DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA REGIONE NORDESTE III
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»
Venerdì, 29 settembre 1995
Cari Fratelli nell’Episcopato,
1. È con immensa gioia che vi do il benvenuto, Vescovi provenienti dalle Province Ecclesiastiche di Bahia e di Aracajú: “Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene” (Ap 1, 4). La vostra presenza testimonia la comunione nella grazia che vi unisce, nella Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, al Vescovo di Roma, centro visibile dell’unità in tutti i tempi. Realizzando questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli, rinnovate la vostra convinzione che la realtà storica concreta, che è la Chiesa, ha la sua origine nei Dodici e in nostro Signore Gesù Cristo, che stabilì questo Corpo vivo come sacramento di salvezza (cf. Costituzione dogmatica Lumen Gentium, 1), che Egli stesso ha ottenuto per noi mediante la sua morte e risurrezione. Ringrazio il Vescovo Paulo Lopes de Faria per le sue parole che esprimono lo spirito che accompagna i vostri fratelli nell’Episcopato e riflettono l’armonia che guida la vostra comune missione di Pastori delle Chiese particolari che rappresentate.
2. Questa certezza circa la Chiesa come segno effettivo di salvezza è la fonte dei vostri instancabili sforzi per trasmettere il Vangelo a tutti coloro che sono stati affidati alla vostra cura pastorale. Essa è alla base del dovere urgente, da parte di tutti i Pastori della Chiesa, d’ispirare e di orientare la plantatio Ecclesiae e l’ulteriore crescita della Sposa di Cristo in tutti i luoghi e in tutte le culture.
Alle soglie del terzo millennio, la missione apostolica che vi è stata affidata ha davanti a sé le straordinarie sfide della Nuova Evangelizzazione, in cui la cultura riveste un’importanza primordiale. Proprio in linea con queste considerazioni, nel partecipare alle commemorazioni del V Centenario dell’evangelizzazione dell’America Latina, volli dare particolare enfasi alla “cultura cristiana”, perché il Vangelo di Cristo portato agli uomini arrivasse a ognuno nella sua cultura, nella speranza che, a sua volta, la fede dei cristiani fecondasse le culture emergenti. L’America Latina accoglie quasi la metà dei cattolici del mondo. Il successo della Nuova Evangelizzazione dipenderà da come la Chiesa, e in particolare voi, che portate sulle spalle il pesante fardello di illuminare il cammino del gregge che vi è stato affidato, saprete mantenere questo dialogo tra la cultura e la fede.
Per confermare i vostri sforzi e infondervi coraggio di fronte ai vostri doveri, come ho già fatto in occasione delle visite “ad Limina” dei vostri fratelli delle altre regioni, mi permetto di suggerirvi alcune riflessioni su temi che molti di voi condividono con me e che sono tra gli obiettivi prioritari del vostro ministero episcopale. In particolare con voi della Regione Nordeste III, desidero oggi soffermarmi sullo stato del rinnovamento liturgico nel vostro immenso Paese e sul compito di giungere a una Liturgia romana correttamente inculturata nel popolo brasiliano.
3. La promozione della vita liturgica, nel contesto sopramenzionato, rappresenta più di una sfida. Sono a conoscenza del fatto che, in questo ambito della vostra responsabilità, molto è stato fatto e per questo bisogna rendere grazie a Dio. La mensa della Parola di Dio è stata abbondantemente aperta a tutti con traduzioni adattate all’uso liturgico, e la recente pubblicazione del Messale e della Liturgia delle Ore nella lingua del Brasile ha offerto alla preghiera della Chiesa in Brasile punti di riferimento definitivi.
Questa preghiera, che affonda le sue radici nel tesoro della tradizione della Chiesa e tende a santificare il giorno e le opere, deve accompagnare la missione dei sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, e essere sempre più aperta anche ai laici. La missione della Chiesa e la sua attività apostolica esigono di fatto di essere unite all’incessante preghiera, secondo l’invito e l’esempio di Cristo, per elevare a Dio il mondo che evangelizziamo (cf. Mt 26, 41; Mc 6, 46).
