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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AL PONTIFICIO
SEMINARIO ROMANO MAGGIORE AL LATERANO

Sabato, 29 febbraio 1992

 

Così, siamo tornati a San Francesco. Questo ritorno è molto significativo e lo si deve spiegare all’interno di una certa dialettica della nostra storia, della nostra civiltà, della nostra eredità. Possiamo qui parlare della nostra eredità universale, ma in particolare di una eredità specifica propria del mondo occidentale. Questa eredità che si qualifica secondo le sue fonti, da una parte bibliche, dall’altra parte intellettuali e culturali, come giudeo-cristiana e greco-romana, Questa eredità occidentale, secondo i suoi frutti visibili, viene a volte accusata di essere all’inizio di un processo di grande progresso e di grande sviluppo, ma unilaterale. Noi certamente viviamo nell’epoca dello sviluppo scientifico-tecnico, ma ci rendiamo - o almeno dovremmo renderci - conto che questo sviluppo è unilaterale.

Ecco, torniamo a Francesco.

Questo ritorno a Francesco appartiene alla dialettica piena della nostra eredità, della nostra civiltà occidentale, anche nella sua prospettiva universale. Questo ritorno a Francesco costituisce quasi una negazione, un contrasto rispetto a tutto quello di cui viene accusata la nostra civiltà: questo progresso unilaterale scientifico-tecnico. Francesco nella nostra eredità - non solamente quella giudeo-cristiana, evangelica, ma anche quella greco-romana - rappresenta un simbolo, ma soprattutto una realtà, in cui tutta questa unilateralità dello sviluppo, propria della civiltà occidentale, viene contrastata, viene superata.

Per questo torniamo sempre a S. Francesco. Ma si potrebbe dire semplicemente: per questo torniamo sempre a Gesù, al Vangelo attraverso Francesco. Molti infatti sono convinti che nella storia della nostra tradizione, della nostra eredità, egli rappresenta un modello di uomo, di persona umana, più vicino a Gesù. Un più perfetto imitatore di Gesù. Come persona, come realtà storica, come figura, come santo, in Europa - di cui è il simbolo - in qualche senso rappresenta il contrasto radicale dell’altro progresso, quello di cui siamo testimoni e utilizzatori, ma di cui a volte siamo anche vittime. Questo contrasto francescano consiste nel ritorno alla Creazione, al suo mistero. Questo ritorno al mistero della Creazione oggi forse potrebbero chiamarlo “movimento ecologico”, ma questo è molto riduttivo, benché invochino Francesco come Patrono. Questo è molto meno di ciò che egli rappresenta. Ritorno al mistero della Creazione, specifico di San Francesco, è ritorno attraverso il radicalismo evangelico della povertà, della castità e dell’obbedienza. Tutto ciò che è indicato come “consigli evangelici”, tutto ciò in cui il Vangelo è più radicale rappresenta una sfida per le nostre tendenze umane, per le nostre tendenze che provengono dall’eredità del peccato originale. Tutto questo egli ha sposato; e oggi abbiamo ascoltato un oratorio su questo sposalizio di Francesco con “Madonna povertà”, ma anche con “Madonna castità”, e con “Madonna obbedienza”. I tre consigli evangelici, le tre dimensioni dell’esistenza umana di Gesù, egli li ha sposati, li ha incarnati nei suoi tempi come protesta, anche, contro gli abusi dei suoi tempi, il secolo decimoterzo, quale potrebbe essere la protesta del nostro secolo, il secolo XX e i secoli successivi. Protesta costruttiva, non per negare i valori, perché il progresso scientifico-tecnico rappresenta grandi valori. E questa strada in cui la nostra civiltà, la nostra storia è incamminata rappresenta molti valori, ma unilaterali: non rappresenta tutto e se si prende come tutto non arricchisce, ma impoverisce l’uomo, le persone, la comunità, le famiglie, i popoli, le nazioni. Forse questo è anche una diagnosi della nostra epoca, delle nostre società: noi ci sentiamo tanto ricchi, da una parte, e nello stesso tempo tanto poveri. Poveri non di questa povertà evangelica, ma di una povertà diversa. Abbiamo perso una dimensione della nostra vocazione umana, della nostra ricchezza umana. Ecco i tre consigli evangelici: questa povertà sposata a Francesco, questa castità, questa obbedienza sono una scoperta di ciò che nel senso più profondo arricchisce la nostra umanità. Arricchisce perché mette ciascuno di noi dentro il mistero della Creazione, certamente, ma, soprattutto, dentro il mistero della Creazione attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione. Attraverso il mistero di Gesù.

