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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
IRANIANA IN VISITA  «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 3 dicembre 1994

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. E con profonda emozione che vi accolgo in occasione della vostra Visita ad limina e che vi rivolgo il mio cordiale saluto alla maniera dell’apostolo Paolo: “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo” (Fil 1,1 ). Vi sarò grato se assicurerete della mia profonda unione spirituale i Vescovi che non hanno potuto partecipare con voi a questo pellegrinaggio sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo.

Il nostro incontro costituisce un momento importante della comunione fraterna tra i successori degli Apostoli, che formano una “preziosa corona spirituale” intorno al Successore di Pietro (Ignazio di Antiochia, Lettera agli abitanti di Magnesia, XIII, l). Nella preghiera e nel dialogo, con me e con i miei collaboratori delle diverse Congregazioni della Curia Romana, ci è data l’occasione di condividere le gioie, le speranze e le sofferenze di ognuno di voi nell’esercizio della sua missione pastorale.

2. La terra dove voi vivete ha una ricca tradizione spirituale. In effetti, alcuni episodi dell’Antico Testamento, menzionati nei libri di Ezechiele, di Ester, di Giuditta e di Esdra, sono legati all’antica Persia. La storia del vostro Paese è dunque in stretta relazione con la storia del popolo dell’Antica Alleanza, al quale è stato affidato il messaggio della Rivelazione. Fin dai tempi apostolici, comunità cattoliche si sono insediate nel territorio dell’attuale Iran, come testimoniano alcuni autori antichi (cf. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, III, l). Secondo la tradizione, esse avrebbero ricevuto il tesoro della fede grazie all’apostolo Tommaso, che continua oggi a ispirarle e a sostenerle nella loro missione, in mezzo ai dubbi e alle difficoltà incontrate. Nel corso dei secoli, la vitalità delle vostre Chiese si è manifestata specialmente attraverso la partecipazione di un Vescovo persiano al Concilio di Nicea, dove i Padri hanno raccolto la Tradizione e hanno esposto la fede trinitaria di tutta la Chiesa.

“Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore” (Fil 4, 1); con queste parole di San Paolo, vorrei incoraggiarvi a mantenere viva la presenza della Chiesa nel vostro Paese e a proseguire instancabilmente la missione di rivelare il volto di Cristo al mondo, in particolare mediante la testimonianza della vita cristiana. So che la vostra azione pastorale è spesso difficile e regolarmente ostacolata per diversi motivi legati alla situazione attuale, come mi è stato chiaramente indicato nelle informazioni che ho ricevuto prima della vostra visita. Tuttavia, come il popolo eletto che attraversava il deserto o che si ritrovava circondato da popoli più numerosi, voi siete il piccolo gregge che Dio ama.

Il Successore di Pietro vi invita a non scoraggiarvi e a non disperare. In ogni circostanza, ricordatevi che la Chiesa universale nutre per voi una grande stima e che apprezza la vostra presenza e quella di tutti i vostri fedeli nella vostra terra, presenza che si manifesta mediante la vita liturgica, la preghiera, la realizzazione di incontri e le vostre opere. Per tutto ciò voi siete riconosciuti come testimoni fedeli.

3. Desidero rendere grazie per lo zelo dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose. Trasmettete loro il ringraziamento e l’incoraggiamento del Papa per le attività che essi svolgono con grande fedeltà presso coloro che sono nel bisogno, senza distinzione alcuna. Ciò che essi fanno al più piccolo degli uomini, lo fanno a Cristo. Penso in particolare a ciò che fanno per i malati, per i bambini e per gli anziani, per tutti quei fratelli che rimangono spesso emarginati. Non dimentico le numerose espressioni della loro carità cristiana: l’accoglienza, l’ascolto, il dialogo e la solidarietà in tutti i suoi aspetti. Tutto ciò rappresenta una bella testimonianza che, sebbene silenziosa, attesta che il Vangelo trasforma il mondo come un fermento e che la carità tra i fratelli si fonda sull’amore ricevuto dal Signore. E così che Sant’Agostino può affermare: “Contro la violenza dell’amore, il mondo non può fare niente” (Sant’Agostino, Enarrationes in Ps, 48 [47], 14).