In questo senso, è necessario ricordare la recente pubblicazione nel vostro Paese dell’edizione definitiva della Liturgia delle Ore, ormai completata. Molte delle vostre Relazioni Quinquennali segnalano il bisogno di aiutare i presbiteri a riscoprire l’importanza del Breviario per la vita spirituale e per il ministero. È pertanto giunto il momento di compiere tutti gli sforzi possibili per soddisfare questa esigenza, aiutando i vostri sacerdoti a vivere con rinnovato ardore ed entusiasmo, e in spirito di amoroso ossequio al Signore, quella “azione” liturgica che, come Sacerdoti, sono chiamati a offrire in nome e con tutta la Chiesa. Il dovere della recita integrale e quotidiana dell’Ufficio Divino (CIC, can. 276 § 2 e 3), deve essere percepito non come una norma fredda e meccanica ma come un imperioso bisogno del proprio essere sacerdotale, fatto “interprete e veicolo della voce universale che canta la gloria di Dio e chiede la salvezza dell’uomo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI/1 [1993] 1391; Direttorio per il Ministero e la vita dei Presbiteri, n. 50). La sua celebrazione deve essere diligentemente preparata, istruendo i seminaristi circa la storia e il significato del Breviario, e offrendo ai giovani sacerdoti un adeguato accompagnamento, nel quadro della formazione permanente, anche riguardo a questo sacrosanto dovere (Direttorio per il Ministero e la vita dei Presbiteri, n. 82).
4. Le azioni liturgiche in quanto “celebrazioni della Chiesa, che è «sacramento di unità»” (Costituzione Sacrosanctum Concilium, 26) devono essere disciplinate solo dall’autorità competente e, una volta determinato ciò, esigono da parte di tutti una totale e rispettosa fedeltà ai riti e ai testi autentici (cf. Sacrosanctum Concilium, 22)
Visto che la Liturgia, come l’esperienza post-conciliare ci ha insegnato, ha un grande valore pastorale, in vari libri liturgici è stato previsto, con indicazioni precise nei Praenotanda, un margine di adattamento all’assemblea e alle persone e una possibilità di apertura al genio e alla cultura dei diversi popoli. È giunto per voi il momento di valutare quanto è stato fatto fino ad ora in questo campo e di studiare in quali forme e in che modo rispondere a quanto queste norme prescrivono. Tutta questa opera deve ottenere nei riti quella nobile semplicità che renda possibile l’uso di segni facilmente comprensibili senza che ciò degeneri nell’impoverimento di questi stessi segni, rendendoli, al contrario, più espressivi delle realtà sacre che devono servire, e contribuendo, nel loro contesto, alla dignità e alla bellezza della celebrazione.
Spetta a ogni Vescovo, come regolatore, promotore e guardiano della vita liturgica nella comunità ecclesiale che gli è stata affidata, far fruttificare la grazia di Dio (cf. Decreto Christus Dominus, 15), e per questo è dovere di ognuno di voi vegliare affinché si osservino con attenzione e diligenza le norme e le direttive che esigono il rispetto delle celebrazioni, siano esse comuni a tutto il territorio della Conferenza Episcopale o particolari di una Diocesi. Una errata interpretazione del valore della creatività e della spontaneità nelle celebrazioni, anche se tipica di tante manifestazioni della vita del vostro popolo, non deve portare ad alterare riti e testi, né soprattutto il senso del mistero che si celebra nella Liturgia. La recente Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti Varietates legitimae vi offre tutto quanto è necessario per poter strutturare, orientare, esaminare ed eseguire la revisione dei vostri libri liturgici e poterli così presentare per l’approvazione definitiva.
5. So bene, tuttavia, che la vostra azione di pastorale liturgica al servizio della nuova evangelizzazione deve prendere in considerazione le esigenze di una società, come la vostra, che è multiculturale. Grazie alla presenza di vari gruppi culturali si produce un arricchimento per la cattolicità della Chiesa. Tuttavia la sollecitudine spirituale per i cattolici che sono, come ho avuto occasione di dire: “un impasto razziale e culturale” che “ha segnato profondamente e continuerà a segnare il modo di essere e di esprimersi del popolo brasiliano” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV/2 [1991] 960), esige una particolare sollecitudine pastorale. Molti vivono nelle aree urbane, uno accanto all’altro, trasformando la propria cultura; per altri, il livello d’integrazione continua a essere limitato, altri ancora, infine, continuano a conservare la loro cultura originale. Questo complesso fenomeno implica una risposta pastorale particolarmente sensibile e partecipe, affidata alla vostra discrezione e alla vostra prudenza apostolica.
