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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 19 gennaio 1966

 

Con grande amore far progredire l'ecumenismo nell'integrità della dottrina

Diletti Figli e Figlie!

In queste elementari riflessioni, che l’udienza generale settimanale Ci offre occasione e stimolo di fare sopra il Concilio Vaticano II, testé concluso, Ci domandiamo quali siano stati i caratteri più evidenti del suo spirito, dei principi animatori cioè che lo hanno promosso, pervaso e guidato, così da imprimergli un aspetto dottrinale e morale, che lo distingue e lo definisce, e che nella storia ventura lo farà ricordare. E la celebrazione in corso della settimana per l’unione di tutti i Cristiani nell’unica Chiesa fondata da Cristo Ci suggerisce essere stato il carattere ecumenico una delle principali note del Concilio stesso, non solo perché ecumenico è stato chiamato dalla nomenclatura canonica, che tale lo designò a causa della convocazione e della presenza dell’Episcopato cattolico di tutto il mondo, ma anche perché il Concilio fu mosso dalla intenzione di appianare la via alla ricomposizione nell’unico gregge di Cristo ai moltissimi cristiani tuttora separati sia fra di loro che dalla nostra comunione; e questa intenzione si qualifica ora ecumenica, come quella dei vari movimenti chiamati ecumenici, che specialmente in questo nostro secolo, fuori dell’ambito della Chiesa cattolica, furono rivolti alla riconciliazione delle tante confessioni cristiane fra loro divise.

Si deve ricordare, a questo proposito, la speranza che diede coraggio al Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, nella convocazione del Concilio Ecumenico. Egli scriveva nella sua Enciclica «Aeterna Dei»: «. . . è appunto allo scopo di rendere la Chiesa più idonea ad assolvere ai tempi nostri la (sua) eccelsa missione (di vedere tutte le genti entrare nella via della verità, della carità e della pace), che Ci siamo proposti di convocare il secondo Concilio Ecumenico Vaticano, nella fiducia che la solenne adunanza della Gerarchia cattolica, non solo rafforzerà i vincoli di unità nella fede, nel culto e nel regime, che sono le prerogative della vera Chiesa, ma attirerà altresì lo sguardo di innumerevoli credenti in Cristo e li inviterà a raccogliersi intorno “al grande Pastore del gregge” (Haebr. 13, 20) Gesù Cristo, che ne ha affidato a Pietro la perenne custodia» (A.A.S. 1961, p. 799).

E possiamo ben dire che questo spirito ecumenico, che tende a dilatare il cuore della Chiesa cattolica oltre i quadri della sua effettiva comunione gerarchica per dargli la dimensione universale del disegno di Dio e della carità di Cristo, questo spirito ha pervaso il Concilio: l’ecumenicità potenziale ha riempito e commosso l’ecumenicità concreta della Chiesa riunita a Concilio; un’ansia di universalità le ha ispirato parole stupende sul «Popolo di Dio», le ha acceso in seno un fuoco missionario, irradiante in ogni documento conciliare; le ha suggerito accenti di umiltà, di perdono, di comprensione, di ricerca per tutti i Cristiani; non solo, ma altresì parole riguardose e amorose per i seguaci di religioni non cristiane (cfr. Card. Marella, Il Concilio sulla via dei popoli non cristiani); anzi parole per il mondo; sì, per il mondo profano, quale oggi è, la Chiesa ha avuto messaggi desiderosi di valicare ogni distanza, di vincere ogni ostacolo: «In tutta la terra si è diffusa la loro voce» (Rom. 10, 18).

