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VIAGGIO APOSTOLICO
A CAPO VERDE, GUINEA BISSAU, MALI, BURKINA FASO E CIAD

APPELLO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO*

Centro di Studio e di Formazione per lo Sviluppo (CEFOD) di N Djamena (Ciad)
Giovedì
, 1° febbraio 1990

 

Eccellenze,
Signore, Signori,

1. Al termine della mia visita pastorale in alcun paesi dell’Africa, sono felice di avere la possibilità d’intrattenermi con i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Repubblica del Ciad e con i rappresentanti di alcune Organizzazioni internazionali. Saluto ognuno di voi e vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro.

L’esperienza dei miei viaggi ed i numerosi contatti che posso avere a Roma mi spingono a rendervi partecipi di alcune riflessioni su dei problemi di cui vi preoccupate quotidianamente. La pace è sicuramente la nostra prima preoccupazione. Abbiamo la soddisfazione di vedere il paese che ci ospita progredire nel consolidamento della pace e lavorare alla riedificazione delle rovine materiali causate da un lungo conflitto, ma anche alla riconciliazione in profondità degli uomini. Salutiamo questi sforzi ed incoraggiamo tutti coloro che li intraprendono per il bene comune.

Trovandomi in terra d’Africa, mentre sono testimone delle mirabili qualità dei suoi popoli, non posso fare a meno di ricordare anche i conflitti che li sconvolgono in molte regioni di questo continente. Vi sono fonti di sofferenze che sembrano non aver fine. Penso all’Etiopia, al Sudan, ad altri popoli colpiti dalla discriminazione razziale, ad altri ancora che endemiche rivalità etniche conducono talvolta a violenti scontri.

È vero che tutte le parti del mondo conoscono focolai di guerra. Vi sono cambiamenti, compaiono anche segni positivi. Ho avuto recentemente l’occasione di esprimermi al riguardo. Ma, poiché nessuna sofferenza umana può trovarci rassegnati, era mio proposito dire chiaramente alla comunità internazionale che la solidarietà fra i popoli non ha frontiere; che le grandi trasformazioni in atto nell’Europa dell’Est non devono spostare l’attenzione dal Sud e dal continente africano in particolare.

2. Dobbiamo constatare che, molto spesso, l’origine degli attentati alla pace non è chiaramente visibile. Sarebbe necessario che i responsabili locali e anche tutti coloro che esercitano un’influenza nei rapporti fra le nazioni avessero il coraggio della lucidità. Quali sono le implicazioni dei conflitti? Chi li favorisce? Quali diritti vengono messi in discussione?

È necessario saper capire ciò che alcune minoranze vogliono difendere al prezzo della loro stessa vita: le loro tradizioni, la loro cultura, le loro convinzioni, la loro dignità dinanzi a poteri che mal li tollerano e rifiutano la loro legittimità. Bisognerebbe anche avere il coraggio di porre in luce il ruolo svolto da tutte le parti, a cominciare dalle più potenti che hanno il controllo dell’economia, degli aiuti militari, delle alleanze.

Spetta ai responsabili politici e ai diplomatici ascoltare le richieste che vengono rivolte alla comunità internazionale. Bisogna inoltre che si giunga a riconoscere gli errori, gli abusi di potere, le ingiustizie, lo sfruttamento di cui si è potuti essere causa, poiché è più importante servire il progresso della pace per il bene di interi popoli che difendere il proprio prestigio. A questo si arriverebbe prima se si avesse sempre come scopo prioritario il rispetto dei diritti e della dignità di ogni uomo.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite e diversi organi regionali hanno già compiuto in questo senso alcuni sforzi che bisogna lodare. Si è giunti all’adozione di importanti testi, come la Carta africana dei Diritti dell’uomo e dei popoli. Sapete, tuttavia, quanto sia necessario ridurre la distanza fra il dire e il fare per applicare senza reticenze i testi. Si arriverà mai ad un accordo fra gli Stati di diritto per formare una Comunità che rinunci ad ogni eccezione al diritto? Si sapranno sviluppare procedure di arbitrato per risolvere le controversie, rispettando i diritti di tutte le parti?

Vorrei aggiungere ancora che le tragiche conseguenze dei conflitti non possono lasciare l’insieme dell’umanità nell’indifferenza. L’immagine che s’impone innanzitutto ai miei occhi è quella di migliaia di rifugiati che disperano di trovare una terra che li accolga, di ricostruire la loro esistenza e le loro famiglie. Il problema supera il campo di azione delle Organizzazioni specializzate, per quanto generosi siano i loro interventi. Si tratta di uomini che devono trovare ovunque fratelli in umanità! E, al di là delle specifiche condizioni dei rifugiati, è tutto il problema dell’emigrazione che occorrerebbe affrontare con il rispetto dovuto a tante persone rese vulnerabili dal loro sradicamento.

