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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SANT’ELENA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 17 gennaio 1993

 

Ai bambini  

Giovanni Paolo II si reca questa mattina in visita pastorale nella parrocchia di S. Elena. Ad accoglierlo all’esterno della chiesa è una piccola folla festante di fedeli che il Papa saluta prima di fare il suo ingresso nell’edificio parrocchiale, accompagnato, tra gli altri, dal Cardinale Vicario Camillo Ruini, dal Cardinale Edouard Gagnon, titolare di S. Elena, dal Vescovo Ausiliare del Settore Est, Monsignor Giuseppe Mani, dal Parroco Padre Ezio Bergamo. Nella chiesa Giovanni Paolo II sosta a lungo a salutare i fedeli raccoltisi per la celebrazione eucaristica. Quindi, attraverso il cortile esterno della parrocchia, raggiunge una sala dove sono riuniti i bambini del catechismo e i ragazzi e le ragazze che si preparano alla Prima Comunione, insieme con insegnanti, genitori ed educatori. Accolto da un canto e da alcune parole di saluto pronunciate da una bambina di origine polacca nella lingua del suo Paese, il Papa rivolge ai piccoli presenti un breve discorso. Al termine riceve in dono da due ragazzi un’immagine mariana opera degli stessi bambini. Queste le parole pronunciate dal Santo Padre.  

Voglio salutarvi nel nome di Gesù Cristo all’inizio di questo nuovo anno. Ogni anno porta il suo nome e anche il primo giorno dell’anno ci ricorda la imposizione di questo nome, Gesù, al Figlio di Maria, Figlio di Dio fattosi Uomo, Figlio dell’uomo. Gesù ha ricevuto questo nome. E la parola ebraica Gesù vuol dire Salvatore. Allora questo nome è anche un augurio per tutti noi, per tutta l’umanità, specialmente per tutti i cristiani: l’augurio di vivere questo programma, questo piano di salvezza che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo, vivere in Gesù Cristo. Quando ci chiamiamo cristiani vuol dire che noi siamo legati intimamente a Cristo Gesù. E noi portiamo quasi tutti il suo nome, portiamo soprattutto questa forza di salvezza che ci ha portato lui, Figlio di Dio. La portiamo dall’inizio della nostra vita cristiana, dal momento del Battesimo. Voi tutti qui presenti siete battezzati nel nome di Gesù, siete tutti battezzati per partecipare alla sua vita, e così, partecipando alla sua vita, per portare in sé, sviluppare, maturare questa salvezza che Lui ci ha portato, questo bene immenso, bene divino che Lui ha portato, seminato, inserito nella nostra natura umana. Così formulo questi auguri all’inizio dell’anno dicendo: “buon anno”, ma pensando a questo bene soprannaturale, divino, che viene da Gesù. Che questo anno sia un nuovo anno di Gesù per tutti i presenti, per la vostra parrocchia, per i vostri pastori, sacerdoti, per le vostre famiglie, i genitori, per i vostri educatori ed educatrici, suore, religiose, per i catechisti e per tutti voi, ragazzi e ragazze che partecipate alla catechesi parrocchiale per prepararvi a vivere questo bene che Gesù ci ha portato. Così formulo gli auguri a voi, primi in questo anno, perché la prima parrocchia che visito in questo anno è la vostra. Faccio questi auguri e voglio confermare questi auguri con una benedizione a tutti voi, a tutti i vostri coetanei, ai ragazzi e alle ragazze, a tutti quelli che si preparano ai Sacramenti, soprattutto alla Prima Comunione e alla Cresima, alle vostre famiglie, alla parrocchia dedicata a S. Elena imperatrice, madre di Costantino.  

Al Consiglio Pastorale  

Al termine della celebrazione eucaristica, il Papa si sofferma nei locali della sagrestia a salutare i sacerdoti che hanno partecipato alla Messa e a scoprire una lapide che ricorda la sua visita pastorale. Quindi, in una sala del complesso parrocchiale, incontra i membri del Consiglio Pastorale di S. Elena. E la segretaria a salutarlo e a ringraziarlo a nome dei presenti. Al saluto il Santo Padre risponde con le seguenti parole.  

