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VISITA PASTORALE IN SICILIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AI DETENUTI DEL CARCERE «MALASPINA»

Caltanissetta - Lunedì, 10 maggio 1993

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Durante la mia Visita pastorale a Caltanissetta, non poteva mancare una sosta fra voi e per questo ho accolto volentieri l’invito che mi avete rivolto per il tramite del vostro Vescovo. Vi ringrazio per la vostra accoglienza. Saluto il Signor Ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Conso, che ha voluto essere presente a questo incontro. Saluto il Direttore e i responsabili della Casa Circondariale; gli agenti di custodia e il personale che a vario titolo qui lavora. Saluto con affetto ciascuno di voi, che qui siete ristretti e sono grato per i sinceri sentimenti espressi poc’anzi dal vostro rappresentante, che ha descritto le vostre difficoltà, ma anche le vostre attese, le speranze e i propositi. Sono qui per testimoniarvi affettuosa condivisione e profonda solidarietà. La vostra condizione non è certo felice. Separati dalla società, rischiate di sentirvi abbandonati ed immersi in una solitudine piena di sofferenza e d’inquietudine. Vorrei allora dirvi innanzitutto: non cedete mai alla tentazione dello scoraggiamento, aggrappatevi alla vita e alla speranza. Sì, dico speranza! È questa la strada per aprirsi ad un futuro di riscatto e di vera redenzione. La speranza è come un germoglio, un nuovo inizio di vita. E i germogli possono spuntare dappertutto, anche nei luoghi più aridi, tra le rovine più abbandonate. Sperare significa fidarsi del futuro, preparandolo con pazienza, fedeli agli impegni di oggi ed animati da una fede incrollabile in Dio, che sa trarre il bene pure dal male. Il carcere, visto in tale prospettiva, non apparirà come un luogo di solo castigo, ma come occasione di riscatto. Un luogo ed un periodo nel quale la pena va orientata alla maturazione della persona, al recupero dei valori fondamentali mediante un itinerario di approfondimento della propria identità e di autentica liberazione. Ciò richiede ovviamente pazienza e buona volontà; domando a ciascuno di contribuire con ogni mezzo, secondo le proprie possibilità, a tale non facile opera di recupero umano e spirituale.

2. Carissimi fratelli e sorelle, la Chiesa è accanto a voi. Oggi sono venuto in questo luogo per testimoniare a ciascuno di voi l’amore di Cristo e l’attenzione della Comunità ecclesiale. Cristo e gli Apostoli hanno sperimentato la realtà del “carcere” e san Paolo è stato diverse volte imprigionato. Gesù nel Vangelo afferma: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 36). Egli sembra volersi identificare con persone emarginate alle quali ben pochi amerebbero rassomigliare ed in mezzo alle quali egli invece si trovava a suo agio, offrendo loro comprensione ed apertura di cuore. Anche la sua morte in croce esprime una suprema testimonianza di amore e di accoglienza. Crocifisso fra due condannati alla sua stessa pena, egli assicura al buon ladrone pentito la salvezza: “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23, 43). Atto di estrema misericordia, di estrema donazione, capace di dare fiducia pure a chi si sente totalmente perduto. Con questo suo gesto di perdono il Signore parla all’umanità di tutti i tempi. Svela all’uomo la sua misericordiosa e amorevole tenerezza che non conosce ostacoli. Il progetto della salvezza è per ciascuno. Nessuno deve sentirsi escluso. Cristo conosce l’intimo della persona e con la sua giustizia supera ogni umana ingiustizia, con la sua misericordia vince il male e il peccato. Questa certezza fa zampillare dal cuore umano l’energia necessaria per riprendere ogni giorno l’itinerario della conversione, che è un cammino costante di abbandono del male e di ricerca sincera del bene. Ecco la strada per assaporare la gioia dello spirito; il sentiero indispensabile per ricostruire la propria dignità di figli di Dio.

3. So che alcuni anni fa, in occasione del Natale, voi avete rivolto, per il tramite del Vescovo, un messaggio alla Comunità ecclesiale di Caltanissetta, dove tra l’altro affermavate: “Solo la certezza di essere amati ci renderà più buoni”. Si tratta, in fondo, dell’esperienza evangelica: l’amore scioglie le resistenze più dure e spiana la strada del rinnovamento. Sperimentare la carità divina rende possibile l’autentica conversione. Carissimi Fratelli carcerati, la vostra condizione costituisce certamente motivo di costante riflessione per voi stessi e per l’intera comunità. Nel citato vostro messaggio, in alcuni tratti profondamente significativo, voi accennavate alla necessaria riconciliazione dei detenuti con la società, e della società con i detenuti. Da persona emarginata il carcerato deve diventare sempre più soggetto del suo destino. Questo richiede un’opera paziente da parte di tutti. Occorre, innanzitutto, impostare un’azione preventiva, diretta soprattutto ai ragazzi e al mondo giovanile; è necessaria, inoltre, una presenza accanto ai detenuti nel carcere che favorisca il loro recupero e il loro successivo reinserimento sociale, una volta rimessi in libertà. Alla base di un tale progetto vasto ed impegnativo è necessario che vengano posti solidi principi e validi ideali a cui ispirarsi. Occorre promuovere una cultura del rispetto e della fraternità che faccia perno tra l’altro sull’onestà, sulla sobrietà, sulla solidarietà. Uno stile di vita, improntato all’amore concreto. “Non amiamo a parole – afferma l’apostolo Giovanni – né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18). Possa tale incoraggiamento illuminare i vostri buoni intendimenti e sostenere lo sforzo di quanti nella vostra Diocesi si dedicano, con ammirevole generosità, al servizio dei carcerati e delle loro famiglie, come pure alla preziosa opera di prevenzione tra i ragazzi e i giovani. Penso qui al volontariato, strumento di fattiva vicinanza con il prossimo. Un suo lungimirante impiego in questo ambito favorisce il coinvolgimento positivo dell’intero corpo sociale nelle problematiche carcerarie e può incidere sensibilmente nella vita dei detenuti rilanciando in particolare un programma di valorizzazione della detenzione come strumento di crescita delle persone e favorendo nuovi incentivi alle cosiddette misure premiali.

4. Carissimi fratelli e sorelle, so che vi siete preparati all’odierno incontro con particolare cura. Guidati dal vostro Cappellano avete riflettuto insieme sulla Lettera apostolica Salvifici doloris. In essa ho scritto che la scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma la sensazione deprimente d’inutilità della sofferenza (cf. n. 27). Alzate lo sguardo verso il Signore e nel suo volto sofferente e glorioso non vi sarà difficile riconoscere i segni della speranza. Il suo amore, ve lo assicuro, sarà fonte di rinnovamento e di vera rinascita alla vita. Per quanto faticoso possa apparire il sentiero del bene, esso è l’unico che conduce alla piena serenità e alla pace.

Con tali sentimenti, affidandovi alla materna protezione della Madonna in questo mese di maggio a Lei dedicato, vi imparto con affetto la mia benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone a voi care.

 



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