis Redintegratio, 1). Nella costituzione Lumen Gentium, aveva posto i fondamenti ecclesiologici cattolici dell’ecumenismo e nel decreto Unitatis Redintegratio ne aveva precisato sia i principi che il metodo da seguire. Queste direttive illuminate mantengono intatto oggi il loro valore sia per l’azione interna della Chiesa cattolica che per quanto riguarda le relazioni e il dialogo con le altre Chiese e comunità ecclesiali.

Questo impegno solenne del Concilio Vaticano II è stato attuato con convinzione e attraverso molteplici iniziative. Il Sinodo straordinario dei Vescovi, convocato per una riflessione comune a vent’anni dal Concilio (1985), ha giustamente osservato che l’ecumenismo è profondamente radicato nella coscienza della Chiesa cattolica.

Nel corso di questi anni, un dialogo teologico è stato avviato con le diverse Chiese e comunità ecclesiali. Con alcune di queste Chiese sono state anche sottoscritte importanti dichiarazioni da parte delle rispettive autorità ai più alti livelli. Diverse commissioni miste hanno pubblicato dei documenti attualmente allo studio nei nostri dicasteri, che permettono di giudicare dello sviluppo del dialogo teologico. Intensi contatti con gli altri cristiani hanno caratterizzato questi trent’anni: sono passati esattamente trent’anni - ho avuto modo di ricordarlo recentemente nella Basilica di san Paolo fuori le mura (25 gennaio 1989) - da quando il Papa Giovanni XXIII, con intuizione profetica, ha convocato il Concilio Vaticano II.

L’esperienza di questi incontri, la loro importanza, la loro complessità, le loro molteplici implicazioni, e la necessità di indicare delle prospettive per il futuro hanno consigliato di tenere questa sessione plenaria mista.

I due dicasteri hanno le loro particolari specifiche competenze. La costituzione apostolica Pastor Bonus le prevede e le segnala. Tuttavia, poiché per la sua propria natura l’ecumenismo tocca sovente delle questioni di fede, i due dicasteri devono affrontare delle tematiche con implicazioni comuni.

È dunque necessaria una collaborazione tra questi due dicasteri, ogni volta che la materia lo richieda. È davvero essenziale operare in perfetta armonia ogni qualvolta il dialogo ecumenico si trova ad affrontare delle questioni dottrinali e ogni qualvolta, all’interno della Chiesa cattolica, si affrontano dei temi con un’implicazione ecumenica. Una simile collaborazione è ugualmente utile quando si tratta di pubblicare dei documenti o delle dichiarazioni comuni.

La plenaria mista in corso in questi giorni manifesta chiaramente questa comune volontà. Di più: l’esperienza specifica dei suoi membri, provenienti dai cinque continenti, offre certamente un’occasione unica di confronto fraterno per promuovere, in modo armonico e costruttivo e con rinnovato impegno comune, la ricerca dell’unità per i tempi nuovi. Questa collaborazione appare oggi sempre più necessaria per il fatto che il dialogo teologico sta per affrontare le divergenze più specifiche tra i cristiani, nella ricerca di un pieno accordo nella fede.

Vi ringrazio di tutto cuore di aver dedicato a questa plenaria mista il vostro impegno, il vostro studio e la vostra preoccupazione.

Vi ringrazio di aver messo i doni ricevuti dal Signore al servizio della Chiesa e della santa causa del ristabilimento della piena unità di tutti i cristiani, unità che il Signore vuole per la sua comunità, che ha riscattato a prezzo del suo sangue.

Per questa santa causa, la Chiesa cattolica si impegna con tutta la sua sollecitudine.

Il nuovo Codice di Diritto Canonico ci ricorda chiaramente questo impegno affermando:

“Spetta in primo luogo a tutto il Collegio dei Vescovi e alla Sede apostolica sostenere e dirigere presso i cattolici il movimento ecumenico, il cui fine è il ristabilimento dell’unità tra tutti i cristiani, che la Chiesa è tenuta a promuovere per volontà di Cristo” (Codex Iuris Canonici can. 755 § 1).

