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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DELLA SINTESI
DEI RISULTATI EMERSI NEL «CONFRONTO CON LA CITTÀ»

Sabato, 30 maggio 1992

 

“Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).

1. Queste parole di Gesù risorto, le ultime che egli ha rivolto ai suoi discepoli prima di salire alla gloria del Padre, sono anzitutto le parole di una promessa: annunziano, infatti, il dono e la forza dello Spirito Santo che pochi giorni dopo, nella Pentecoste, discenderà sulla Chiesa nascente. Sono, nello stesso tempo, le parole del comandamento missionario, reso possibile dall’adempiersi di quella promessa: con la forza dello Spirito gli Apostoli, nel volgere di pochi decenni, sapranno portare di fatto la testimonianza di Gesù, “messo a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4, 25), non soltanto a Gerusalemme, in Giudea e in Samaria, ma praticamente in tutto il mondo allora conosciuto, in particolare in questa Città di Roma, che di quel mondo era il centro e quasi il simbolo. In questa Assemblea ecclesiale, che raccoglie i frutti di una fase molto significativa del cammino del Sinodo pastorale diocesano, dedicata al “Confronto con la Città”, abbiamo invocato anche noi il dono dello Spirito, che tra pochi giorni celebreremo nella Pentecoste, e in virtù di questo medesimo Spirito ci colleghiamo a quei primi evangelizzatori di Roma, agli Apostoli Pietro e Paolo, che col loro sangue hanno fecondato questa Chiesa, facendo di essa il centro vivo della cristianità, la “Città posta sopra il monte” (cf. Mt 3, 14-16) per riflettere la luce di Cristo ed essere focolare di irradiazione missionaria.

2. Cari fratelli e sorelle della Chiesa di Roma, desidero dirvi anzitutto la mia gratitudine per la dedizione con cui vi impegnate nel lavoro sinodale, per l’attenzione con cui vi siete posti in ascolto di questa Città grande e complessa, cercando di capirla dal di dentro e di parlare al suo cuore, di coglierne le difficoltà antiche e nuove con l’animo e l’atteggiamento concreto del buon samaritano, di dare un contributo perché il suo sviluppo avvenga nel segno del primato della persona umana e di una cultura aperta ai valori dello spirito. Saluto e ringrazio in particolare il Signor Cardinale Vicario, Camillo Ruini, Monsignor Vicegerente, i Vescovi Ausiliari, i relatori dei seminari di studio. So con quanto impegno hanno operato, perché il “Confronto con la Città” potesse individuare i nodi più importanti e impegnativi della vita di Roma e riuscisse ad affrontarli con spirito costruttivo, con animo aperto alla collaborazione con tutti coloro che vogliono il bene di questa Città e, nello stesso tempo, con la coraggiosa determinazione di cambiare e di correggere quelle situazioni e quei comportamenti che sono in obiettivo contrasto con la dignità di ogni persona umana e con la solidarietà fra gli uomini. La mia gratitudine va egualmente alle Autorità e alle numerose insigni Personalità che hanno portato il loro contributo di pensiero e di proposta a questo “Confronto” e che oggi ci onorano della loro presenza. Così il “Confronto con la Città” è stato veramente un dialogo a più voci, che la Chiesa di Roma ha promosso nel sincero rispetto delle diverse posizioni e proponendo con lealtà e chiarezza quella visione della vita e della società che ha la sua matrice nel Vangelo di Gesù Cristo. Saluto con viva cordialità il Cardinale Ugo Poletti. Con lui abbiamo lavorato parecchi anni. Vostra Eminenza può vedere a quale punto ci troviamo e se ci comportiamo bene. Rivolgo un fervido pensiero al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Sindaco di Roma che hanno voluto onorare con la loro presenza questa riunione del Sinodo romano.