Se pensiamo fino in fondo al mistero della Creazione, vediamo che esso vuol dire che abbiamo ricevuto e stiamo sempre ricevendo: c’è uno che ci dà in dono tutto questo di cui noi siamo esploratori; tutto questo soprattutto è un dono, tutto questo è bello, splendido in se stesso e si deve soprattutto guardare con ammirazione, si deve contemplare, si deve gioire. Così si spiega la povertà di Francesco, la ricchezza della sua comunione con la Creazione, con il mistero della Creazione. No, non era solamente ecologista, era Santo. Viveva il mistero della Creazione e lo viveva attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione perché se il Figlio di Dio si è fatto uomo, si è fatto creatura, è stato per confermare la Creazione in tutta la sua pienezza, soprattutto nella sua dimensione umana, e non si capisce l’uomo senza Cristo, come ci ha ricordato il Vaticano II; ma non solamente la creatura “uomo”, ma tutte le creature, tutto il mistero del Creato. Il mistero della Creazione Egli l’ha confermato in modo divino, ci ha ricordato che tutto questo è dono. “Ti glorifico o Padre, perché hai rivelato queste cose ai semplici, e non ai sapienti”. Non agli scienziati, ma ai semplici. A coloro che sanno sposare la semplicità, la povertà, e che sanno sposare così profondamente il mistero della Creazione. Essi sanno bene che sono essi stessi un dono di Dio Creatore e Padre; sono donati e perdonati e gioiscono di questo mistero.

Naturalmente, non si tratta soltanto di una sola figura, di un solo Santo, Francesco; si tratta di tutta la grande tradizione evangelica, di tutta la grande tradizione cristiana, di tanti altri Santi e Sante nei diversi secoli e anche nel secolo nostro, perché anche nel nostro secolo non mancano i Santi. Si tratta nello stesso tempo della profondità della vocazione cristiana. La vocazione cristiana è sempre risposta a questa grande sfida: da una parte, quella del mondo in cui viviamo, della civiltà con la sua unilateralità di sviluppo e di progresso; dall’altra parte, quella del Vangelo che ci chiama a fare la scoperta, nel modo più profondo possibile, di ciò che significa “dono”, “essere donato”, “essere creatura”, “essere redenti”, “essere amati”. Tutto questo, certamente, Francesco l’ha scoperto in modo emblematico, in modo esemplare e le sue stimmate, infine, furono la conferma di questa sua grande scoperta che era frutto della Grazia. Grazie per questo ricordo della figura di San Francesco che è uno dei ricordi propri alla nostra epoca. Ritorniamo a Francesco, ritorniamo per diverse strade, per diversi aspetti, ma sempre ritorniamo per trovare in lui un bilanciamento a tutto quello cui ci ha portato la nostra civiltà unilaterale. Ritorniamo per ritrovare in lui la chiave della piena dialettica della nostra eredità, della nostra civiltà, della nostra tradizione. Noi occidentali, ma anche quelli di tutto il mondo, possiamo cercare attraverso Francesco tanti contatti con il mondo orientale, asiatico, e anche oltre.