Cari fratelli.

Ho seguito dall’inizio i lavori di questa assemblea plenaria mista con grande interesse, autentica sollecitudine e fervente preghiera. È quindi per me una gioia particolare essere con voi in questa circostanza.

Il Concilio Vaticano II ha indicato il ristabilimento dell’unità tra i cristiani come uno dei suoi principali intenti. Negli anni successivi questa responsabilità è stata portata avanti con molta efficacia attraverso un gran numero di iniziative ed è per la Chiesa oggi una importante priorità.

Anche se la congregazione per la dottrina della fede e il segretariato per l’unione dei cristiani hanno ciascuno una specifica area di competenza, come è indicato nella costituzione apostolica Pastor Bonus, essi devono ritrovarsi insieme ogni tanto per affrontare delle questioni che li riguardano entrambi. È pertanto necessario che lavorino strettamente affiancati quando, ad esempio, il dialogo ecumenico affronta delle questioni dottrinali, o quando i punti da trattare all’interno della Chiesa hanno delle implicazioni ecumeniche.

Questa assemblea plenaria mista è una buona espressione del desiderio di lavorare in armonia. La necessità di una collaborazione di questo genere continuerà ad aumentare nella misura in cui il dialogo teologico mette a fuoco sempre più le differenze specifiche tra i cristiani, nella ricerca di un pieno accordo nella fede.

Desidero ringraziare tutti voi per la vostra volontà di partecipare a questo importante compito. Con la mia apostolica benedizione.


C’era in questo discorso un po’ del cosiddetto “wish full thinking”. Ho detto che ho seguito i lavori di questa plenaria ma, questo, era per me un grande desiderio. Ho fatto però di questo desiderio un fatto compiuto; ma, devo dire, adesso, alla fine, che era mio grande desiderio poter essere qui e poter seguire la discussione.

La problematica che avete discusso, toccato e studiato è una problematica di grande rilievo, di grandissima importanza per la fede e per la vita della Chiesa.

Noi siamo entrati con il Vaticano II in un’epoca ecumenica e benché sono già più di venticinque anni, ancora ci troviamo all’inizio, perché il compito non è facile.

Non si può rifare, in un breve periodo, quello che si è fatto, nel senso contrario, in un lungo periodo. Mi ricordo di un incontro a Parigi. Ero presente, per la prima volta, ai lavori di un gruppo ecumenico francese. Ad uno che mi poneva interrogativi di questo tipo risposi con le stesse parole: noi non possiamo rifare una strada di secoli, di parecchi anni. Per questo, si comprende bene che il lavoro deve essere anche in un certo senso lento; ma qui, non si tratta tanto di lentezza o di rapidità.

Questo lavoro deve essere fedele ai suoi principi, ai principi evocati e formulati dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium e nella Unitatis Redintegratio; e poi, fedeli anche e soprattutto a questo che è il più grande principio dell’ecumenismo e del cammino ecumenico: la preghiera. La preghiera di Gesù diventa sempre più preghiera della Chiesa.

Sant’Agostino dice: si ascoltano le sue parole nella nostra anima e le nostre parole si ascoltano nella sua anima.

Quando noi preghiamo insieme con Gesù e lo facciamo sinceramente, si crea una speciale energia spirituale cristiana e ecumenica.

Volevo dire questo per sostituire la mia assenza a motivo dei miei altri impegni benché insieme con un desiderio anzi, con un qualcosa in più di un desiderio, volevo essere qui e ascoltare come posso ascoltare durante i Sinodi lo scambio delle esperienze.

Questo scambio delle idee è certamente il frutto più prezioso della vostra assemblea. Per questo ringrazio i due dicasteri, i due Cardinali e tutti i presenti. Voglio ancora salutare personalmente tutti e ciascuno. Forse, così, attraverso questo saluto, l’osmosi di questa assemblea si trasferisce anche in me.

 

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