In diverse occasioni ho potuto essere testimone di questo amalgama di razze che convivono armoniosamente in ogni Stato della Federazione. Questa pacifica convivenza deve essere incentivata, evitando tutto ciò che può contrapporre le razze e le culture in sterili atteggiamenti di antagonismo e di conflitto. L’indole del vostro popolo e, in particolare, la fede ereditata dai primi missionari che giunsero in Brasile, hanno rafforzato la convinzione su cui si sono create le basi di una reciproca intesa, che deve continuare a servire da esempio per molte nazioni straniere. “Prego – come già vi dissi – perché a un mondo spesso dominato da conflitti tra popoli e di razze il Brasile possa dare... una lezione essenziale, quella della vera integrazione” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 13).
Come comprenderete, il rispetto per le diverse culture e la corrispondente inculturazione evangelica riguardano questioni che meritano un particolare rilievo. Non è possibile, tuttavia, qui non considerare la cultura afro-brasiliana nel quadro più ampio dell’evangelizzazione “ad gentes”, che oggi è particolarmente presente nella riflessione teologica e pastorale delle vostre Chiese particolari in terra brasiliana. Si tratta della delicata questione dell’acculturazione, in modo particolare dei riti liturgici, al vocabolario, alle espressioni musicali e corporee tipiche della cultura afro-brasiliana. Su questo tema tanto complesso vorrei fare alcune considerazioni.
In primo luogo, conviene interrogarsi circa la convenienza di dare al culto liturgico un carattere afro-brasiliano, come ho costatato in alcune circostanze, in cui l’elemento nero è abbastanza accentuato. Tutti sappiamo che l’interazione dei costumi e delle tradizioni dei bianchi, come il modo di essere degli schiavi neri venuti dall’Africa, ha conferito al vocabolario, alla sintassi e alla prosa della lingua portoghese parlata in Brasile un carattere proprio. La presenza di elementi neri nell’arte sacra barocca del periodo coloniale, che ha lasciato tanti begli esempi di architettura e di scultura religiosa, nella musica sacra e profana e nelle feste della religiosità popolare, ha segnato in modo inconfondibile le espressioni culturali più autentiche di questa società multirazziale che è il Brasile. In questa stessa storia erano già presenti valide forme d’inculturazione che, senza tradire la verità della fede e della rivelazione cristiane, seppero annettere questi legittimi valori ed espressioni della cultura popolare che, in tal modo, vennero evangelizzati.
È chiaro quindi che ci si starebbe allontanando dalla finalità specifica dell’evangelizzazione, se si accentuasse uno di questi elementi costitutivi della cultura brasiliana, se lo si isolasse da questo processo interattivo che tanto arricchisce, in modo quasi da rendere necessaria la creazione di una nuova liturgia adatta alle persone di razza nera. È ancor più vero quando si vuole dare a un tale rito liturgico una presentazione esterna e una struttura – negli abiti, nel linguaggio, nel canto, nelle cerimonie e negli oggetti liturgici – che finiscono con l’assumere elementi provenienti dai cosiddetti culti afro-brasiliani, senza la rigorosa applicazione di un discernimento serio e profondo circa la loro compatibilità con la Verità rivelata da Gesù Cristo. Per questo, ad esempio, è necessario vegliare in modo adeguato e prudente su alcuni riti che favoriscono l’accostamento dell’augusto Mistero Trinitario al pantheon degli spiriti e delle divinità dei culti africani, giungendo persino, in certi casi, a modificare le formule sacramentali nel loro riferimento trinitario; inoltre, si deve segnalare, e correggere opportunamente, l’introduzione nel rito sacramentale cattolico – la Santa Messa, ma anche gli altri sacramenti – di riti, di canti e d’oggetti appartenenti esplicitamente all’universo dei culti afro-brasiliani. È necessaria e urgente una coraggiosa vigilanza da parte dei Vescovi, per una solerte e immediata correzione di questi eccessi, ogni qualvolta si presentano.
