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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL RABBINO CAPO DI ROMA, PROFESSOR ELIO TOAFF,
A DIECI ANNI DALLA STORICA VISITA ALLA SINAGOGA

Lunedì, 15 aprile 1996

 

1. Mi è gradito rivolgere a Lei, Signor Rabbino Capo di Roma, agli illustri rappresentanti della Comunità ebraica che L’accompagnano e a voi tutti, cari amici, il mio cordiale saluto. Vi sono grato per questa visita, che suscita in me sentimenti di commozione. Rendiamo insieme grazie e lode all’Onnipotente, che ci concede di vivere questo momento benedetto.

Quando ebbi la gioia di recarmi a visitare, dieci anni orsono, la Comunità ebraica di questa amata Città, stretta intorno a Lei, Prof. Elio Toaff, nel Tempio Maggiore, sono stato oggetto di un’accoglienza e di una ospitalità contraddistinte da quella sollecitudine verso l’altro che può nascere soltanto dalla predisposizione del cuore. Oggi, con la vostra venuta, mi permettete di rivivere la stessa esperienza, consentendomi di accogliervi nella mia casa, come voi avete accolto me nella vostra; mi è dato così di aprirvi il cuore e di estendere questi miei sentimenti di gioia a tutta la Comunità ebraica di Roma, e alla Comunità ebraica nel mondo.

2.

L’iniziativa di ricordare concretamente la mia visita del 13 aprile 1986 alla Sinagoga è quanto mai opportuna. Se è vero, infatti, che il ricordo è fulcro che nutre ogni anniversario, è altrettanto vero che, nell’ambito delle relazioni ebraico-cristiane, esso ha una sua importanza particolare. Come ho avuto modo di affermare, non vi è futuro senza ricordo del passato (Giovanni Paolo II, Angelus, 11 giugno 1995: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 1 (1995) 1712). Il nostro incontro di oggi, a ricordo dell’altro altrettanto significativo, scaturisce dal desiderio di dare forma insieme ad un futuro con caratteristiche nuove rispetto al passato. Il clima di sincera amicizia che si è instaurato tra noi, i sentimenti di sollecitudine fraterna degli uni per gli altri che ci muovono, sono i presupposti essenziali di quel processo di reciproca accoglienza che prepara un futuro più sereno per tutti. Questo nostro incontrarci costituisce un segno di speranza per un mondo che cerca con affanno autentici valori di umana fratellanza. Noi intendiamo darne l’esempio: e la nostra fratellanza è tanto più reale in quanto radicata in un comune retaggio spirituale, straordinariamente ricco e profondo.

Il nuovo spirito di amicizia e di sollecitudine reciproca, che caratterizza le relazioni cattoliche-ebraiche, può costituire il simbolo più importante che ebrei e cattolici hanno da offrire ad un mondo inquieto, che non sa risolversi a riconoscere il primato dell’amore sull’odio.

Le domande dell’Altissimo nel Libro della Genesi: "Dove sei?", "Dov’è tuo fratello?" ( Gen 3, 9 ; 4, 9 ), continuano a risuonare anche nel nostro mondo sollecitando gli uomini di oggi ad incontrarsi, a conoscersi tra loro, ad imparare gli uni dagli altri. Esse impongono loro di rispondere insieme alle comuni sfide della storia, per elaborare soluzioni soddisfacenti ai problemi incombenti.

3.

Cari amici, nell’accogliervi ho detto che la vostra visita di oggi è una benedizione. È mio auspicio che essa possa propiziare la benedizione dell’Altissimo non soltanto su di noi e sulle nostre Comunità, ma anche sull’intera umanità.

Vi ringrazio ancora con l’espressione che vi è cara: Todâ rabbâ, espressione che faccio mia per dimostrare quanto mi senta vicino a voi.

 

© Copyright 1996 - Libreria Editrice Vaticana 

    



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