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PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Solennità di Cristo Re
Domenica, 24 novembre 1974

 

Cristo Re - Festa della Regalità di Cristo: una festa che, per chi non riconosce il disegno globale del regno di Dio, sa di trionfalismo e sa fors’anche di politica. Una festa invece che vuol avere ragione di un equivoco, d’un malinteso, di cui il Vangelo ci espone il dramma e poi la tragedia, quando ci ricorda che il titolo della condanna del Signore, scritto dallo stesso Pilato, in tre lingue, ebrea, latina e greca, e affisso dai soldati esecutori della crocifissione su la Croce, diceva esplicitamente: «Questo è Gesù, il Nazzareno, il Re dei Giudei». La contestazione era già cominciata, durante il processo, quando i capi dei Giudei, volendo la morte di Gesù, che aveva predicato il regno di Dio e che si era infine detto Figlio di Dio, lo accusarono al Procuratore Romano come nemico di Cesare, essendosi dichiarato re. Gesù, interrogato se davvero Egli fosse re, aveva insinuato la chiave della soluzione dell’equivoco, spiegando che il suo regno non era di questo mondo; ma indarno.
Il carattere messianico di Cristo, in quell’epilogo della sua vita terrena, dopo la rivelazione della sua divinità, s’era rivelato anche nella sua regalità. Perciò, vittima e martire umano-divina per la salvezza del mondo, Gesù ebbe la morte nella sua negazione più radicale, ed ebbe la gloria nella sua risorta esaltazione più vittoriosa e totale, tuttora splendente.

La storia, questa storia dalle proporzioni universali e cosmiche, dura ancora ai nostri giorni. «Non vogliamo, si grida tuttora, che Costui regni sopra di noi» (Luc. 19, 14), sempre nel geloso timore, ch’Egli abbia ad usurpare il dominio terreno, riservato al regno temporale, che Cristo non solo non ambisce, ma, nell’ordine ad esso proprio, sancisce: «Non eripit mortalia, qui regna dat coelestia» dice benissimo l’inno dell’Epifania, stigmatizzando la pavida ferocia di Erode, the all’annuncio della nascita del Re Messia pensa subito di farlo uccidere.
La voce del recente Concilio ci assicura ancora una volta the la vita religiosa e cristiana non minaccia, bensì riconosce e tutela i valori della civiltà temporale; ma ciò non basta a tranquillizzare certo secolarismo ateo e pagano moderno, the si ostina, pare, tanto di più, a chiudere sul mondo l’orizzonte celeste da Cristo a noi aperto, e all’uomo pur destinato, e contendendo al regno di Cristo, mediatore di quello di Dio, il suo religioso messaggio liberatore.
Non sia cosi di noi. Ma salutiamo la regalità spirituale di Cristo con l’umiltà e il fervore di chi crede essere quella l’apertura della nostra salvezza.

                         



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