Index   Back Top Print

[ FR  - IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI CARDINALI, ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA,
ALLA CURIA E ALLA PRELATURA ROMANA
PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

Martedì, 21 dicembre 1993

 

La consapevolezza del dono recato come offerta

1. “O admirabile commercium!”: “O scambio meraviglioso!”.

Questa frase, che in un certo senso segna il culmine del periodo natalizio, la troveremo di fatto nella liturgia del primo giorno dell’Anno Nuovo, benché il suo contenuto sia ben presente sin dall’inizio di questo tempo benedetto. “O admirabile commercium”: è anzitutto la notte della Nascita del Signore a proclamarlo. “Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio”: è un pensiero, questo, che ricorre sovente negli scritti dei Padri della Chiesa dell’Oriente come dell’Occidente, diventando un punto fermo della fede e dell’insegnamento ecclesiale. La liturgia riprende, quasi come motivo conduttore, questo stesso annuncio. In modo particolare lo fanno le antiche liturgie orientali, le quali nella presentazione dei doni eucaristici pongono in rilievo il fatto che essi vengono offerti utilizzando doni ricevuti da Dio stesso: “Tibi ex tuis”. La stessa cosa fa la liturgia romana, specialmente dopo il rinnovamento postconciliare, quando presenta all’offertorio il pane e il vino, allo stesso tempo dono di Dio e frutto del lavoro delle mani dell’uomo. Ancora una volta, dunque, “Tibi ex tuis”.

Questa “coscienza offertoriale” ritorna in vari modi anche nella letteratura. Il poeta polacco Jan Kochanowski nel sedicesimo secolo scriveva: “È tua di fatto qualunque cosa su questa terra l’uomo chiama sua. Dunque, con il cuore grato ti lodiamo Signore, perché non abbiamo niente di meglio da offrire” (traduzione da: Piesni, Ksiegi wtóre, Piesn XXV, w. 5-8). Offrendo i doni a Dio, l’uomo, nel corso dei secoli e delle generazioni, mantiene la consapevolezza di presentargli quanto egli ha da lui ricevuto. Proprio per questo lo offre. Il fatto di offrire manifesta la consapevolezza che egli ha del dono, recato come offerta. Questa consapevolezza era già presente durante la notte di Betlemme. La esprimevano i pastori, che portavano con sé i doni per il Bambino, così come più tardi i Magi dell’Oriente.  

Presentare questa collaborazione ai piedi del Dio Uomo nato a Betlemme

2. Perché oggi, in così singolare circostanza, mi soffermo a parlare di tutto ciò? Lo faccio per entrare nel clima delle Feste alle quali ci stiamo ormai avvicinando, e anche per immettermi nell’atmosfera di questo nostro annuale appuntamento. Mi incontro infatti oggi con i rappresentanti della Curia Romana e del Vicariato della Chiesa che è in Roma; mi incontro pertanto con quanti costituiscono l’ambiente in cui costantemente avviene lo scambio dei doni, anche nel senso in cui ne parla la Costituzione conciliare Lumen gentium (cf. n. 13). Questo scambio di doni costituisce la Chiesa nei suoi vari ambiti. Al centro si trova Roma, vi trovate voi, Venerati Signori Cardinali, voi, Arcivescovi e Vescovi, presbiteri, persone consacrate e dipendenti laici, qui presenti, e quanti con voi quotidianamente cooperano. È difficile, specialmente dopo le parole del Cardinale Decano, che ringrazio per i sentimenti espressi, non far riferimento alla liturgia e non ricordare l’espressione: “Tibi ex tuis”, oppure quell’altra espressione latina che pone in rilievo l’unione del dono divino con il lavoro delle mani dell’uomo. Una tale unione si opera costantemente al vostro banco di lavoro e di collaborazione con il Vescovo di Roma. Oggi il Papa desidera dirvi grazie per questo. Il miglior modo per ringraziarvi è proprio quello di presentare tutto questo lavoro e questa collaborazione come dono ai piedi del Dio Uomo nato a Betlemme, ponendolo nelle mani della Madre di Dio e di Giuseppe, suo Sposo, come fecero i pastori di Betlemme, ed in seguito i Magi dell’Oriente: “Tibi ex tuis”.  