Due fatti conciliari sono poi chiarissimi per dimostrare lo spirito ecumenico del grande Sinodo: la presenza alle assemblee conciliari di molti Osservatori, rappresentanti di varie Chiese separate e di diverse Comunità cristiane: presenza, che non vedevamo da secoli, presenza esemplare e commovente, presenza stimolante nei Padri conciliari pensieri di ripensamento, di riguardo, di affezione, quali da tanto tempo non erano stati espressi; presenza, che Ci sembrò riempire gli animi degli assistenti di sollecitudini, di doveri, e di speranza: lo spirito ecumenico. L’altro fatto è il Decreto «de Oecumenismo»; un documento cioè che chiarisce la dottrina su tale importantissimo tema, espone i principi dell’ecumenismo cattolico, indica i modi per esercitarlo degnamente, e delinea le relazioni esistenti fra la Chiesa cattolica e i Fratelli separati predisponendo l’instaurazione d’un nuovo dialogo sincero e cordiale con loro.

Cose che tutti sappiamo oramai, ma che tutti dobbiamo riprendere in considerazione. Non sono cose passate, non sono cose d’altrui interesse; sono cose nostre, che riguardano non solo i Pastori della Chiesa, ma i Fedeli altresì, e che impongono, ancor prima d’un accostamento ai Fratelli separati, un rinnovamento personale e collettivo di vita cristiana. Dice il Decreto «de Oecumenismo» citato: «Nell’azione ecumenica occorre senza dubbio che i Fedeli cattolici si interessino dei Fratelli separati, pregando per loro, conversando con loro, movendo i primi passi verso di loro. Ma soprattutto essi devono ben considerare con animo attento e sincero ciò che nella stessa Famiglia cattolica è da rinnovare e da fare, affinché la sua vita renda più fedelmente e più chiaramente testimonianza della dottrina e dei precetti derivati da Cristo, tramite gli Apostoli» (n. 4).

Ora Noi vorremmo invitarvi a riflettere quale sia l’atteggiamento da tenere a riguardo di questo ecumenismo, di cui ora tanto si parla, e di cui la settimana per l’unità ci fornisce informazioni ed esortazioni abbondanti.

Perché l’atteggiamento in questione è molteplice. Vi è un atteggiamento d’indifferenza e di disinteresse, motivato spesso dalla scarsa cognizione delle questioni e dalla loro complessità. Diremo semplicemente a questo riguardo: bisogna conoscere, bisogna istruirsi; non è più lecito ignorare una questione di tanta importanza e di tanta attualità.

Un altro atteggiamento eccede invece in entusiasmo e in semplicismo, quasi che il contatto con i Fratelli separati sia facile e senza pericolo, e quasi che basti non dare importanza alle questioni dottrinali e disciplinari per stabilire subito la concordia e la collaborazione. È un atteggiamento sbagliato, perché può essere fonte di illusioni e di delusioni, di debolezze e di conformismi, punto giovevoli alla causa del vero ecumenismo.

Vi è poi l’atteggiamento dei diffidenti e degli scettici; alcuni temono che l’ecumenismo comporti una critica e una revisione alle verità della fede, una disistima della tradizione cattolica e del magistero, un conformismo alle altrui concezioni religiose a scapito delle proprie; altri temono che sia vano sperare nella ricomposizione effettiva d’un’unica credenza religiosa e d’una sola e vera comunione ecclesiale; troppe cose ci dividono, essi dicono, dai Fratelli separati, troppo tempo è passato dalla rottura ormai insanabile; non si devono attendere i miracoli che sarebbero necessari per una vera riconciliazione. Atteggiamento suggerito da serie ragioni, ma anche esso sbagliato: perché non è secondo lo spirito dei tempi, secondo i bisogni del mondo; e soprattutto non è secondo il volere di Cristo. Il Concilio è solenne su questo punto!

E allora l’atteggiamento buono è quello di assecondare la linea direttiva, che, in pratica, la Chiesa ci propone e con buone norme ci prescrive. Ma questa fiducia nella guida della Chiesa sulla via dell’ecumenismo suppone ed esige un fatto psicologico, complesso e difficile, se volete, ma che Noi riassumeremo in una parola ben nota e ben sacra: suppone l’amore. Bisogna amare davvero per far progredire, nell’integrità della dottrina, l’ecumenismo. Ed è con questo proposito d’amore in Cristo che Noi mandiamo, oggi, il Nostro saluto a tutti i Fratelli separati e che voi, figli carissimi, di cuore benediciamo.

                                                



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