La Chiesa cattolica nutre un sincero rispetto nei riguardi dei culti afro-brasiliani, ma considera nocivo il relativismo concreto di una pratica comune o di una mescolanza, come se i due culti fossero simili, mettendo in pericolo l’identità della fede cristiana cattolica. Essa si sente quindi in dovere di affermare che il sincretismo è dannoso laddove la verità del rito cristiano e l’espressione della fede possono facilmente essere compromessi agli occhi dei fedeli a detrimento di un’autentica evangelizzazione.
A voi Vescovi, in dialogo costante e fiducioso con la Sede Apostolica, è stata affidata la responsabilità di saper scegliere i tempi e i modi per promuovere l’inculturazione della fede attraverso le celebrazioni liturgiche che la esprimono e la sostengono, consapevoli che i tempi e i modi richiedono una riflessione paziente e rigorosa, fondata su un’autentica teologia destinata a un rinnovamento spirituale ispirato dai principi cattolici sull’inculturazione.
Non possiamo pertanto parlare di rinnovamento spirituale delle vostre Diocesi senza esaminare con attenzione anche lo stato della fede e della partecipazione all’Eucaristia, dimostrato dai vostri fedeli; l’Eucaristia è la fonte, il centro e l’apice della vita della Chiesa (cf. Lumen Gentium, 11: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1324-1327). Il “dono sincero” di se stesso, fatto da Gesù e offerto sulla Croce, è reso presente e applicato nell’Eucaristia, e i presbiteri “uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano... l’unico sacrificio del nuovo testamento” (Lumen Gentium, 28). Pertanto, amministrare questo grande mistero è fra i privilegi e le responsabilità principali del vostro compito episcopale. Purtroppo, a volte può accadere che la Liturgia venga seriamente alterata da omissioni o aggiunte illecite ai testi approvati. In questi casi, “spetta ai Vescovi estirparli, poiché la regolamentazione della liturgia dipende dal Vescovo nei limiti del diritto” (Lettera apostolica Vigesimus quintus annus, 13). L’autentico rapporto tra le celebrazioni del Mistero Pasquale e una determinata cultura si concretizza nel momento in cui questa permette al Vangelo di penetrare nella sua vita, “superandone gli elementi culturali incompatibili con la fede e con la vita cristiana ed elevandone i valori al mistero della salvezza che proviene da Cristo” (Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, 55).
Il compito dell’adattamento e dell’inculturazione è importante per il futuro del rinnovamento della vita liturgica. La Costituzione liturgica annunciò il principio (cf. Sacrosanctum Concilium, 37-40) e diede le prime indicazioni del procedimento. L’istruzione sulla “Liturgia Romana e l’inculturazione” ha poi approfondito il tema, ha precisato i procedimenti che devono essere seguiti da parte delle Conferenze Episcopali alla luce del Diritto Canonico e dell’esperienza del primo quarto di secolo dopo la riforma liturgica (cf. Istruzione Varietates legitimae, nn. 62 e 65-68).
6. Continuando lo sforzo necessario a radicare la liturgia romana nelle varie culture, i Vescovi, assistiti da persone competenti e fedeli agli orientamenti del Magistero riguardo alla disciplina della Chiesa universale, devono vegliare affinché si conservi sempre il “vero e autentico spirito della Liturgia, nel rispetto dell’unità sostanziale del rito romano, espressa nei libri liturgici” (Lettera apostolica Vigesimus quintus annus, n. 16).
Mi sia consentito di proporvi alcuni elementi di riflessione innanzitutto circa il “vero e autentico spirito della Liturgia”, e poi circa il senso della frase: “salva la sostanziale unità del rito romano” espressa nei libri liturgici (Sacrosanctum Concilium, 37 e 38).