Il secondo Sinodo della Chiesa in Roma

3. Il 1993, che si avvia al suo termine durante l’Ottava di Natale, è stato un anno ricco e mi è difficile non far riferimento ad almeno alcune “ricchezze” che esso ci ha donato. Come non menzionare anzitutto il secondo Sinodo della Chiesa in Roma, sinodo postconciliare dopo quello svoltosi durante il pontificato di Giovanni XXIII nel 1960, poco prima del Concilio Vaticano II? Chiaramente postconciliare è stato il carattere della recente Assemblea sinodale, e ciò è stato messo in giusto rilievo pure nel documento finale. Basta scorrere “Il Libro del Sinodo” per rendersene conto. In esso la Chiesa di Roma, che nel Sinodo si è impegnata attivamente dal 1987 al 1993, trova la fedele descrizione della sua situazione, delle sue necessità ed aspirazioni, dei suoi progetti e disegni apostolici. Questi ultimi sono importanti non solo per la Diocesi di Roma, ma per la Chiesa tutta intera, che Roma desidera servire.

Roma e il suo Vescovo sono al servizio delle Comunità ecclesiali del mondo: questo è stato confermato, nell’anno che sta per finire, da numerose visite: in Italia, ricordo in particolare la Sicilia, e fuori d’Italia. Già visitando le parrocchie romane, legate in genere ai vari membri del Collegio Cardinalizio, il Papa, in un certo senso, ha modo di sentire la voce delle Chiese, vicine e lontane, a cui i Cardinali appartengono e che attendono anch’esse il servizio del Successore di Pietro, il “ministerium Petrinum”.  

La ricchezza dell’Africa nella sua ospitalità e nei suoi Santi

4. Nell’anno che volge al termine, ho potuto visitare le Chiese del Benin, dell’Uganda e del Sudan in Africa, continente che va preparandosi a celebrare la speciale Assemblea del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 10 aprile all’8 maggio del prossimo anno. Non era la prima volta che il Papa si recava in terra africana; forse non sarà nemmeno l’ultima. L’Africa è ospitale: è contenta di accogliere il Papa ed è disposta ad affrontare, per questo, ogni sacrificio, anche economico. È una caratteristica che la distingue nobilmente. È povera l’Africa, ma allo stesso tempo ricca della stessa ricchezza con cui Cristo ha reso ricchi tutti noi, facendosi povero per noi (cf. 2 Cor 8, 9).

Ciò non vuol dire che nell’Africa si possa tacere riguardo ai problemi della giustizia sociale, non solo in ambito interno ma anche a livello di rapporti intercontinentali; al contrario, bisogna parlare. Bisogna parlare anche dei problemi che interessano le nostre relazioni con i seguaci della grande religione dell’Islam, cercando di affrontarli con animo aperto in ordine alle possibili soluzioni. La mia visita di un solo giorno in Sudan si inserisce in tale contesto. L’ospitalità dei padroni di casa è stata genuina e di questo sono loro grato. Le Autorità hanno formulato apprezzate promesse per quanto concerne la vita della Comunità cattolica in quella Nazione. Esprimo il fervido auspicio che esse trovino pratica attuazione, come segno di un dialogo costruttivo col mondo islamico. Particolarmente significativo è stato l’incontro con la Chiesa di quella Nazione a cui il Papa ha potuto restituire una degna figlia del Sudan, la beata Giuseppina Bakhita, elevata agli onori degli Altari il 17 maggio 1992, in piazza San Pietro. Il Papa l’ha consegnata alla sua patria terrena, come prima Patrona. Così, dunque, accanto ai Martiri Ugandesi, appare questa povera schiava sudanese, guidata da Cristo alla santità lungo sentieri a Lui solo noti. La ricchezza dell’Africa non sta soltanto nella sua ospitalità, bensì anche nei suoi santi, il cui numero va aumentando. Ecco una grande gioia per la Chiesa che è in Roma e per il Sinodo dei Vescovi Africani, che si avvicina ormai alla sua conclusione.  