Oggi celebriamo la festa della Madonna della Fiducia e veniamo in questa cappella dove la Madonna della Fiducia, Madre della Fiducia, ci affida soprattutto a coloro che sono passati in questo Seminario Romano. Stamane ho celebrato la Messa per il XXV anniversario di un gruppo di Sacerdoti che hanno ricevuto l’Ordinazione in questo Seminario, sotto l’auspicio della Madonna della Fiducia. Anche noi che siamo qui, seminaristi e ospiti di questo Seminario, siamo tutti coinvolti in un grande e diversificato processo vocazionale. Tutti chiedono a Gesù, al Padre: “Quale è la mia strada? Dove devo andare? Che cosa scegliere?”. È una domanda benedetta. Questa domanda deve incontrare la risposta che si trova nella tradizione della Madonna della Fiducia, perché trovare la propria vocazione - sacerdotale, o religiosa, o coniugale: cristiana - significa trovare in fin dei conti la fiducia: in Dio, in se stesso. In se stesso attraverso la Grazia di Dio, l’amore di Dio. Trovare la fiducia. Ecco, a questo ritrovamento ci conduce Maria. Come ha condotto San Francesco e tanti altri Santi, così conduce sempre ciascuno di noi, ognuno nel modo proprio. Vi auguro che questo incontro, questo odierno, ma anche i tanti altri incontri che si fanno in questa cappella del Seminario Romano, siano fruttuosi in fiducia. Così la scoperta della propria vocazione, sarà una scoperta gioiosa, come gioioso era Francesco - pur tanto sofferente, tanto provato in modi diversi; anche le stimmate erano un grande privilegio ma anche una grande sofferenza: raffigurato a Cristo crocifisso, portava i segni della crocifissione nel suo corpo - era gioioso, era uomo di grande gioia e questa gioia si sente attraverso le generazioni e attraverso i secoli. Era un Santo gioioso. Si diceva una volta: “Santo triste, triste Santo”. Certamente, Francesco non lo era e se la sua attrazione, il suo fascino, il suo lavoro si prolunga attraverso i secoli, ebbene, certamente questo è anche la sua gioia specifica, la sua allegria che ce lo spiega. Ce lo spiega con la sua persona, con la sua santità, con il suo mistero.

Auguro a tutti, avvicinandosi già il periodo quaresimale, che esso sia fruttuoso, cioè anche gioioso.  

Prima di salutare singolarmente ciascuno dei seminaristi, il Papa così risponde alle parole di saluto rivoltegli dal Rettore, Monsignor Luigi Conti.  

Penso che questa categoria, “confronto”, sia molto ben inventata: nel processo sinodale, confronto con la città, diversi confronti. Vorrei dire, in questo contesto, forse un po’ “à rebours”, che anche voi siete un confronto con la città di Roma, perché, se questa grande città deve prendere fiducia in se stessa, nel suo valore, nella sua identità non solamente umana ma cristiana, si può fare un confronto. Allora si può mostrare il Seminario Romano. Ecco, Città di Roma, tu devi vederti attraverso questo Seminario, attraverso questa comunità di giovani che hanno scelto la strada del Signore, la vocazione sacerdotale, che si sono dedicati per tutta la vita a Lui, e devi riprendere fiducia nella tua identità, che non hai perso del tutto, Città di Roma, la qualifica apostolica, cristiana, petrina. Vi auguro di essere in questo senso sempre un buon confronto con la Città di Roma. È bellissima questa parola paolina secondo la quale voi siete la “carta scritta”. Certamente si scrivono lettere e opere e dissertazioni, scientifiche, bibliche, teologiche e filosofiche.

Certamente queste si scrivono sulla carta. Anche noi siamo una carta su cui si scrive e questa è una bella analogia. Lo scrivente, nel caso della dissertazione o di una lettera, è un uomo. Lo Scrivente, nel caso di noi come carta, è un Altro.

Possiamo dire che sono i Santi Apostoli, ma soprattutto è lo Spirito Santo. Vi auguro di essere per la Città di Roma un buon confronto con se stessa. Così potrà ritrovare la sua identità cristiana e apostolica. E poi vi auguro di essere veramente la carta su cui sta scrivendo sempre lo Spirito Santo attraverso i suoi doni, attraverso questo processo intimo della conversione interna, della santificazione, per la vostra maturità cristiana e sacerdotale. Sulla vostra personalità umana si scrive una carta speciale, perché il sacerdote è “uomo per gli altri”, così come anche Gesù viene definito “uomo per gli altri”. Non è una definizione completa, ma c’è qualche cosa in questa definizione che è vera e che si riferisce anche a tutti noi e si deve riferire a tutti voi. Cercate di essere sempre, in questo senso, una carta su cui deve scrivere lo Spirito Santo, facendovi sempre di più “uomini per gli altri” e sempre più, in Dio, uomini per tutti i fratelli, per tutti coloro ai quali sarete stati inviati una volta, speriamo tra poco.

Che il Signore vi benedica.  