Voglio ringraziare per queste parole, brevi ma molto dense, di contenuto e di affetto, come anche per la vostra presenza, non solamente adesso, ma per la vostra presenza continua come Consiglio Pastorale della parrocchia di S. Elena. Devo dire che questo titolo di S. Elena ci offre l’occasione di molte riflessioni, di molti ringraziamenti, soprattutto per questi trecento anni della Chiesa delle catacombe, che ha sofferto tanto durante i diversi periodi, specialmente in quello di Diocleziano. Poi c’è stato quel cambiamento in cui S. Elena, madre di Costantino, ebbe la sua parte come cristiana. Penso che con la sua fede abbia preparato quel momento in cui, secondo la tradizione, Costantino ha potuto vedere “il segno”, il segno di Cristo, la Croce: “In hoc signo vincis”. È una tradizione. Se non possiamo constatare con certezza storica la verità di queste parole, certamente il significato è grande: “In hoc signo vincis”, perché il segno della Croce è veramente il segno della vittoria. E la Chiesa che esce dalle catacombe ha confermato questa vittoria con la sofferenza della Croce: tante generazioni, tanti martiri. E poi ha trasmesso questa eredità grande, questo fondamento forte alle generazioni future, fino ai nostri tempi. Così ci dice molto S. Elena, il suo nome, il suo momento storico. Dice molto soprattutto a voi, carissimi fratelli e sorelle laici. Era una donna, una madre, madre di famiglia, madre di Costantino. Oggi la Chiesa cerca le forze apostoliche fra tutte queste donne madri di famiglia e fra tutti gli uomini padri di famiglia, come anche fra gli altri, fra tutti. Le forze apostoliche certamente ci sono e aspettano di entrare nella vita della Chiesa: così nella vostra parrocchia, così nel Sinodo di Roma, e dappertutto. Si deve pregare molto per tutto l’apostolato dei laici che sta svolgendo una sempre maggiore opera apostolica nella Chiesa, nella vostra parrocchia, nella Chiesa di Roma e nella Chiesa del mondo. Vi ringrazio per questo aiuto che prestate come Consiglio Pastorale ai vostri pastori, specialmente al vostro parroco, e auguro a tutti, a tutte le vostre famiglie, a questo Consiglio, alla vostra parrocchia, un buon anno nuovo. Che si realizzi sempre questo: “In hoc signo vincis”.  

Ai giovani  

Prima di lasciare la comunità di S. Elena, il Papa incontra i giovani della parrocchia. Con le note di “Cantate al Signore, stupenda è la sua vittoria”, accompagnate da un balletto mimato eseguito da alcune ragazze, le nuove generazioni di S. Elena accolgono Giovanni Paolo II. Uno di essi, a nome dei numerosi presenti, rivolge al Santo Padre un breve saluto. Alle sue parole il Papa così risponde.  

Quando ho camminato qui tra voi e poi quando vi ho salutato, mi è venuta in mente una parola inglese: “shake hands”, dare la mano. È una cosa che facciamo tante volte. Anche io ho fatto questo con molti di voi e prima ancora con altri. È una cosa consueta, di costume, di tradizione, ma ha anche un suo significato. Se diamo la mano agli altri vuol dire che stiamo vicini a loro, che ci conosciamo, anzi, che vogliamo vivere in una certa “alleanza”, amicizia. Poi, dare la mano in italiano vuol dire anche aiutare. Allora, si vede che questo gesto così semplice, così consueto, quotidiano, ha tanti significati! Questo gesto è entrato nella Liturgia. Durante la Liturgia, prima della Santa Comunione, si dice: “Scambiatevi il segno della pace”. Sono diversi i segni di pace nel mondo, ma molto spesso un tale segno è il dare la mano alla persona o alle persone più vicine. Così esso diventa anche un segno sacro, un segno pieno di significato evangelico. Prima Cristo ha detto: “Vi do la mia pace”. E poi noi tutti facciamo lo stesso gesto, dando la mano al nostro vicino nella chiesa, dandola come segno della pace. Lo dico soprattutto per analizzare questo gesto consueto, diventato quasi di routine, che deve sempre ritrovare il suo pieno significato umano, sociale, e anche religioso. E lo dico anche perché il primo mese dell’anno comincia con la Giornata della Pace. E questo gesto è un anelito, un augurio che così si diano la mano le persone, i popoli che sono divisi, che sono in guerra, che si distruggono, come i nostri vicini della Bosnia Erzegovina. Si diano la mano, cessino di essere nemici, diventino amici, si accettino almeno come vicini. La Giornata della Pace apre ogni anno il ciclo annuale e anche liturgico in questo senso. Ma c’è anche un’altra circostanza che si avvicina: l’Ottavario Ecumenico, la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Anche qui, in un senso diverso ma molto analogo, si tratta ugualmente di dare le mani gli uni agli altri, i cristiani divisi, separati, per diversi motivi, in diverse epoche, ma tutti alla fine radicati nella stessa fede, nello stesso mistero di Cristo, nella stessa fede della Santissima Trinità, tutti abituati a ripetere “Padre Nostro”.

Allora ci vuole anche questo dare la mano, questo gesto pieno di significato ecumenico. Così adesso pregheremo insieme, tutti i giovani di questa parrocchia di S. Elena, per l’unità del mondo, per la pace e per l’unità dei cristiani.

 

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