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PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Domenica, 4 novembre 1973

 

L'altro ieri, giorno dei morti, abbiamo fatto una breve visita ai defunti romani di Campo Verano, avendo presenti nel cuore i cimiteri, dove dormono i nostri cari «che ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono nel sonno della pace», cioè in quello della morte cristiana; e abbiamo fatto quella visita pensando anche a tutti i cimiteri, dei quali è cosparsa la terra. E che cosa è questa madre terra, se non un immenso campo che raccoglie nel suo disfacimento l’umanità corporea e mortale come suo estremo rifugio? Tristezza: pensavamo anche noi alle persone conosciute ed amate, e perdute alla nostra conversazione. Silenzio. E pensavamo alla tragedia, che là ci condusse al seguito di Papa Pio XII, il 19 luglio 1943, dopo il primo bombardamento di Roma; pensavamo insieme a tutti i caduti delle guerre che hanno insanguinato la terra, e ancora in questi ultimi giorni; e poi a tutti quelli che le disgrazie del lavoro, del traffico fanno ora terribilmente scomparire, ed a quanti pure «sorella morte», la fine naturale cioè della nostra esistenza terrena, porta via silenziosamente dalla scena del mondo. Domani avremo qui, alla Cappella Sistina, le esequie dei nove Cardinali defunti durante l’anno.

Morte, morte dappertutto e per tutti. La sua rovina è la sua potenza. Ma, Figli carissimi, è codesta una potenza proprio invincibile? La disperazione sarebbe dunque il destino fatale dell’uomo? L’illusione dei ricordi e dei fiori il solo conforto? No, Figli carissimi. «Ultimo nemico, c’insegna l’Apostolo, sarà annientata la morte» (Cor. 15, 26). Il quadro della storia reale della nostra esistenza comprende fin d’ora l’immortalità dell’anima e comprenderà alla fine anche la nostra risurrezione corporale, in virtù della risurrezione di Cristo. La fede ha su questo punto un’affermazione violenta e prodigiosa. Risorgeremo; sì, risorgeremo. «Il nostro non è un Dio dei morti, ma il Dio dei vivi» (Cfr. Matth. 12, 27).

E allora? e intanto? Bisogna che noi ci pensiamo. Sarebbe stolto eludere questo sovrano pensiero. La nostra vita non finisce nel tempo. Questa vita presente ci è data in funzione di quella futura. Ciò non svaluta, ma valorizza al massimo il prezzo del tempo, di cui dobbiamo fare uso ottimo e saggio.

E per i Defunti? valga per essi la trasmissibilità delle preghiere, delle beneficenze, delle opere buone in loro suffragio, di cui pure la fede ci parla: una misteriosa solidarietà ancora ad essi ci unisce. Questa è la vera «pietas» cristiana; ricordiamolo. Ritorni essa nelle nostre abitudini.

E Maria, la Madre dei cristiani viventi, ci assista.

                                          



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