DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO
Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Lunedì, 29 giugno 1992
Vostra Eminenza,
Cari amici,
Il Salmista, diede espressione a un’intima gioia quando esclamò: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133, 1). Con la stessa gioia saluto voi, membri della Delegazione che Sua Santità, il Patriarca Ecumenico e il suo Sinodo hanno inviato quest’anno per unirsi alla nostra celebrazione della Festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni della Chiesa di Roma. La vostra presenza, piena di significato perché è segno della comunione spirituale ed ecclesiale che ci unisce, è anche espressione del compito concreto che sta davanti a noi: il nostro compito comune, radicato nella tradizione apostolica, di intensificare le nostre relazioni mentre ci sforziamo verso la piena comunione, nella fedele obbedienza del volere di nostro Signore Gesù Cristo (cf. Gv 17, 21).
La vostra presenza, Eminenza, è particolarmente significativa. Essa ci offre l’opportunità di evidenziare i progressi compiuti nelle relazioni tra le nostre Chiese dal marzo 1959, quando lei venne, primo Vescovo Ortodosso, come Inviato Speciale di Sua Santità Atenagora I a visitare Papa Giovanni XXIII, iniziando quindi quel ricco scambio di contatti divenuti noti come il “dialogo della carità”. La pratica, fermamente radicata, di celebrare insieme la Festa dei Santi Pietro e Paolo a Roma e quella di Sant’Andrea al Fanar è parte importante dello sviluppo di cordiali relazioni. Questi regolari contatti facilitano la condivisione di idee e il coordinamento di iniziative pratiche. In modo ancora più importante, essi ci offrono l’opportunità di unirci nella preghiera davanti al Signore. In verità, la preghiera, che è la vera anima del movimento ecumenico, serve a purificare i nostri sforzi da ogni motivazione secondaria e contingente, e li pone fermamente nel contesto dell’obbedienza a Cristo, il Pastore del gregge (cf. 1 Pt 5, 4).
Per molti anni il “dialogo della carità” è andato di pari passo con un ricco dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e l’intera Chiesa ortodossa. Più recentemente, tuttavia, in varie parti del mondo sono emerse difficoltà pratiche che sembrano aver messo in discussione questi contatti. Ciò è in parte dovuto alla triste eredità del fungo e tragico periodo di persecuzione che le comunità cristiane di vari Paesi hanno dovuto sperimentare in questo secolo. Chiaramente, con l’aiuto di Dio, è necessaria una genuina purificazione delle memorie, così come un maggior senso di amore cristiano e di perdono reciproco.
Le relazioni tra i cristiani devono sempre essere guidate da ciò che San Paolo ci insegna nella prima Lettera ai Corinzi: “La carità è paziente, è benigna la carità... non cerca il suo interesse, non si adira non tiene conto del male ricevuto... ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7).
Questo atteggiamento spetta particolarmente ai Pastori della Chiesa. Desidero quindi assicurarvi che la Chiesa di Roma è pienamente preparata a cooperare con il Patriarcato Ecumenico allo scopo di rafforzare il dialogo della carità, specialmente in quelle aree dove sono recentemente emerse delle difficoltà. Un’atmosfera di rispetto reciproco assicurerà che le parole e le azioni non verranno male interpretate o fraintese, ma capite alla luce di relazioni basate sull’apertura e la fiducia.
La presenza a Roma della delegazione del Patriarcato ecumenico in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo è simbolo adeguato del desiderio di migliorare le relazioni tra di noi. Essa illustra il nostro impegno a pregare insieme e a sforzarci insieme nella ricerca dell’unità che il Signore desidera per la Chiesa. Il Signore ci benedica abbondantemente in questo compito.
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