In Spagna un coro di entusiasmo nei confronti della Chiesa e della sua missione

5. Vorrei aggiungere qui una parola sul mio ritorno nella terra di Cristoforo Colombo: mi sono recato dapprima a Siviglia per il Congresso Eucaristico Internazionale, poi a Huelva e nei luoghi dove Colombo si preparò insieme al suo equipaggio per la decisiva spedizione oltre oceano, pur non sapendo dove tale spedizione lo avrebbe condotto. La mia presenza in Spagna ha assunto singolare rilievo nell’ambito delle celebrazioni per il quinto centenario dell’inizio dell’evangelizzazione dell’America. Tale evangelizzazione si sviluppò, a partire dal 1492, grazie alle risorse spirituali portate da Colombo nelle sue diverse spedizioni e, successivamente, grazie a quelle di cui disponeva allora la Chiesa in Spagna. Come dimenticare che quella era l’epoca nella quale emersero sant’Ignazio di Loyola, Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce? Era l’epoca in cui ebbe inizio il grande splendore della scuola di Salamanca, che pose i fondamenti del moderno diritto internazionale. Già prima, tuttavia, l’aveva fatto in un certo senso l’Accademia di Cracovia attraverso i suoi portavoce al Concilio di Costanza.

La presenza del Papa in terra spagnola è stata salutata con entusiasmo, specialmente a Madrid, in occasione della consacrazione della cattedrale dedicata a “Nostra Signora de la Almudena” e per la canonizzazione del Fondatore della Famiglia Teresiana, Enrique de Ossó y Cervelló. In questa tappa del “Quinto Centenario Colombiano” si sono attenuate le contestazioni e si è levato, specialmente a Madrid, un coro d’entusiasmo nei confronti della Chiesa e della sua missione nel mondo contemporaneo. Gli spagnoli mi hanno colpito per il loro entusiasmo, specialmente i giovani. Siano rese grazie a Dio per tutto ciò. È stato quasi un pregustare l’esperienza di Denver.

Denver: la grande sorpresa del 1993: dalla contestazione all’affermazione di Cristo

6. Denver è stata, infatti, la grande sorpresa del 1993. La Giornata Mondiale della Gioventù, che si celebra di volta in volta in varie località della terra – l’ultima era stata a Jasna Gora in Polonia, nel 1991 – ha avuto luogo quest’anno a Denver negli Stati Uniti, ai piedi delle Montagne Rocciose. Nel corso del pellegrinaggio apostolico che mi portava a Denver ho potuto completare le visite riguardanti il quinto centenario dell’evangelizzazione dell’America, soffermandomi presso la comunità afro-americana dell’isola di Giamaica, e poi presso la comunità indo-messicana a Mérida nello Yucatàn, sulle orme degli indigeni del Messico. La partecipazione di una grande schiera di loro discendenti ha testimoniato quanto sia stata efficace l’evangelizzazione in quel Paese.

Perché Denver è stata per me la grande sorpresa del 1993? Si prevedeva, almeno secondo alcuni mezzi di informazione, una grande contestazione, ed invece la Giornata mondiale è risultata una grande affermazione. Non un’affermazione del Papa o della Chiesa, ma, prima di tutto un’affermazione di Cristo. E non era la prima volta che i giovani esprimevano con tanto vigore il loro desiderio di portare il Vangelo nel nuovo millennio. Cristo è la via, la verità e la vita (cf. Gv 14, 6); Cristo è con loro, ed essi, con ardente animo giovanile, ne anelano la presenza. È per questo che desiderano la Chiesa, nonostante le umane debolezze dei suoi membri e non accettano che sia tolto loro un simile tesoro. Come affermare allora che essi amano slogans del tipo: “Cristo – sì, la Chiesa – no!”? Non seguono piuttosto, molti fra di loro, una strada “contro corrente” rispetto alla propaganda anticristiana? Questo ovviamente ha stupito e anche imbarazzato alcuni mezzi di comunicazione sociale, preparati ad assistere ad una grande contestazione. È stata una sorpresa persino per l’Episcopato americano, il quale ha constatato di non essere solo nella sua missione evangelizzatrice, ma di essere affiancato anzitutto dai giovani, artefici del domani. I Vescovi americani continuano ancora a parlarne e ripetono: “È la grande, straordinaria grazia di quest’anno...”. Non si poteva, dunque, non parlarne anche qui, tanto più che il 1993 è stato l’anno della visita “ad limina” dei Presuli degli Stati Uniti e del Canada: la grazia dell’incontro di Denver è divenuta così anche la grazia di tale visita.  