3. Le relazioni che abbiamo ascoltato ci hanno fatto comprendere, pur nella loro forzata brevità, la ricchezza dei risultati a cui il “Confronto” è pervenuto, in ciascuno dei molteplici ambiti in cui si è articolato. Non si tratta, evidentemente, di risultati conclusi in se stessi, ma di proposte e di stimoli rivolti al futuro, per tenere vigile l’attenzione del Sinodo alla vasta problematica presente nella realtà di Roma, per dare impulso e continuità a quel dialogo tra Chiesa e Città, in cui ciascuno ha qualcosa da offrire e qualcosa da apprendere, e soprattutto perché la Chiesa di Roma possa impegnarsi con crescente concretezza in quel molteplice servizio attraverso il quale essa “trova se stessa fuori di se stessa”, divenendo così autenticamente missionaria. L’immagine complessiva di Roma, che è emersa da questi mesi di intenso “Confronto”, chiede di essere guardata con un’attenzione preferenziale alle zone di sofferenza che essa ha messo a nudo: non perché queste siano prevalenti, ma perché Gesù si è immedesimato anzitutto negli ultimi e nei più piccoli dei fratelli (cf. Mt 25, 40). A seconda dei criteri usati per misurarle variano, come abbiamo udito, le dimensioni di queste aree di sofferenza. In ogni caso si tratta, però, di centinaia di migliaia di nostri fratelli: di anziani, di bambini, di giovani, di famiglie. Ricordando che il Signore ci giudicherà sulla base degli atteggiamenti che abbiamo verso di loro, siamo chiamati tutti, come persone e come comunità cristiana, a un impegno di servizio, ma anche di condivisione e di revisione di vita, perché le sofferenze siano alleviate e perché nessuno possa avere l’impressione che Dio si è dimenticato di lui. Le testimonianze di molteplici situazioni di miseria, di malattia, di degrado morale, di disperazione, di solitudine, che trovano aiuto e accoglienza nel volontariato organizzato, ma anche nella generosità spontanea e spesso nascosta di Sacerdoti, di Religiosi, di persone e famiglie cristiane, ci dicono che la Chiesa di Roma per grazia del Signore percorre con slancio questo cammino di fraternità. Ma la strada è ancora lunga, perché ogni parrocchia, ogni casa religiosa, ogni cellula viva della Chiesa giunga ad esprimere veramente una piena misura di carità e di solidarietà. Su questa strada il “Confronto con la Città” impegna noi tutti a procedere più speditamente.

4. Quella della solidarietà è, però, un’opera immensa, con dimensioni anche istituzionali, economiche, politiche, legislative, che la Chiesa non può e non vuole compiere da sola. Al contrario, lo spirito del confronto che abbiamo intrapreso è proprio quello di un grande sforzo comune, che coinvolga responsabilità, forze e competenze distinte e diverse, per adempiere con più concorde efficacia un dovere e un impegno che è di tutti. I problemi acuti e talvolta drammatici, che sono stati messi in luce non solo dal seminario sulle povertà, ma anche da quelli sulla tutela della salute e sul lavoro, oltre che dal confronto di base, svolto sul grande tema della famiglia, sono in realtà molto spesso anche problemi “strutturali”, che richiedono l’attenzione e l’impegno delle pubbliche istituzioni, come delle forze sociali, economiche e politiche, del mondo della cultura e della comunicazione. Si tratta di “pensare” la città nel suo complesso, nella multiforme connessione delle sue interdipendenze, per progettare e finalmente attuare – al di là dei troppi palleggiamenti di responsabilità, dei conflitti di interessi o di competenze, delle visioni corporative o, peggio, dei comportamenti illeciti – le iniziative necessarie per una forma di vita associata e di sviluppo che abbia veramente a cuore la popolazione di Roma nella sua interezza, comprese le persone e le famiglie più deboli e più a rischio. Un simile impegno di solidarietà non è, d’altronde, come i seminari hanno opportunamente sottolineato, alternativo alla creatività, alla modernizzazione, alla ricerca di una reale efficienza, quindi a quelle modalità di organizzazione sociale ed economica che consentono a ciascuno di esprimere il meglio delle proprie capacità in una competizione libera e onesta, che venga orientata anzitutto al soddisfacimento dei veri bisogni e delle migliori aspirazioni della gente (cf. Lettera Enciclica Centesimus annus, 36). E qui sono chiamati in causa non solo i pubblici poteri ma anche, e forse prima, tutti coloro che in vario modo hanno un ruolo peculiare nella formazione della cultura, nell’educazione, nella comunicazione sociale.