Nulla andrà perso di ciò che viene fatto in nome del Signore, in risposta al suo amore per gli uomini. Al contrario, qualsiasi opera di carità eleva il mondo.

La mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose autoctone nelle vostre diverse diocesi vi preoccupa. Con l’aiuto dei vostri fedeli, dei sacerdoti e dei religiosi, vi invito a ricercare le soluzioni indispensabili alla vita delle vostre comunità. Insieme, potete invitare alcuni giovani, ragazzi e ragazze, a impegnarsi in modo radicale nella sequela del Signore. La preparazione di una nuova generazione di sacerdoti e di consacrati, nativi del vostro Paese, richiede tempo. Essa inizia con la formazione umana e spirituale dei laici, in particolare delle famiglie, la cui responsabilità è fondamentale nella nascita e nella crescita delle vocazioni. I movimenti giovanili, che voi cercate di promuovere, sono anch’essi importanti ambiti per lo sviluppo della personalità di ogni giovane, per la sua formazione cristiana, per la sua apertura agli altri e per la necessaria collaborazione tra tutti i componenti della società iraniana.

Come gli Apostoli che, raccolti nel Cenacolo, hanno ricevuto la luce dello Spirito Santo affinché l’amore di Dio risplendesse ovunque sulla terra, auspico che i giovani siano figli della luce e che traggano la loro forza dalla preghiera, dai sacramenti e dalla vita fraterna. Nell’ambito dei movimenti, gli adulti hanno il compito di trasmettere la chiamata del Signore ai loro figli, rivelando loro che seguire Cristo e dedicarsi alla missione della Chiesa consente di riuscire nella vita e di essere felici, anche se ciò comporta sacrifici, specialmente in una società che ha difficoltà a comprendere il senso di tale impegno.

Nel ringraziare vivamente tutte le comunità che hanno inviato alcuni loro membri a sostenere la Chiesa in Iran, rinnovo anche il mio appello alle Chiese più ricche di vocazioni e alle Congregazioni religiose, affinché sappiano mandare testimoni del Vangelo nei Paesi più bisognosi, preoccupandosi di dare alle persone la formazione richiesta e di far scoprire loro le ricchezze della storia e della cultura locali.

4. La realtà sociale in cui vivete vi mette in stretto contatto con la popolazione che, nella sua maggioranza, professa la fede musulmana. La Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II fornisce indicazioni precise, che ispirano la Chiesa, per il dialogo interreligioso. Si tratta del rispetto della coscienza personale, del rifiuto di qualsiasi coercizione o discriminazione in ciò che concerne la fede, la libertà di poter praticare la propria religione e di poterla testimoniare, così come della considerazione e della stima per tutte le tradizioni religiose autentiche. Nel nostro cammino verso il terzo millennio, ho anche ricordato che il dialogo tra le religioni è un modo di realizzare la civiltà dell’amore, purché si faccia attenzione “a non ingenerare pericolosi malintesi, ben vigilando sui rischi del sincretismo e di un facile e ingannevole irenismo” (Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 53).

5. Cari Fratelli nell’Episcopato, la vostra presenza mi rende vicino a tutti i fedeli delle vostre diocesi, ai quali vi chiedo di trasmettere i miei affettuosi saluti, in particolare alle famiglie e ai giovani. Li incoraggio a rimanere figli della Chiesa, mediante una fede salda, una speranza profondamente radicata in Cristo e un’instancabile carità. Dite loro che la mia preghiera li accompagna nel loro compito di testimoni di Cristo risorto.

Affido all’intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, il vostro ministero e la vita delle vostre Chiese. Che Cristo vi illumini e sostenga i vostri costanti sforzi, così come quelli dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose e dei fedeli laici nella terra d’Iran!

A tutti imparto la benedizione apostolica.

 

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