DISCORSO DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
AI PRESIDENTI DELLE REGIONI
E DELLE PROVINCE AUTONOME ITALIANE
30 maggio 1998
Onorevoli Presidenti,
Illustri Signori e Signore!
1. Sono lieto di porgere a ciascuno di voi un cordiale benvenuto in questa singolare circostanza, che vede riuniti gli amministratori delle diverse autonomie locali che formano l'amata Nazione italiana. Ringrazio il Presidente della Conferenza delle Regioni per le gentili espressioni che mi ha appena rivolto a nome di tutti.
Nel salutare ognuno di voi, intendo estendere l'espressione del mio vivo sentimento di affetto ai concittadini delle Regioni e Province autonome d'Italia, che voi rappresentate. Desidero, in particolare, rinnovare la mia più sentita solidarietà a quanti, nei mesi recenti, sono stati colpiti da calamità naturali. Penso in special modo alle care popolazioni dell'Umbria, delle Marche e della Campania, che stanno cercando, con il sostegno di molti, di ricostruire il tessuto umano e sociale, come pure le case e le contrade, distrutte o gravemente danneggiate dal terremoto e dall'alluvione.
2. Le popolazioni alle quali si rivolge il vostro servizio di amministratori sono caratterizzate da un solido sistema di valori che ha segnato la storia d'Italia nei secoli passati. Sono valori radicati nel Vangelo, che ha largamente permeato la cultura italiana, suscitando tesori di civiltà, di arte, di santità. Come non ringraziare Iddio per questo ricco patrimonio spirituale? E come non sentirsi impegnati a conservarlo per il bene delle future generazioni?
Onorevoli Signori! Accanto ai valori comuni, le realtà locali da voi amministrate presentano ciascuna storie e tradizioni differenti. Occorre far sì che questo cammino sociale e culturale differenziato venga a comporsi e ad integrarsi sulla base della comune appartenenza alla medesima realtà nazionale, così che le particolarità di ciascuno ridondino a vantaggio di tutti. Preclusioni esclusivistiche impoverirebbero chi le praticasse e sarebbero foriere di tensioni dannose soprattutto per i più deboli.
Scriveva, a tale riguardo, il mio venerato Predecessore Paolo VI che «se è normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto la Provvidenza», è altrettanto auspicabile che nessuno possa, per questo, «pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone» (Populorum progressio, 48), siano esse ricchezze materiali che culturali, sociali, religiose.
3. Illustri Signori, il servizio che voi rendete a quanti vi hanno eletto sarà tanto più efficace quanto più sarà radicato in quell'insieme di ideali e di valori che costituisce il patrimonio delle genti italiane. Ponendovi in questa prospettiva, potrete meglio comprendere i problemi e con più efficacia offrire adeguate soluzioni, anche in vista del nuovo millennio, al cui appuntamento vogliamo giungere interiormente ed esteriormente preparati. I problemi sono numerosi e gravi: penso alla disoccupazione, ai disagi delle famiglie e degli strati più deboli della popolazione, ai profughi che bussano alle porte delle vostre Regioni, al degrado del territorio. Penso, altresì, al tema della legalità, oggi tanto evocato, perché sempre più diffusa è la consapevolezza dell'urgenza del recupero di un più vivo senso della legge per costruire un ordinato svolgimento del vivere civile e per favorire una cultura del rispetto dei diritti di ognuno, della collaborazione reciproca e della condivisione solidale.
Sono certo che, grazie al coraggio di ciascuno ed alla solerzia di tutti, si potrà ulteriormente progredire verso una società civile solidale, rispettosa delle persone e delle tradizioni locali, attenta ai valori ed agli ideali cari al Popolo italiano.
Con tali auspici, nell'invocare l'aiuto di Dio sul vostro servizio, vi imparto la mia cordiale Benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie e a quanti voi rappresentate.
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