Il saluto al termine della visita al Seminario Romano Maggiore  

Ci voleva, alla fine di questo discorso, un “osculum pacis”, per esprimere la pace di cui ci ha parlato Gesù, la pace che ci ha donato Gesù. Non è una pace dei criteri politici, no. Oltre i criteri politici, occorre cercare la dimensione evangelica della pace, certamente, se vogliamo una pace duratura, seria. La pace di cui parla Gesù è la pace della sua Redenzione, attraverso il suo sacrificio, la pace è riconciliazione con Dio: questa è la radice di ogni vera pace e anche di questo osculum pacis che ci scambiamo durante la celebrazione eucaristica e anche fuori.

Ebbene con questo osculum pacis volevo concludere il nostro incontro che è cresciuto nel mistero divino. Oggi c’è stato San Francesco che ci ha avvicinato a questo mistero ed è proprio per questo mistero che noi oggi siamo insieme e abbiamo partecipato a questa serata e, infine, a questa “agape”: grazie al mistero salvifico e redentivo di Cristo. Ogni anno ritorno qui nella giornata della festa patronale del Seminario Romano e vi ringrazio per tutto questo anno e per tutti i diversi lavori: soprattutto per quello più profondo che si fa nei cuori, nella formazione sacerdotale di ogni seminarista e di ogni futuro sacerdote. Ma anche per tutti gli altri lavori che sono subordinati a questo scopo principale. Ringrazio tutti perché non si tratta solo di una educazione a una autoeducazione, quella che costituisce una caratteristica propria del Seminario.

Ringrazio per l’aiuto che vi danno i vostri superiori, sia i più giovani, sia i più anziani, come i Padri spirituali e lo stesso Monsignor Rettore che ringrazio per il grande zelo, il grande impegno e il grande entusiasmo profuso. Così, cammina questo Seminario e possiamo essere grati al Signore di come cammina bene, di come si sviluppa bene. A tal punto costituisce per la Città di Roma un confronto, un confronto di fiducia, che non stiamo per niente male, noi romani. Questo costituisce una certa giustificazione per i romani, per la loro identità cristiana.

Vi ringrazio anche per le vostre preghiere durante tutto l’anno e per i diversi giorni in cui sono fuori Roma, ma tale è la caratteristica, l’identità stessa del ministero petrino. Ma grazie a Dio e grazie ai miei collaboratori, a cominciare dal Cardinale Vicario, pur con le assenze del Papa, la Diocesi di Roma cammina e anche il Papa è presente. È una cosa specifica che il Papa sia presente anche attraverso la sua assenza. Poi si potrebbe anche dire che è assente anche attraverso la sua stessa presenza. Questa è la dialettica, come nel caso di San Francesco.

Vi ringrazio per la preghiera perché la preghiera è un mistero grande. Se Gesù dice: “Dove siete due o tre riuniti in nome mio, io sono in mezzo a voi”, allora la preghiera - è un vero mistero - ha la forza di realizzare la presenza di Cristo, ma anche quella di tutti coloro per cui noi preghiamo. Così, grazie alle vostre preghiere, il Papa durante le sue assenze, è presente. Mi auguro che questa preghiera continui perché ne ho tanto bisogno per servire bene questa Chiesa di Roma e la Chiesa universale, nella sua dimensione mondiale. È necessaria questa dimensione propria al miracolo di Pentecoste - a Pentecoste si vede la Chiesa universale - e non si può ridurre la Chiesa alle dimensioni soltanto particolari, a molte Chiese, alla giustapposizione di molte Chiese. Vi è una Chiesa universale che risplende, che dà vita e che si realizza in ogni Chiesa particolare. Ma senza questa Chiesa universale, anche le Chiese particolari non hanno piena ecclesialità. Vi ringrazio per la vostra preghiera che certamente mi aiuta. Questa tradizione di pregare per Pietro è proprio originaria nella Chiesa, molto antica, soprattutto all’epoca della prima prigionia. Ma soprattutto, questa preghiera ci aiuta a realizzare la Chiesa nella sua piena dimensione, nella piena interiorizzazione del mistero di Cristo, ma anche nella sua estensione attraverso tutto il globo. Ci vuole sempre questa preghiera per far vivere la Chiesa, per farla ringiovanire. E per questo ci vuole anche la preghiera dei giovani: allora, cercate di essere giovani nella preghiera! Attraverso la preghiera, cercate di rimanere sempre giovani. Vi assicuro che questa è l’unica strada, l’unico mezzo, per rimanere sempre giovani.

 

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