5. Di questi temi si sono occupati non pochi dei sette “Seminari”, affrontando una dimensione del servizio alla persona umana – quella del pensiero, della cultura, della formazione della coscienza morale, dell’apertura alla verità –, che è altrettanto essenziale e riguarda l’uomo in ciò che lo caratterizza e lo distingue fra tutte le creature del mondo. Anche dai Seminari sono venute varie indicazioni positive circa l’opera svolta dalle comunità cristiane e da tanti credenti, in forme singole o associate, attraverso l’impegno professionale o nel servizio volontario. Ma è pure emersa con particolare evidenza la sproporzione che spesso esiste tra le forze disponibili e gli obiettivi che si vorrebbero raggiungere. Abbiamo udito, ad esempio, come i giovani che l’opera formativa della comunità cristiana riesce a raggiungere in modo continuato e profondo, pur essendo numerosi, rimangono però sempre una parte modesta del mondo giovanile di questa popolosa Città. E abbiamo verificato egualmente come le logiche, a cui ubbidisce di fatto la comunicazione sociale, troppo spesso rispondano a criteri commerciali e sensazionalistici, piuttosto che alla ricerca del vero e alla messa in comune delle esperienze umane più autentiche. Più in profondità, la ragione di molti smarrimenti e del disagio che investe larga parte del mondo giovanile, ma ormai anche degli adulti, è stata ricondotta a una cultura troppo frammentaria e disarticolata, nella quale le persone faticano a individuare qualche credibile punto di riferimento, che dia unità e significato al proprio progetto di vita. Sia i Seminari, sia il confronto sul tema della famiglia hanno messo in luce, però, il vivo desiderio di un dialogo e di una collaborazione che, senza passare sopra alle differenze di idee e di proposte, possano stimolare la crescita culturale e arricchire tutti i partecipanti. Auspico vivamente che questo dialogo e questa collaborazione, in certa misura già in atto, possano incrementarsi anche tra istituzioni civili ed ecclesiastiche – come in particolare le Università – che hanno nella ricerca e nella comunicazione del sapere la loro comune origine e finalità. Vi è poi da tenere presente come una certa concezione del significato ideale di Roma e del posto che essa occupa nel mondo pervada gli innumerevoli legami che uniscono la comunità cristiana al vissuto di questa Città. La Chiesa può, pertanto, contribuire a far maturare la coscienza collettiva della Città, instillando in coloro che vivono in essa il senso di una speciale missione da svolgere. E soprattutto occorre confidare che il seme della verità di Cristo, se testimoniato con sincerità di vita, germogli e fruttifichi nelle coscienze espandendosi ben al di là di ciò che lascerebbe prevedere la modestia delle forze impiegate per la sua diffusione.