Rispetto allo “spirito della Liturgia”, è indubbio che il Concilio Vaticano II intendeva riferirsi a una realtà sempre presente nella Chiesa, anche se non sempre vissuta con uguale enfasi. Una cosa sono le enfasi vitali che all’interno dello stesso “spirito” la Chiesa Occidentale e la Chiesa Orientale, nelle varie epoche culturali, hanno sottolineato e favorito nel Popolo di Dio, un’altra è lo “spirito della Liturgia” nel suo nucleo fondante e originale. Questo “spirito” non deriva dalle forme esteriori che provengono, in gran parte, dalle culture in cui il Cristianesimo si è diffuso, ma sottostà ad esse come ciò che conferisce loro l’essere, come strumento e manifestazione esteriore di convergenza dell’azione di Cristo e della sua Chiesa a livello di grazia invisibile.
Bisogna ricordare, oltre a ciò, che i Padri Conciliari, nel riferirsi al “vero e autentico spirito della Liturgia” (Sacrosanctum Concilium, 37) avevano presente quanto la costituzione sulla Sacra Liturgia enuncia nel suo proemio (Ivi, 1-4) e nella prima parte del primo capitolo (Ivi, 5-13). Se la riforma liturgica creò le condizioni e i mezzi per promuovere nel popolo di Dio il recupero di un più profondo senso della “Chiesa in preghiera” e della “preghiera della Chiesa”, molto ancora resta da fare per raggiungere questo obiettivo, che sensibilizzi tutti i fedeli di qualsiasi cultura. Molti, forse, si sono lanciati con ardore nel nuovo, dimenticando l’antico. Altri sono rimasti legati alle forme esteriori mettendo così in dubbio il bisogno di rinnovamento, che era ben evidente e non poteva confondersi con le deviazioni respinte non solo dall’autorità competente ma anche dalla maggior parte dei fedeli.
Se la Liturgia non portasse i fedeli a manifestare con la vita il mistero salvifico di Cristo, Dio e Uomo, e la genuina natura della vera Chiesa, dove ciò che è “umano” è “ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura verso la quale siamo incamminati” (Sacrosanctum Concilium, 2), non si potrebbe parlare dell’applicazione del “vero e autentico spirito della Liturgia”.
Dobbiamo ben comprendere che è nostro importante compito individuare i modi in cui è possibile e obbligatorio inculturare la liturgia, ma altrettanto importante e obbligatorio è che l’opera redentrice di Cristo, che è presente nella sua Chiesa, specialmente nelle azioni liturgiche, sia percepita, messa in pratica e vissuta in ogni popolo e in ogni lingua, per la gloria di Dio e la santificazione degli uomini (cf. Sacrosanctum Concilium, 7).
È vostro dovere guidare il popolo che vi è stato affidato che, come tutti i popoli del Continente latinoamericano, ha bisogno di segni espressivi di canto, di sentimento e di devozione esteriore, per coniugare l’autentico spirito liturgico con la sua vera religiosità, con la sua anima più profonda. Le due realtà non si devono opporre, ma conviene accoglierle e far sì che si realizzino una al servizio dell’altra.
7. Il Concilio Vaticano II, usando l’espressione “servata substantiali unitate Ritus romani” (Sacrosanctum Concilium, 38) voleva sottolineare il fatto che tale inculturazione, s’inserisce, quanto alla parte normativa, in ciò che si riferisce solo al Rito romano, e che di quest’ultimo dovrebbe continuare a far parte ogni nuova forma adattata e inculturata secondo il diritto e con l’approvazione della Sede Apostolica. In conformità con il Concilio, nella Lettera apostolica Vigesimus quintus annus (n. 16) ho ripreso quel testo aggiungendo il riferimento ai libri liturgici. L’Istruzione su “La Liturgia romana e l’inculturazione” ha poi ripreso il tema e ha opportunamente indicato come l’attenzione alla sostanziale unità del Rito Romano s’inserisca, con pieno diritto, tra i “Principia generalia” che devono guidare ogni ricerca e ogni azione volta a inculturare il Rito romano, accanto al fine stesso dell’inculturazione e del rapporto con l’autorità competente (cf. Istruzione Varietates legitiamae, nn. 34-36 e 70).