3. Per favorire la pace, ognuno riconosce l’importanza della cooperazione economica; è l’aspetto più visibile dell’efficace sostegno che le nazioni in via di sviluppo s’attendono. Ho già ricordato questo problema a Ouagadougou qualche giorno fa. Dinanzi a voi, vorrei salutare i positivi sforzi compiuti, come quelli che hanno condotto alla nuova Convenzione di Lomé, sottoscritta recentemente, come le disposizioni prese per alleggerire il fardello del debito dei paesi più sfavoriti, oppure i numerosi accordi con gli organismi finanziari internazionali e fra paesi.

Il lungo cammino che ancora resta da percorrere per giungere a migliori equilibri vi è noto; molti fra voi sono all’opera per far progredire una benefica cooperazione. Voglio semplicemente insistere, ancora una volta, sulle conseguenze umane degli accordi economici, sulla necessità della concertazione, sul rispetto delle responsabilità esercitate dai dirigenti e dai lavoratori delle zone meno favorite, nonché sull’attuazione dovuta ai valori tradizionali e alla civiltà dei partner.

La solidarietà internazionale deve ancor intensificare la cooperazione in favore dei paesi sfavoriti. L’opinione mondiale capisce oggi meglio l’urgenza della protezione dell’ambiente. È pronta a fornire il necessario sforzo? È pronta anche ad affrontare in modo altrettanto serio i bisogni dei popoli poveri per la loro sanità, per la formazione dei giovani, per l’informazione e la comunicazione, per lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi, per fare avanzare la ricerca scientifica negli ambiti specifici di questo continente, per consentire alle istituzioni scientifiche e tecniche africane un libero accesso alle conoscenze e alle competenze acquisite altrove?

Per illustrare la mia proposta con un esempio concreto, mi sia consentito di ricordare la convenzione conclusa l’anno scorso fra il Cameroun e la Santa Sede per la costituzione di un centro universitario, l’Istituto cattolico di Yaoundé. Si tratta di una cooperazione culturale cui partecipano anche altri paesi africani.

Come ho scritto in un solenne documento, “la solidarietà ci aiuta a vedere “l’altro” - persona, popolo o Nazione - [. . .] come un nostro “simile”, un “aiuto” (cf. Gen 2, 18. 20), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, al quale tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio” (Sollicitudo rei socialis, 39).

4. Quando si prende in considerazione la cooperazione internazionale per la pace e in particolare per lo sviluppo, sono molto spesso i rapporti fra Nord e Sud ad essere spesso chiamati in causa. Vorrei, tuttavia, sottolineare il grande beneficio che le nazioni africane possono ricavare da una collaborazione più intensa fra loro, del Sud con il Sud.

La varietà delle risorse e delle situazioni - non fosse altro che fra paesi “continentali” e paesi aperti sul mare - dovrebbe spingere gli Stati ad organizzare meglio i loro scambi e la loro complementarità. La geografia stessa lo suggerisce, nei grandi bacini fluviali, per la produzione di energia, per i mezzi di trasporto. E quando si tratta della circolazione delle persone, degli investimenti necessari alla formazione e alla ricerca: della complementarità delle produzioni agricole ed industriali, l’intesa fra gli uomini non può più scontrarsi contro frontiere, sulle quali, d’altronde, i loro antenati non si fermavano affatto.

È necessario auspicare che le Organizzazioni africane, continentali e regionali, diventino sempre più attive, per essere veri strumenti di promozione della pace e dello sviluppo in favore di tutti i membri. Il compimento di concreti progetti comuni li aiuterà, peraltro, ad elaborare comuni posizioni nelle discussioni, a volte difficili, che la congiuntura internazionale implica.

Da parte sua, la Chiesa in Africa si è abituata alla concertazione regionale e continentale. Come sapete, tutti i cattolici sono attualmente invitati ad una approfondita riflessione su tutti gli aspetti della missione ecclesiale, per preparare l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa che sarà una vasta consultazione su scala continentale.

5. Signore, Signori, vorrei concludere questo rapido giro d’orizzonte formulando fervidi voti per tutti gli africani.

Spero che la pace progredisca, che ogni essere umano abbia la possibilità di crescere, di formarsi, di fondare una famiglia e di allevare i figli, di esercitare un lavoro utile, di custodire le più belle fra le sue tradizioni e la generosità che tutti noi riconosciamo nel suo retaggio.

E spero che così la libertà progredisca, poiché la povertà materiale, intellettuale e spirituale impedisce il pieno esercizio della libertà delle persone, delle famiglie e delle comunità.

Che l’azione dei dirigenti e la collaborazione internazionale aiuti gli africani a ricevere il meglio di quanto può essere loro offerto senza che mai nessuno sia disprezzato, corrotto o ferito nel profondo del suo essere! Esprimo tutto il mio apprezzamento alla nazione di cui siamo ospiti e a quelle che voi rappresentate.

Chiedo a Dio di donare a tutti i popoli dell’Africa la forza della speranza.

 


 

*L'Osservatore Romano 2.2.1990 p.7.

 



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