6. Con la realizzazione del “Confronto con la Città” il Sinodo pastorale ha potuto congiungere più concretamente all’attenzione per la comunione interna della Chiesa di Roma – che ha conosciuto un momento forte nelle Assemblee pre-sinodali di Prefettura, svoltesi nei primi mesi dello scorso anno – la prospettiva del rapporto tra Chiesa e società: è un passo di vitale importanza, perché l’annuncio e la promozione della verità dell’uomo, incarnata nelle molteplici e mutevoli circostanze della vita sociale, è parte essenziale della missione evangelizzatrice della Chiesa. L’impegno del “Confronto con la Città” ha pure aiutato la nostra Chiesa di Roma a far sì che le sue molteplici articolazioni – dalle parrocchie agli istituti religiosi, alle associazioni e movimenti e alle tante altre realtà ecclesiali che costituiscono la sua ricchezza – acquistino una più viva e concreta consapevolezza dell’unità della loro missione, per il bene spirituale e anche umano e civile di questa Città, unica al mondo. È stato giustamente ricordato che non si può stare convenientemente a Roma senza un’idea e un proposito universale: a sua volta, il nostro “Confronto con la Città” non ha potuto perdere di vista quell’unità delle due dimensioni, particolare e universale, che caratterizza la Chiesa di Roma, partecipe della missione universale del suo Vescovo. Così, dallo svolgimento e dagli sviluppi futuri di questo confronto anche il popolo di Roma, che conosce la fatica e spesso l’anonimato della vita quotidiana in questa Città, potrà essere stimolato a non perdere di vista il significato che essa ha per l’Italia e per tutto il mondo, non solo a motivo del suo grande passato, ma anche per quello che essa è oggi. E qui il nostro sguardo si indirizza spontaneamente verso un traguardo ormai non lontano: il grande Giubileo dell’inizio del terzo millennio del tempo segnato dalla nascita di Gesù Cristo. In questa circostanza l’Urbe sarà quasi costretta a fare una rinnovata e grandiosa esperienza di ciò che essa rappresenta per l’intero orbe della terra. A un evento di tal genere occorre prepararsi degnamente e tempestivamente: non si tratta, infatti, solo di approntare strutture di ospitalità o celebrazioni esteriori, ma soprattutto di promuovere la testimonianza di una comunità che sappia vivere quel dono e quel compito di esemplarità cristiana che le sono affidati da quando la predicazione e il martirio di Pietro e di Paolo segnarono i suoi inizi. Il nostro Sinodo diocesano, che nelle prossime Assemblee plenarie dovrà far tesoro di quanto è emerso in questi mesi di “Confronto con la Città”, costituisce il “tempo favorevole” per por mano a questa preparazione, che, del resto, già è indicata nel titolo programmatico del Sinodo: “La comunione e la missione della Chiesa di Dio che è in Roma alle soglie del terzo millennio”. Il Signore onnipotente e misericordioso, che nel corso della storia ha dato tanti e così ammirevoli segni del suo amore per questa Città, illumini e sostenga il nostro cammino. Maria Santissima, “Salus Populi Romani”, in cui è riposta la nostra fiducia, San Giuseppe suo Sposo e Patrono della Chiesa universale, la catena preziosa di Santi e Sante che hanno edificato con la loro presenza e testimonianza questa Città e questa Chiesa, siano il nostro modello e ci accompagnino con la loro amorosa intercessione. Vorrei ancora aggiungere un riferimento molto importante per questa nostra assemblea. È questo il secondo Sinodo romano. Ma, bisogna pensare anche al primo. Allora bisogna pensare a Papa Giovanni XXIII. Giovanni XXIII ha convocato e realizzato il primo Sinodo diocesano di Roma prima del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ma c’è, forse, un altro aspetto che tocca più da vicino questa conclusione che viviamo oggi: il “Confronto con la Città”. I giorni conclusivi del mese di maggio del 1963, erano gli ultimi giorni di vita di Papa Giovanni. Vogliamo ricordare, questa sera, che appunto in questo ultimo periodo della sua vita, in queste ultime settimane lui insisteva molto perché il Concilio introducesse nella sua programmazione tematica la Chiesa nel mondo contemporaneo. Era quasi il suo testamento. Ecco, ciò che stiamo concludendo, oggi, dentro il programma del Sinodo romano che ha voluto un “Confronto con la Città”, altro non è che una attuazione di quella sua intensa preoccupazione: la Chiesa nel mondo contemporaneo. La Chiesa non è solamente in Roma, ma essendo in Roma è tutta coinvolta in quello che è Roma e non può essere diversamente.

C’è una reciprocità che è emersa alla fine del Concilio Vaticano II così sollecitata da Papa Giovanni XXIII. La Chiesa nel mondo contemporaneo ci ha mostrato come il mondo è nella Chiesa. Penso che il frutto prevedibile di questo lavoro centrato sui diversi temi del “Confronto con la Città” sarà anche questo: che il mondo, i diversi elementi costitutivi di questo mondo contemporaneo di Roma, questa Roma come mondo contemporaneo si troverà più nella Chiesa perché la Chiesa si trova in questo mondo il cui nome: Roma, collegato con quello di Romuius come i Padri e gli antenati di questa Urbe ci hanno tramandato, può essere anche letto dalla fine per andare all’inizio. E il nome che ne esce fuori è: “Amor”.

Grazie!

 

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