Come nell’ambito di una Chiesa locale, oltre alle differenze esistenti nel popolo di Dio, tra i membri della gerarchia e i laici, tra i gruppi e le culture, è sempre la Liturgia che deve manifestare e unire una Chiesa locale (cf. Sacrosanctum Concilium, 41), allo stesso modo, e a maggior ragione, le Chiese nate dalla trasmissione apostolica della tradizione romana, nonostante la varietà di lingue e di culture, è nella Liturgia che devono sentirsi e incontrarsi unite. Il bisogno o l’esigenza di unità, che è una delle caratteristiche della Chiesa, deve continuare a essere ancora più presente oggi, nell’ambito del Rito romano, per sostenere l’intera vita della Chiesa e il suo rapporto con il mondo da evangelizzare.
Nell’opera dell’inculturazione di certe forme considerate necessarie e utili, non si tratta d’ispirarsi a forme che già esistevano o esistono in altri riti, che la Chiesa tutta rispetta e venera, come parte del proprio patrimonio. È nell’esperienza religiosa, e come parte della cultura di un popolo, che devono essere ricercati i modi espressivi di armonizzarsi con il rito romano nell’ambito del suo genio peculiare. Il risultato di questa fusione dovrebbe essere non una contrapposizione semplice ed esteriore di elementi, ma una nuova sintesi, sempre riconoscibile come parte del rito che è stato portato con l’evangelizzazione.
Il Rito romano, dopo la riforma voluta dal Concilio, ha nelle sue espressioni liturgiche una vitalità in grado di prendere in considerazione la sensibilità e l’espressività delle varie culture, anche di quelle più lontane dall’area in cui originariamente è nato e si è sviluppato. Se non si può accettare tutto di ogni cultura è perché nelle espressioni culturali si crea, spesso, una forma di sincretismo incompatibile con il messaggio cristiano e con l’autentico e vero spirito della Liturgia. Ciò vuol dire che, rispettate la finalità e la struttura interna di ogni celebrazione liturgica, utili per incanalare le forme e le espressioni nell’ambito dei divini misteri, bisogna scartare o non assimilare quelle forme e quei modi rituali che non corrispondono alla natura del mistero che si celebra, specialmente quando concernono l’Incarnazione, la Passione e la Morte di Gesù Cristo, per non citare altri Misteri della Redenzione. Se da un lato non sarebbe rispettoso per una determinata cultura mantenere nei riti liturgici espressioni apertamente contrarie alle tradizione culturali dei fedeli, potrebbe ugualmente non essere rispettoso per una sostanziale unità del Rito romano imprimere nella sua inculturazione una dinamica diversa, capace persino di ferire la sensibilità religiosa del popolo cristiano.
Vi auspico, Vescovi del Brasile, di trovare nei vostri fedeli la collaborazione costruttiva perché vi sostengano nel compimento della responsabilità che vi è stata affidata. Aprire gradualmente le porte a una inculturazione del Rito romano in Brasile significa servire la pienezza, la vitalità e la comunanza della partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche (cf. Sacrosanctum Concilium, 23) in modo che siano sempre più edificati come tempio santo del Signore, dimora dello Spirito Santo fino alla maturità in Cristo. La Sede Apostolica, consapevole di dover assistervi e confermarvi nella vostra azione pastorale, è disposta a collaborare con spirito fiducioso, partecipando alla vostra responsabilità.
8. Cari Fratelli nell’Episcopato, ci stiamo approssimando alla fine del Secondo Millennio dell’Era Cristiana. Il clima dei preparativi per il grande Giubileo dell’Incarnazione redentrice di nostro Signore sta diventando sempre più intenso. In tal senso, è importante innanzitutto, nei diversi momenti di vita pastorale, fortificare e suscitare un nuovo ardore di santità (cf. Lettera enciclica Redemptoris Missio, 90) nei sacerdoti, nei religiosi, nelle religiose e nei laici. Come Pastori secondo il cuore di Dio (cf. Ger 3, 15), conducete i fedeli cattolici fino alle fonti della vita: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3).
Nell’invocare l’intercessione di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione Aparecida affinché guidi e illumini, con la sua protezione materna, tutte le persone affidate alla vostra cura pastorale, vi concedo di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica.
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