Nelle parole improvvisate a Tallinn il completamento dell’Atto Europeo dopo i noti eventi del 1989

7. A questo punto, sento il bisogno di ritornare con la mente e col cuore ai Paesi situati sul Baltico: la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. È stato finalmente possibile mettere piede in quella terra martire, tra contemporanei testimoni della croce e della risurrezione di Cristo; là dove l’annuncio missionario, partito da Roma verso il nord e l’est dell’Europa, s’è incontrato con lo slancio della evangelizzazione proveniente da Costantinopoli. In quelle terre la testimonianza della fede ancora una volta è diventata la forza dell’uomo. È difficile non provare profonda commozione al ricordo della Collina delle Croci in Lituania. È difficile non peregrinare col pensiero e col cuore alla Porta dell’Aurora, a Siluwa, oppure ad Aglona, in Lettonia. È difficile non esprimere meraviglia al vedere che non soltanto Riga, in maggioranza luterana, ma la stessa Estonia, dove il numero dei cattolici non supera le poche migliaia, hanno accolto il Papa con così viva cordialità. Dopo Vilnius, Kaunas e Riga, pure Tallinn, attendeva la presenza del Successore di Pietro e la sua visita ecumenica nella cattedrale luterana, come pure quanto egli avrebbe detto agli Estoni durante la celebrazione pomeridiana nella Vecchia Città. Le parole allora improvvisate sono risultate il momento più importante non solo per l’Estonia ma, in qualche modo, per tutta l’Europa. Undici anni fa, Santiago de Compostela in Spagna è stato il luogo dell’Atto Europeo. Nel 1993 l’Europa ha come sentito il completamento di quell’Atto proprio da Tallinn, dopo i noti eventi del 1989.  

La Veritatis splendor: non c’è luogo in cui non abbiano valore le parole di Cristo sulla verità

8. Ed eccoci all’Enciclica Veritatis splendor. Avverto, al riguardo, impellente il bisogno di rendere grazie allo Spirito di verità perché, mediante il ministero della Sede apostolica, coadiuvata dall’infaticabile opera della Congregazione per la Dottrina della Fede, ed in particolare del suo Cardinale Prefetto, come pure dall’apporto di Vescovi e teologi, si è potuto pubblicare questo documento, elaborato con diligenza nell’arco di quasi sei anni. Oggi non è possibile negare che esso era necessario. In passato occorreva dire la verità sull’uomo all’Europa dell’est, oltre il muro di Berlino; ora è necessario ribadire tale verità anche all’uomo che vive ad ovest e guarda con interesse verso l’est. L’uomo è lo stesso dappertutto; non c’è luogo in cui non abbiano valore le parole di Cristo sulla verità, la sola capace di rendere liberi (cf. Gv 8, 32). Tali parole costituiscono la base della dottrina sociale della Chiesa, come emerge dalla Centesimus annus (cf. n. 46), e sono il fondamento dell’intera morale umana, se questa non vuole condannarsi all’autodistruzione relativistica (cf. Veritatis splendor, 87).

Non è questo, purtroppo, il triste spettacolo offerto dal diffondersi nel mondo di deviazioni morali di ogni genere, tra le quali particolarmente penose quelle sessuali, in cui sono risultati coinvolti a volte, “flens dico” (Fil 3, 18), membri stessi del clero?

E come tacere poi delle varie forme di sette che si vanno moltiplicando in zone tradizionalmente cristiane, con manifestazioni di sincretismo religioso in cui il rapporto dell’uomo con Dio risulta privato della sua verità profonda?

La Chiesa desidera servire la causa dell’uomo, operando per affermarne concretamente la dignità in un consolidato contesto di giustizia e di pace. A questo mira la sua azione dottrinale e pastorale, nella consapevolezza che l’annuncio di Cristo non può andare disgiunto da tale servizio.

Come tacere a proposito delle efferate azioni di guerra che continuano ad imperversare nelle regioni della ex Jugoslavia?

La giustizia e la pace: quale lungo cammino, al riguardo, attende ancora l’umanità! Nubi minacciose di distruzione e di morte incombono tuttora su numerose regioni della terra. Come tacere, ad esempio, a proposito delle efferate azioni di guerra che continuano ad imperversare nelle regioni dell’ex Jugoslavia? Come non preoccuparsi di fronte all’acutizzarsi in tante parti del globo delle manifestazioni di nazionalismo esasperato? Possa il Natale, col suo messaggio di speranza e di amore, toccare il cuore dei responsabili e sorga finalmente per i popoli martoriati dalla violenza e dall’ingiustizia un’alba di pace e di serenità.

Confido di poter compiere nella prossima primavera un primo viaggio in Libano e di poter in seguito visitare tutti i principali luoghi legati alla fede cristiana

9. Nell’esprimere questo augurio penso, in special modo, alle iniziative di pacificazione che si stanno sviluppando in Medio Oriente e prego il Divin Salvatore di voler benedire una così meritoria azione alla quale si guarda con speranza da ogni parte del mondo.

Anche il Papa segue con trepidazione gli sviluppi delle trattative in corso ed affida quotidianamente a Dio nella preghiera gli sforzi che compiono a tal fine le persone di buona volontà.

Confido, in particolare, di poter compiere, a Dio piacendo, un primo viaggio in quella regione alla fine della prossima primavera. Esso riguarderà la terra tormentata del Libano, che ha tanto sofferto negli oltre sedici anni di guerra e che ora sta preparandosi a celebrare l’Assemblea Speciale del Sinodo. Lo scopo sarà, pertanto, ecclesiale e pastorale: intensificare lo sforzo per la preparazione del Sinodo libanese e ridare al tempo stesso fiducia a quelle popolazioni, nella speranza che, ritrovata la serena convivenza tra comunità di tradizioni diverse, esse possano quanto prima godere della piena libertà in una patria sovrana e unita.

Incontrerò i cattolici delle varie Chiese Orientali, ma sarò lieto di poter salutare anche i fratelli ortodossi, come pure i seguaci dell’Islam. Confido, altresì, di poter in seguito ritornare ancora in Medio Oriente, culla delle tre religioni monoteistiche: ebraica, cristiana e musulmana, per visitare tutti i principali luoghi legati alla fede cristiana, dove sono passati i Patriarchi, da Abramo in poi, e dove hanno operato Gesù Cristo e gli Apostoli.  

Verso l’Anno della Famiglia

10. Nell’“offertorio” della Notte Santa vorrei portare anche questi progetti e queste speranze ai piedi di Gesù nella Grotta di Betlemme. Ringraziamo insieme, venerati Fratelli e carissimi Collaboratori, lo Spirito di verità, perché non ha cessato di assistere la Chiesa nel suo quotidiano ministero pastorale.

La liturgia orientale, tanto profonda e ricca, concentra la sua attenzione sull’espressione “sancta sanctis”. Con i doni del pane e del vino recati all’altare, Cristo rinnova il suo sacrificio divino-umano; sacrificio nel quale Egli si dona al Padre e contemporaneamente a noi nella comunione eucaristica: “sancta sanctis”. Riceviamolo inginocchiati sulla soglia della capanna di Betlemme. Riceviamolo insieme alla sua Vergine Madre e a Giuseppe, custode della sacra Famiglia, volgendo lo sguardo verso l’Anno della Famiglia, che avrà inizio Domenica prossima, 26 dicembre, festa della Sacra Famiglia.

Venerati fratelli nell’Episcopato, carissimi fratelli e sorelle! Questo è ben il luogo e il momento opportuno per scambiarci gli auguri natalizi e per il nuovo anno. “Sancta sanctis”: da quanto viene compiuto in ogni “posto di lavoro” della Sede apostolica e del Vaticano, dei molteplici Dicasteri della Curia Romana, del Vicariato della diocesi di Roma, possa nascere e maturare la santità che il Cristo, da noi contemplato nel mistero del Natale, desidera donarci. “Sancta sanctis”... Questi sono i miei auguri per ciascuno di voi, che prendete parte all’odierno incontro solenne e familiare.

Buon Natale e felice Anno Nuovo a tutti! Con una particolare benedizione apostolica.

 

© Copyright 1993 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana